Oltre il chiacchericcio mediatico, tutto quel che c’è da sapere sul Sinodo dei vescovi
“Il mondo ha fretta, continua a cambiare / chi vuol restare a galla si deve aggiornare […] E la Chiesa si rinnova per la nuova società / e la Chiesa si rinnova per salvar l’umanità”.
Così cantava – ridendo e scherzando – Giorgio Gaber in una sua canzone scritta mezzo secolo fa. Questa è la medesima vaga sensazione riportata nei giorni scorsi dai media che si sono trovati a dover commentare il recente Sinodo dei Vescovi tenutosi dal 5 al 19 ottobre 2014 in Vaticano. Alcuni hanno menzionato complotti sinodali, altri hanno parlato di decisioni rivoluzionarie (valutandole positivamente o negativamente), c’è chi ha lamentato l’incompiutezza dei lavori sinodali e chi invece li ha descritti come una partita calcistica, con tifoserie contrapposte. Ben pochi però hanno cercato di capire cosa sia il Sinodo e quale sia il suo scopo. Errore, quest’ultimo, che può pregiudicare qualsiasi tentativo di ricostruire come davvero sono andate le vicende e come si evolveranno nel prossimo futuro.
Scriverò dunque le righe che seguiranno proprio a partire dalla definizione di Sinodo per evitare di spalancare sempre più questo “chasma mega” (Lc 16,26) – questa “grande bocca, apertura, divergenza”, questo “spread”, diremmo oggi – tra il vero Sinodo dei Padri e il Sinodo “dei media”, i quali, se mi è concesso dirla con il pontefice emerito Benedetto XVI, continuano a parteggiare “per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo”.
COS’È IL SINODO DEI VESCOVI?
Il Sinodo dei Vescovi è un’assemblea dell’episcopato cattolico istituita nel 1965 con la Lettera Apostolica Motu Proprio Apostolica Sollicitudo promulgata dal Sommo Pontefice Beato Paolo VI. Questa istituzione ecclesiastica centrale, che si riunisce periodicamente, rappresenta tutti i vescovi cattolici e ha lo scopo di favorire una maggiore collaborazione tra il Papa e i vescovi, i quali aiutano il Santo Padre con i loro consigli – “nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica” (Can. 342) – dopo aver studiato le situazioni e le problematiche riguardanti la Chiesa e il suo operato nel mondo, agevolando l’accordo delle opinioni sui punti essenziali della dottrina cristiana. Il Sinodo può riunirsi per discutere di argomenti che riguardano direttamente il bene della Chiesa in assemblea generale ordinaria (convocata di norma ogni tre anni) o straordinaria, qualora fosse richiesto un intervento sollecito, oppure ancora convocato in assemblea speciale per affrontare tematiche riguardanti una o più regioni del mondo. La parola sinodo – dal greco “syn-hodos”, letteralmente “cammino insieme” – può essere considerata sinonimo di concilio, ma il Sinodo dei Vescovi non va assolutamente confuso con il Concilio Ecumenico, cui partecipano tutto il clero episcopale della cristianità che esercitano “in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale”, quindi con potere legislativo, mentre il Sinodo dei Vescovi ha un ruolo consultivo, perciò non può assumere decisioni o decreti; eventuali facoltà deliberative determinate possono essergli attribuite dal Pontefice, il quale dovrà comunque ratificarne l’esito.
LE TAPPE E I DOCUMENTI DEL CAMMINO SINODALE
Fatte queste indispensabili premesse, sunteggiamo brevemente le tappe della recente riunione del Sinodo dei Vescovi. Innanzitutto va detto che ogni convocazione delle assemblea spetta sempre al Papa; i primi giorni di ottobre dello scorso anno il Sommo Pontefice Francesco, recependo le istanze del conclave che nel febbraio precedente gli aveva affidato il ministero petrino, ha indetto la III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”. La necessità di una convocazione di questo tipo era stata sottolineata anche dal Cardinal Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi: “La crisi sociale e spirituale del mondo attuale incide sulla vita familiare e crea una vera urgenza pastorale, la quale giustifica la convocazione di un Sinodo straordinario”.
