La pubblicazione a marzo dei Quaderni neri di Heidegger contro gli ebrei produrrà effetti sulle speculazioni della filosofia contemporanea?
Tutti lo conoscono per aver scritto Essere e tempo, forse l’opera che ha più influenzato la filosofia contemporanea. Ma Martin Heidegger è stato molto altro, oltre al filosofo dell’Essere: è stato nazista e, nei suoi lati più oscuri, come se questo ancora non bastasse, antisemita. A dimostrarlo sono tre quaderni di milleduecento pagine in cui sarebbe appunto palesato l’antisemitismo del filosofo tedesco. In realtà essi fanno parte di un diario composto di trentatré Quaderni neri – colore che può trarre in inganno, e spingere troppo al di là la nostra immaginazione, ma in verità i taccuini avevano proprio la copertina nera – che Heidegger ha iniziato a scrivere a partire dagli anni Trenta.
Sono ancora inediti (verranno pubblicati nel marzo del prossimo anno dall’editore tedesco Klosterman) per volere del filosofo tedesco, che avrebbe voluto fossero pubblicati solo dopo la sua morte una volta completata la pubblicazione delle sue opere; pochi, quindi, li hanno visionati, tra cui l’esperto di Heidegger, Peter Trawny, che tra non molto uscirà con un saggetto di sessanta pagine sul tema, e la filosofa Donatella di Cesare, esperta di filosofia del linguaggio, studiosa di ermeneutica, che al tema della Shoah, dell’antisemitismo e del negazionismo ha dedicato gran parte della sua riflessione. In un dialogo con Antonio Gnoli – apparso su Repubblica – la Di Cesare dice di essere rimasta “sconvolta” leggendo quelle pagine, tanto da aver pensato alle dimissioni dalla vicepresidenza dell’“Heidegger Gesellschaft”, e non esita a definirsi convinta che “i Quaderni neri muteranno la visione che abbiamo di Heidegger”.
Che l’adesione al nazionalsocialismo di Heidegger fosse un fatto lo si sapeva da tempo, e oggi più nessuno lo nega, almeno a partire dagli studi compiuti alla fine degli anni Ottanta da Victor Farías e Hugo Ott (ma già nel 1980 il nostro Massimo Fagioli lo aveva denunciato). Sul tema la storiografia filosofica si è recentemente espressa con un denso volume di Emmanuel Faye, per certi versi definitivo, su Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia (2005), in cui si ripercorre in modo sistematico e assai documentato il percorso heideggeriano all’interno del Reich mostrando come la vicinanza al nazismo da parte di Heidegger non sia stata occasionale, ma seria e convinta, e abbia contaminato anche la sua riflessione filosofica.
Il dato da cui di solito si parte e che prova – secondo Faye – il coinvolgimento diretto di Heidegger nel quadro della Gleichschaltung, e cioè della “messa in riga” attuata dal nazismo, è l’adesione al partito e l’elezione – proprio mentre Husserl a cui aveva persino dedicato Essere e tempo viene cacciato dall’università – a rettore dell’Università di Friburgo nel 1933, occasione in cui egli pronuncia un noto discorso su L’autoaffermazione dell’università tedesca, che – scrive Faye – “ha la funzione politica precisa di annunciare e giustificare in anticipo ciò che si prepara e di cui Heidegger sarà uno dei protagonisti, vale a dire l’applicazione all’università tedesca della modalità di funzionamento politico dell’hitlerismo”. Per non parlare dell’Appello agli studenti tedeschi in cui cita il Führer come “la realtà tedesca dell’oggi e del domani e la sua legge”. Di qui si prosegue a tappe (che sarebbe assurdo sintetizzare data la portata del volume che sfiora le cinquecento pagine) passando per i corsi del 1933-34 che contengono l’affermazione del popolo e della razza tedesca, e arrivando agli anni successivi al 1935 dove il nazismo di Heidegger si solidifica sino all’apologia dello sterminio nel 1941.
Quanto al suo antisemitismo, di cui ora si discute a proposito dei Quaderni neri, esso emerge già nelle lettere alla fidanzata Elfride (siamo ancora prima degli anni Venti) in cui lamenta l’invasione degli ebrei, “la giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università” e auspica che “la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie interiori per emergere”. Anche su questo tema Faye traccia un percorso preciso per mostrare la costanza dell’atteggiamento di avversione di Heidegger nei confronti degli ebrei.
Ora, i Quaderni venuti alla luce saranno certamente utili a chiarire alcuni aspetti, ma probabilmente non diranno troppo di più, anche se sembrano aprire scenari nuovi: c’è un’espressione infatti, Weltjudentum, cioè “ebraismo mondiale”, che per la Di Cesare “è carica di minacce”; va oltre l’antisemitismo e allude a complotti internazionali. Insomma, se i Quaderni costituiranno un’ennesima sponda per i negazionisti – i cui discorsi, per Faye, Heidegger ha finito per nutrire – non lo si può sapere.
Certo è che ritorna di attualità un tema vecchio come i primi filosofi: quello del rapporto tra politica e filosofia, simboleggiato dai fallimentari viaggi di Platone a Siracusa. E, soprattutto, se si considera il libro di Faye e la sua interpretazione della filosofia di Heidegger come inseparabile dal nazismo, si impone nuovamente all’attenzione il problema della rilettura e del significato complessivo dell’opera di questo pensatore che, nel bene o nel male, pesa come un macigno sulle speculazioni filosofiche europee (e non solo) che hanno segnato il secolo scorso.
Anna Foa si chiede se, a questo punto, posto che “gli scavi sul pensiero di Heidegger continuino nella direzione finora intrapresa”, non “dovremmo forse cominciare a ripensare, se non l’intera storia della nostra cultura, almeno quella della nostra filosofia nella seconda metà del Novecento”. E non è affatto, per il pensiero contemporaneo, un problema da poco.