Il mito del Graal: tra leggenda e realtà
Van (Kurdistan turco) – Sull’isola di Achtamar, in mezzo al grande lago di Van, nel remoto oriente curdo, sorge, ferita ma splendente la Chiesa della Santa Croce, una delle meraviglie dell’arte armena le cui linee purissime si stagliano sopra le acque della piu’ grande superficie lacustre della Turchia, a ridosso della cima sacra dell’Ararat. Santa Croce venne edificata da Gagik I re del Vaspurakan nel X secolo. Accanto alla chiesa, secondo le fonti contemporanee, sorgeva un grande castello dalle cupole dorate. Di esso non vi è più traccia, ma da quanto è stato tramandato, nonché dal piano della sopravvisuta Chiesa della Santa Croce, lo studioso svedese Lars Ivar Ringbom ha tratto la conclusione che si tratti di uno dei ‘Templi del Graal‘, attraverso i quali la tradizione mistica iranica si e’ travasata nei romanzi europei medievali, quali il ‘Parsifal‘ di Wolfram von Eschenbach e ‘Il Giovane Titurel‘ di Albrecht von Scharffenberg.
Non a caso uno dei bassorilievi esterni di Santa Croce raffigura Gagik con la coppa che, nella tradizione cristiana, contiene il sangue di Cristo. Secondo Ringbom, Sharffenberg usò come modello del suo Castello del Graal il palazzo di Takt-i-Taqdis (Trono degli archi) sulla montagna sacra di Shiz, nell’Iran settentrionale. A erigere il palazzo di Shiz, di cui restano oggi alcune vestigia archeologiche, fu il re persiano Cosroe II all’inizio del VII secolo per ospitarvi la vera croce sulla quale era morto Gesù, di cui si era impadronito durante un’incursione a Gerusalemme.
Tak-i-Taqdis, costruito su un antico tempio zoroastriano del fuoco, sopravvisse meno di 30 anni, fino a quando cioè l’imperatore bizantino Heraclios non lo rase al suolo nel 629 d.C. riprendendosi la Croce. Ma quel breve periodo fu sufficiente a tramandarne le meraviglie in Oriente come in Occidente. E fu appunto da una di quelle cronache che Sharffenberg trasse apparentemente ispirazione per il suo Castello del Graal e che servì da riferimento ai disegni per la prima scenografia del ‘Parsifal‘ di Wagner. Le similitudini fra il castello descritto da Scharffenberg e quello di Shiz, ritratto anche su un vassoio bronzeo oggi al museo di Berlino, sono impressionanti: dagli archi alle cupole dorate, dal tempio dove e’ custodita la croce (o il Graal) al lago sacro. Testimonianze e scavi archeologici hanno inoltre rivelato che a Shiz v’era un meccanismo, azionato da cavalli, per far ruotare l’intera costruzione onde orientarla sulle stelle, una delle caratteristiche dei castelli del mito celtico, un’altra delle strade maestre della leggenda graalica.
Ma se Shiz conservava il Mito, che è successo dopo la sua distruzione? Ringbom suggerisce che la tradizione si sia trasmessa simbolicamente e architettonicamente alla grande chiesa cattolica armena di Zwarthnoz, sul versante
nord dell’Ararat, costruita 20 anni dopo la distruzione di Shiz. E da Zwarthnoz ad Akhtamar, che per lo studioso potrebbe essere all’origine del mito di Avalon. Da Achtamar, la leggenda graalica si travasò poi, difatti, in Occidente. Ma dov’è finita, se mai ci fu, la coppa? Tra il serio e il faceto la studiosa americana Linda Malcor, autrice di un libro sull’origine orientale del Graal, sia pure per la linea Alano-Sarmatica, dice che “se era ancora in giro durante la seconda guerra mondiale, i nazisti l’avrebbero liquefatta”. Ma a Van, regione turca del Kurdistan geografico, la leggenda vuole che la coppa sia ancora lì, occultata nelle acque profondissime del lago, con i suoi 3750 km quadrati a 1700 metri di altezza, prima di cadere nelle mani di Cosroe; e il suo guardiano non è il Re Pescatore ma il Mostro, un grande animale di foggia preistorica che abiterebbe le profondità lacustri. Un Mostro, di cui parlano numerosi testimoni oculari, che le iscrizioni cuneiformi collegano al Regno di Urartu (fondato nell’840 a.C.). Ma qualcuno vuol farlo risalire all’Arca di Noè, posatasi sull’Ararat.
“Non dimentichiamo – ricorda Anna Edmond autrice di un libro sulla Turchia – che Ararat in lingua assira era Urartu, dove si dice fosse il Giardino dell’Eden”. Il mito di una misteriosa creatura nelle acque del Lago, così grande e talora tempestoso da essere chiamato ‘mare‘ dai locali, non e’ recente, ma risale ai tempi del Regno di Urartu. Tra le iscrizioni cuneiformi urartiane sulle mura della cittadella di Van si fa riferimento al Mostro come a un avvertimento per i bambini cattivi. È dunque una storia che risale ad oltre 2.500 anni fa.
Un’altra leggenda ipotizza che il Mostro sia sceso dall’Arca di Noè, posatasi sul non lontano Ararat. “Quando il diluvio finì – recita la tradizione – solo le cime delle montagne emergevano dalle acque. E tutte, prese dall’orgoglio, si dissero più grandi di Dio. Solo l’Ararat rese omaggio alla potenza di Allah, e allora l’Arca infine vi si posò”.