Nel giro di un mese è stato redatto il Documento Preparatorio (DP), che ha delineato l’itinerario di lavoro suddiviso in due tappe: la convocazione straordinaria del 2014 – con il compito di precisare lo status quaestionis, raccogliendo “testimonianze e proposte dei Vescovi per annunciare e vivere credibilmente il Vangelo per la famiglia” – seguita dall’Assemblea Generale Ordinaria del 2015, maggiormente rappresentativa dell’episcopato, che dovrà individuare adeguate linee operative pastorali. Il DP allegava un questionario rivolto a tutte le chiese particolari con 38 domande per comprendere la situazione attuale riguardo la diffusione delle Sacre Scritture e del Magistero della Chiesa sulla famiglia, il “matrimonio secondo la legge naturale”, la “pastorale della famiglia”, anche nelle “situazioni matrimoniali difficili”, le “unioni di persone dello stesso sesso”, l’“educazione dei figli in seno alle situazioni di matrimoni irregolari”, l’“apertura degli sposi alla vita” e il “rapporto tra la famiglia e persona”. Tra i quesiti si chiedeva, per esempio, di stimare la percentuale di conviventi, separati e divorziati per ogni realtà ecclesiale e di segnalare gli ostacoli che impediscono la ricezione dell’insegnamento della Chiesa. La prima fase, con la raccolta di tutte le risposte ai questionari, ha trovato il suo compimento nell’Instrumentum Laboris (IL), documento elaborato dalla Segreteria Generale del Sinodo e pubblicato il 24 giugno 2014.
Preceduta da una veglia di preghiera, il Sinodo straordinario si è aperto ufficialmente con la Santa Messa del 5 ottobre concelebrata da tutti i partecipanti e con il saluto di papa Francesco alla prima congregazione generale (assemblea) il giorno successivo. Il Sommo Pontefice ha invitato tutti i partecipanti pervenuti – 253, di cui 191 padri sinodali, 16 esperti, 38 uditori e 8 delegati fraterni delle chiese – a “dire tutto ciò che si sente con parresia”, senza alcun timore, e a porsi in umile ascolto degli interventi. Sempre il 6 ottobre, il Relatore generale cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, ha tenuto la Relatio Ante Disceptationem (RAD) che commenta alcuni aspetti dell’Instrumentum Laboris. Entrambi i documenti costituiscono la base dei lavori sinodali.
Ricalcando la traccia della IL, la prima settimana si sono tenute le congregazioni generali che hanno esaminato, punto per punto, i temi dei paragrafi del documento sinodale, tenendo conto anche degli interventi degli uditori laici – coppie e singoli – provenienti da vari continenti. Di ogni assemblea sono state divulgate dal Vaticano alcune “sintesi non ufficiali”. Il carattere di ufficialità, invece, emerge dalla Relatio Post Disceptationem (RPD) presentata dal cardinale Erdő a metà Sinodo; come vedremo, è il documento che maggiormente ha fatto discutere, non solo la stampa, ma anche i Circuli Minores – gruppi di lavoro ristretti, divisi per lingua – tenutisi la seconda settimana. Con la Relatio Synodi (RS) votata, articolo per articolo, dai Padri sinodali, seguita dal discorso conclusivo di papa Francesco e, il giorno dopo, dalla Santa Messa per la beatificazione di Paolo VI, l’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi si è conclusa; ora la discussione torna nelle chiese particolari in vista della convocazione ordinaria del prossimo anno, che dovrà proseguirne i lavori.
LE POSIZIONI
Il primo segnale di apertura di un rinnovato dialogo sulla famiglia e sulle situazioni pastorali difficili viene individuato dal vaticanista Sandro Magister nella conferenza stampa di papa Francesco del 28 luglio 2013, di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Rio De Janeiro. Molti ricorderanno sicuramente un’affermazione che ha goduto di ampia risonanza: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?“. L’altra, invece, era rivolta ai divorziati: “Gli Ortodossi […] seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Ma credo che questo problema […] si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale”. L’aver nominato il teologo e arcivescovo Bruno Forte a segretario speciale della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, da affiancare al Segretario Generale Lorenzo Baldisseri, è stato un altro segno di apertura a nuove prospettive pastorali.
Nel frattempo incalzava il dibattito sui divorziati risposati, con alcune diocesi – capofila Friburgo, “pascolata” dal presidente della conferenza episcopale tedesca Robert Zollitsch – disponibili ad ammettere al sacramento dell’Eucarestia anche i divorziati risposati a talune condizioni, mentre il cardinale Gerhard L. Müller a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) reagiva ribadendo il divieto. Papa Francesco, poco dopo il suo insediamento al soglio pontificio, aveva nominato 8 cardinali chiamati per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per pensare un progetto di revisione della Curia di Roma; due di questi, i cardinali Reinhard Marx e Óscar A. R. Maradiaga, desiderosi di proseguire un dialogo sul tema, hanno palesato una certa insofferenza per l’atteggiamento rigido di Müller.
Nel Concistoro (assemblea dei cardinali) del 20 e 21 febbraio 2014 papa Francesco ha chiamato a tenere la relazione introduttiva il cardinale Walter Kasper, notoriamente favorevole all’accesso alla comunione per i risposati; nonostante le critiche di alcuni cardinali – alimentate anche dalla pubblicazione a sorpresa della relazione sul quotidiano “Il Foglio” – il Pontefice sembrò apprezzare il testo da lui presentato definendolo “teologia in ginocchio”; non affermazioni definitive, ma “domande e considerazioni per possibili risposte”. Tra le disapprovazioni più forti al documento di Kasper si segnalano i cardinali Walter Brandmüller, Carlo Caffarra, Velasio De Paolis, Raymond Leo Burke, i quali hanno affiancato Müller per la stesura di un libro, pubblicato poco prima dell’apertura del Sinodo, in cui hanno ribadito la prassi corrente. Kasper, dal canto suo, ha confermato la sua linea di misericordia, motivata dall’esigenza di “una zattera per sopravvivere. Non un secondo matrimonio sacramentale, ma i mezzi sacramentali necessari […] per quanti fanno tutto ciò che è loro possibile nella loro situazione”.
COSA SI È DETTO
Un Sinodo sulle sfide pastorali della famiglia ha innumerevoli tematiche da affrontare; ovviamente non si è parlato solo di “comunione ai divorziati” o di “omosessuali”, come certo giornalismo superficiale ha fatto credere. Poiché esamineremo in un secondo momento gli esiti dei dibattiti su questi due temi, vediamo innanzitutto una sintesi della Relatio Synodi finale.
In questo documento si rileva come “una delle più grandi povertà della cultura attuale” (RS 6) sia “la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni”, in un contesto che vive “una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie”. Il riferimento va anche alla “crescente povertà e precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo” e alla “fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio”, perciò si demanda allo Stato la creazione di “condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia”, spessa vista come un miraggio per chi vive alla giornata.
Parimenti è grande la preoccupazione nei confronti di un “individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto” (RS 5).
Nel testo viene riaffermata la “dignità della donna” che “ha ancora bisogno di essere difesa e promossa” – contrastando i fenomeni di sfruttamento e di violenza citati nella RS – come pure il “dono della maternità” (RS 8); nello stesso tempo si focalizza l’attenzione anche sulle “vere vittime delle lacerazioni familiari”, ossia quei bambini che “spesso sono oggetto di contesa tra i genitori”.
I Padri sinodali constatano le “tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi” (RS 10) e si mostrano preoccupati per “una certa diffusione della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di internet”; “molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale” in quanto “una affettività narcisistica, instabile e mutevole […] non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità” e questa “fragilità affettiva” si ripercuote anche sulla stabilità della famiglia.
A gran voce viene sottolineata l’“indissolubilità del matrimonio” vista non come un “giogo” ma come un “dono”, un “aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita” (RS 21); come molti sanno, l’esclusione dell’indissolubilità (o della prole) – sempre più diffusa negli ultimi tempi – costituisce appunto causa di nullità del sacramento matrimoniale. A tal proposito “un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità” (RS 48) anche se non si è giunti ad un accordo sulle proposte, comunque menzionate: “superamento della necessità della doppia sentenza conforme”, “una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano”, “un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria”, o dare maggiore rilevanza “al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio”.
La Relatio Synodi riconosce alcuni elementi validi presenti nel “matrimonio naturale” (RS 22) anche se non cristiano; la Chiesa “guarda con apprensione” i giovani sfiduciati nei confronti dell’impegno coniugale e li incoraggia “a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio” (RS 26); si invita ad “accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio” le coppie conviventi (RS 27). Per le coppie sposate si rileva l’“esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento” (RS 40), sottolineando “l’apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza” (RS 58) e un “adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile”; per quelle segnate dalla sterilità si incoraggiano le adozioni e gli affidi, mentre ci si dissocia sia dalla “mentalità antinatalista” che “rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire” (RS 10). In questa sfida educativa, “resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e della grande influenza dei media” (RS 60), i genitori devono poter “scegliere liberalmente il tipo dell’educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni”; la Chiesa, dal canto suo, è chiamata a svolgere “un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall’iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti […] nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie” (RS 61). Perciò “si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone” (RS 32).
Veniamo ora ai tre articoli della Relatio Synodi che, pur avendo ricevuto la maggioranza semplice, non hanno ottenuto quella qualificata dei 2/3; si tratta dei punti 52, 53, 55.
Il primo dei tre menzionati è quello che ha visto un minore consenso – 104 favorevoli e 74 contrari – sebbene si limitasse a riportare le posizioni emerse negli interventi riguardo le persone divorziate e risposate: “diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale”, “altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste”. In quest’ultimo caso, “l’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano”, ma si riconosce che la questione “va ancora approfondita”, distinguendo tra peccato e “circostanze attenuanti”.
L’articolo 53 ha ricevuto 112 voti a favore e 64 contrari e riguarda anch’esso i divorziati risposati; si riferisce che, se “alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale”, “altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale”. Perciò sollecita “un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio”. Anche qui nessuna decisione è stata presa, ma semplicemente vengono riscontrate le diverse posizioni sinodali.
Infine l’articolo 55, che ha ottenuto 118 “placet” e 62 “non placet”; viene qui condensato il dibattito sulle famiglie che “vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale”, interrogandosi “su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione” alla luce degli insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica e delle Considerazioni per la Dottrina della Fede diffuse nel 2003 e qui riportate testualmente. Ben più ampia maggioranza (159 favorevoli e 21 contrari) è stata riscontrata invece per l’articolo immediatamente successivo, proposto da molti vescovi africani, che definisce “del tutto inaccettabile” il fatto “che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso” (RS 56).
ALCUNE PERPLESSITÀ PROCEDURALI
Sui lavori del Sinodo dei Vescovi 2014 si possono fare alcune annotazioni, che suddivideremo schematicamente tra quelle di tipo procedurale e quelle invece sostanziali.
Come ogni scelta effettuata a maggioranza, anche nell’assemblea sinodale, soprattutto riguardo la votazione della Relatio Synodi conclusiva – per la natura stessa della procedura – si è soggetti ai dilemmi democratici. Decide la maggioranza o la minoranza che di quella procedura ha il controllo, come rammenta Roberto De Mattei, citando Dossetti, dalle colonne del Foglio? Ma, soprattutto, la verità può essere messa ai voti? Non trattandosi però neppure di un Concilio Ecumenico finalizzato a codificare dogmi, le verità di fede non erano minimamente in discussione; il Sinodo, luogo di confronto, “non è un’assemblea democratica dove i vescovi si radunano per cambiare la dottrina cattolica a seconda della maggioranza”, come sottolineava il cardinale Burke. Certo è che l’approvazione del Santo Padre Francesco e la sua costante attenzione a ciò che si è svolto hanno impedito il risvegliarsi di quelle tensioni, numerose nella storia della Chiesa, tra “papisti” e “conciliaristi”.
Altre perplessità riguardano l’assenza dei nomi di chi ha pronunciato gli interventi sunteggiati nelle “sintesi non ufficiali”, impedendo così la piena applicazione di quella trasparenza auspicata dal Papa. Ciò ha suscitato il malcontento del cardinale Müller, che ha sollevato quella che a suo avviso è una vera contraddizione: “fuori dell’aula sinodale i vescovi possano dare libere interviste mentre i loro interventi in aula non sono pubblici. Si è voluta così del resto rompere una tradizione propria della Chiesa”. C’è inoltre chi non era pienamente convinto della composizione dei Circuli Minores (che, ricordo, sono gruppi di lavoro divisi per lingua) che avrebbe penalizzato i cardinali tedeschi, i quali non sono riusciti a formare un’assemblea a sé stante; sempre riguardo questi gruppi, alcuni hanno lamentato il poco tempo a disposizione per riflettere sui temi posti a discussione. Un’ulteriore perplessità è stata sollevata da altri commentatori a seguito dell’affermazione del cardinale Assis secondo cui sarebbe stato monsignor Bruno Forte, il segretario speciale del Sinodo, ad aver steso la Relatio Post Disceptationem firmata ufficialmente dal relatore generale card. Erdő.
ALCUNE PERPLESSITÀ SOSTANZIALI
Altre osservazioni invece riguardano il linguaggio, la sostanza e le modifiche avvenute nei testi.
Quelle principali riguardano la RPD che, presentata a metà sinodo, ha sollevato una serie di ambiguità interpretative che si è tentato di espungere nella RS conclusiva; ciononostante, la “necessità di scelte pastorali coraggiose” (RPD 40) è confermata anche nella RS, all’articolo 45. Qualcuno però ha scorto nella RPD qualcosa che andrebbe oltre il “coraggio apostolico” domandato ai vescovi, un calcare la mano che ha portato a dare ampio risalto a opinioni non condivise dalla maggioranza del clero episcopale.
Possiamo notare inoltre che nel DP e nell’IS si faceva riferimento alla “legge naturale” e alle difficoltà di comprensione di tale espressione, alla quale verrebbe preferita quella di “ordine della creazione” (IL, da 20 a 30), che la sostituisce nella RPD e nella RS. Un’altra legge dibattuta è quella della “gradualità”, già anticipata nella RAD e citata più volte nella RPD. Non si tratta di un’invenzione estemporanea, ovviamente, ma si riprende l’esortazione apostolica Familiaris Consortio, secondo cui l’uomo crescerebbe per gradi, vivendo la propria fede a seconda delle tappe raggiunte nel proprio cammino – ossia non tutti si collocano nello stesso punto di partenza –, sebbene tutto ciò non vada confuso la “gradualità della legge”. Proprio per evitare questo rischio, a seguito delle osservazioni dei circoli minori si è eliminato questo riferimento, cancellando anche quello alla Lumen Gentium del Concilio Vaticano II dove si afferma che anche al di fuori della Chiesa Cattolica vi sarebbero “parecchi elementi di santificazione e di verità”, il che avrebbe lasciato spazio a interpretazioni che vi avrebbero potuto leggere un’implicita approvazione delle situazioni non matrimoniali. Nella RS resta tuttavia un riferimento alla “pedagogia divina, secondo cui l’ordine della creazione evolve in quello della redenzione attraverso tappe successive” (RS 13), specificando “dal matrimonio naturale delle origini” a quello cristiano, ed è in questo che la famiglia “avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio” (ivi). Permane inoltre l’affermazione di “elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze” (RPD 36; RS 41), mentre il riferimento ai “Semina Verbi” sparsi da Dio con la Sua Parola si associa specificatamente “alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane” (RS 22).
Poco sopra abbiamo visto il contenuto dell’articolo della Relatio Synodi sulle persone con orientamento omosessuale, ossia una pedissequa riproposizione del Magistero. Questo può essere percepito come un effettivo dietrofront rispetto al testo della RPD dove si riconosceva che “le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”, interrogandosi se la Chiesa fosse in grado di garantir loro uno “spazio di fraternità” e una “casa accogliente”, elaborando “realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica integrando la dimensione sessuale”: abbiamo di fronte quindi “un’importante sfida educativa” (RPD 51). Apprendiamo che molte di queste parole erano state tratte dall’intervento del gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica.
Inoltre, riprendendo anche il DP e l’IL, in cui si guardava alle coppie omosessuali principalmente in relazione al riconoscimento giuridico delle unioni civili, “senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners” (RPD 53) e si mostra un’“attenzione speciale verso i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, ribadendo che al primo posto vanno messi sempre le esigenze e i diritti dei piccoli” (RPD 52). Queste frasi hanno portato a dipingere, per molta stampa, un irrealistico sinodo “gay-friendly”, il quale avrebbe accettato “la modernità”. Se da un lato i commentatori “progressisti” tiravano per la talare i padri sinodali dalla loro parte, quelli “tradizionalisti” gridavano allo scandalo e alle “tendenze eretiche”. Se i toni della RS sono più simili a quelli della RAD che non a quelli della RPD una certa responsabilità è da attribuire anche al dibattito mediatico e alla confusione da esso generata, che ha portato i Padri sinodali ad un documento più discreto.
Quali proposte pastorali per i cristiani omosessuali (o “con orientamento omosessuale”, nella RS), allora? Purtroppo non se ne parla; nessuna decisione, certo si tratta di un cantiere aperto, ma un maggiore coraggio apostolico su questo tema era indispensabile. Quindi non si fa più cenno ai “cammini realistici” né tantomeno all’“importanza dell’ascolto e di gruppi di ascolto” emersa durante le congregazioni generali. Inequivocabilmente resta comunque qualcosa, già pare positivo che se ne sia parlato, ma nella RS conclusiva l’omissione di indicazioni o di proposte in questo campo lascia sballottate molte persone che vorrebbero vivere la propria fede pur avendo un orientamento omosessuale: cosa devono fare? Nel citare il Catechismo, non si è fatto nemmeno riferimento alla chiamata “alla castità” che, pur da molti considerata impraticabile per tutti autonomamente – di qui la necessità di “cammini realistici” – costituisce l’attuale indicazione pastorale. Gli omosessuali come possono essere chiesa? Con percorsi individuali, di coppia o di gruppo? Si segnalano che in Italia, ma anche in molti paesi del mondo, esistono numerosi gruppi di fedeli omosessuali, talvolta guidati da sacerdoti, da quelli che propongono cammini di castità a quelli che ritengono inevitabile una dimensione più ampia di affettività. Questi interrogativi, anche se vengono omessi nel testo finale, non spariscono, anzi, si fanno ancora più forti!
Lo stesso forse si potrebbe dire anche per i divorziati risposati sul “cammino penitenziale” ad essi rivolto, i cui tratti dovrebbero essere definiti dal Vescovo diocesano sotto la sua responsabilità; qui perlomeno si offre questo tipo di indicazione. Proprio nella Relatio Ante Disceptationem, d’altro canto, il Sinodo straordinario si prefiggeva di offrire “linee direttrici chiare per poter aiutare a quanti vivono in situazioni difficili. Infatti, non si può realisticamente aspettare che essi trovino da soli le giuste soluzioni conformi alla verità del Vangelo e vicine alle situazioni particolari” (RAD 1b); obiettivo per il momento non del tutto inquadrato.
Insomma, su molti aspetti si è giunti ad un compromesso e non ad una sintesi; la differenza tra i due sta nel fatto che la sintesi è in grado di assumere entrambe le posizioni contrapposte, dopo uno scontro anche serrato, elevandole in una dimensione più comprensiva in grado di armonizzare entrambe, mentre il compromesso cerca semplicemente una scorciatoia, che può avvenire nella forma sia della spartizione sia dell’omissione, come in questo caso. Forse più per mancanza di tempo che non per pavidità, in taluni casi è sembrato essere deficitario quel coraggio apostolico, citato in precedenza, in grado di superare – alla luce dell’insegnamento evangelico – i nodi che altrimenti sembrerebbero non districabili. Molto probabilmente si voleva evitare in tutti i modi una lettura eccessivamente “progressistica” del Sinodo quale compromesso (o resa) della Chiesa – dipinta come un’istituzione in crisi a causa di un presunto “oscurantismo” – di fronte al mondo moderno, ma perseguendo ciò si è andati incontro ad un altro tipo di compromesso, quello interno, non troppo soddisfacente.
ALTRE OSSERVAZIONI
Prima di assumere queste perplessità come definitive occorre nondimeno tenere presenti alcune considerazioni. La prima, valida per tutte le questioni che riguardano la realtà ecclesiastica, è che il “tempo della chiesa” non equivale a quello del “mercante”, come precisava lo storico Le Goff, ma neppure a quello di un mandato governativo, in quanto la sua storia è bimillenaria e un decennio equivale a un nonnulla.
Le nuove tesi entrano in armonia con l’insegnamento del Magistero consolidandosi nel tempo e ciò vale ugualmente per quelle avanzate, tra gli altri, dal card. Kasper sulla comunione ai divorziati risposati. Anche esse devono, per diventare a loro volta tradizione, convergere sull’insieme del patrimonio di conoscenze stabili elaborate dalla tradizione – compresa quella scritturale – in modo puntuale, e non solo ad una generica “misericordia”. Quando si parla di un approfondimento ulteriore di alcuni temi si intende appunto questo, per far emergere la tesi meglio supportata; al momento quella vigente sembra essere maggiormente coerente ma è probabile che negli anni a venire venga scalzata da una teologicamente migliore, anche se non bisogna esagerare con l’ermeneutica, anche perché a grandi dosi un testo può dire tutto e il contrario di tutto, occultandone o snaturandone la verità originaria.
Sull’omosessualità va sottolineato che è stato un tema quasi inesplorato dalla scienza teologica, che ha iniziato ad occuparsene solo negli anni successivi al Concilio Vaticano II; malgrado ciò oggi sembra impossibile eludere alcuni interrogativi fondamentali, non tanto dottrinali, quanto pastorali. I tentativi di ermeneutica biblica, in questo caso, non hanno fornito risultati solidi, però hanno avuto modo di precisare come, per esempio, la distruzione di Sodoma non sia dovuta all’omosessualità ma alla violazione della legge di ospitalità, tenuta in massima considerazione nel Vicino Oriente antico; si vedano gli studi di Bailey e di Boswell, ecc. Un altro punto da tenere presente è che il tema dell’assemblea di quest’anno erano le sfide pastorali della famiglia, e non specificatamente la sessualità, che pure necessiterebbe di un migliore esame, forse con una riflessione ad hoc.
Il compito principale di un Sinodo è appunto quello di porre certi temi inesplorati affinché siano discussi (in senso canonico, ossia “esaminati”) qualora il loro contenuto non sia stato ancora esaurito, come appare evidente in molti casi qua sopra citati. È bene ricordare nuovamente che, nonostante i facili entusiasmi di una vasta parte dell’opinione pubblica e pure di qualche cardinale – si pensi allo “Spirito del Concilio” rievocato dal cardinal Tagle – non si trattava di un Concilio Ecumenico che deve individuare anatemi e disposizioni perentorie, ma di uno spazio di discussione, un “momento di discernimento”. È stato appunto precisato che “non le questioni dottrinali, ma le questioni pratiche – inseparabili d’altro canto dalle verità della fede – sono in discussione in questo Sinodo, di natura squisitamente pastorale” (RAD 2a). Sono le prove di un Concilio Vaticano III? Questo non è da escludersi, sebbene l’ultimo concilio sia ancora meritevole di una piena attuazione.
La chiave di lettura progressisti/conservatori, ma anche quella più sofisticata discontinuità/continuità, come avevamo visto nel bilancio del primo anno di pontificato di papa Francesco, è una riduzione che spesso risulta banalizzante, se non un errore, come ha fatto intendere lo stesso Santo Padre al termine del Sinodo 2014. Il Pontefice, senza reticenze, ha affermato che si trattato di un “cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di desolazione, di tensione e di tentazioni”, specificandole: “la tentazione dell’irrigidimento ostile […] degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti, oggi, “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti” che, chiudendosi nella letteralità della legge, non riescono a farsi sorprendere dal “Dio delle sorprese”, ma anche “la tentazione del buonismo distruttivo, tipica dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti””, essi infatti “a nome di una misericordia ingannatrice” fasciano le ferite “senza prima curarle e medicarle”. Altre tentazioni, che ricalcano e specificano quelle sopra elencate, sarebbero il trasformare “il pane in pietra” (nel caso dei tradizionalisti) o “la pietra in pane” (nel caso dei buonisti), per fare riferimenti evangelici alla lapidazione dell’adultera e alla tentazione di Gesù nel deserto; lo “scendere dalla croce, per accontentare la gente”, piegandosi allo “spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio”; quella di trascurare il “depositum fidei” (ossia la tradizione) sentendosi liberi di modificarlo a piacimento, e quella di “trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente” con “bizantinismi”. Ma – Francesco ha voluto precisarlo – poiché “il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro”, “la presenza del Papa è garanzia per tutti”: nonostante le inevitabili tentazioni, che sono sintomo del “movimento dello spirito”, “l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e […] l’apertura alla vita” del matrimonio non sono mai state messe in discussioni, in quanto verità fondamentali. La Chiesa, cercando di essere fedele alla sua dottrina, rialza il “fratello caduto” e lo accompagna, mantenendo “le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti”.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Resta in piedi un’obiezione finale: era proprio necessario un Sinodo, convocato per giunta in sede straordinaria, senza poi concludere alcunché? Ma davvero non si è fatto nulla? Abbiamo valutato che, nonostante le titubanze della RS finale, il dialogo c’è stato. Si sono focalizzati alcuni punti e si è appreso anche quali incontrano consenso unanime e quali invece destano maggiori divisioni.
Ma più di ogni altra cosa va concepito come una tappa intermedia in prospettiva del Sinodo del 2015, questo, si spera, in grado di esplicitare molto di quanto è rimasto implicito e di dettagliare, dopo aver approfondito ulteriormente il dibattito in questo anno di tempo, le varie proposte di percorso pastorale per tutte le situazioni personali e familiari.
Lo sguardo è quindi rivolto verso l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si terrà il prossimo anno nel mese di ottobre, consci che “la famiglia è quasi l’ultima realtà umana accogliente in un mondo determinato pressoché esclusivamente dalla finanza e dalla tecnologia”, pertanto “una nuova cultura della famiglia può essere il punto di partenza per una rinnovata civiltà umana” (RAD, 2a).