A Poco più di un mese e mezzo dalle elezioni la Merkel parla di disoccupazione nell’Eurozona e propone il “modello” tedesco
La disoccupazione giovanile nell’Eurozona è un tema sempre più preoccupante; preoccupante per l’Italia, per la Grecia, per la Spagna e ora preoccupante anche per la Merkel. Non certo perché in Germania esista un’ elevata percentuale di unemployed ma, probabilmente, perché il tema scottante della mancanza di lavoro è un argomento da affrontare in campagna elettorale, un tema di grande presa e interesse, lo sappiamo bene noi italiani.
Il 22 settembre in Germania si voterà: si prospettano diversi scenari che potrebbero cambiare la linea tedesca, l’uno in un modo più radicale rispetto all’ altro. Se la coalizione di sinistra, guidata dai socialisti della SPD e dai Verdi dovesse vincere, si assisterebbe a un incremento di investimenti pubblici e comunitari; se al contrario gli elettori dovessero optare per un partito di grande coalizione, guidato dall’ attuale cancelliera tedesca (scelta che si ritiene, ad oggi, la più probabile) si chiederebbe necessariamente a quest’ ultima di mitigare l’austerità e il rigore per i quali è stata tanto criticata.
Andrea Nahles, Segretario Generale della SPD, ha parlato di “Show summit” in occasione del congresso tenutosi a Berlino, voluto dalla Merkel al fine di riunire gli esponenti dei governi europei per discutere proprio dello scottante tema della disoccupazione giovanile dilagante nell’Eurozona. Secondo l’avversaria della cancelliera, questa è stata solo una mossa elettorale e imputa la perdita ingente di posti di lavoro in Europa proprio all’austerità della politica tedesca, ossessionata esclusivamente dalla competitività nei mercati. Dello stesso parere sembra essere Peer Steinbruck, candidato premier della SPD nonché ministro delle finanze nel governo di coalizione Merkel.
In un’intervista rilasciata ai giornalisti, la Merkel sostiene che la disoccupazione nell’Eurozona la preoccupa già da tempo, offrendo il modello e l’esperienza tedeschi come soluzione. Il mix tra formazione e apprendistato, dunque, una maggiore mobilità che garantirebbe ai giovani trovare lavoro non necessariamente nel paese di origine e la rivalutazione di professioni manuali come la figura dell’operaio specializzato e l’artigiano, tanto ricercati in Germania.
Ma davvero l’imitazione del modello tedesco potrebbe valere nell’ intera Eurozona?
Prendiamo il caso dell’Italia: l’età dell’apprendistato è stata innalzata a 35 anni, segno che il problema della mancanza di lavoro non coinvolge la fascia under 25, come si vuole far credere, ma una fascia ben più ampia e articolata; la mobilità non garantisce un lavoro ben retribuito e poco precario, perché spesso i giovani sono sottopagati anche all’estero e costretti ad accettare un lavoro che non è propriamente consono alla loro formazione. Questo andrebbe bene per migliorare la lingua e fare esperienza, ma di certo non potrebbe costituire una soluzione a lungo termine. La rete Eures e i progetti Leonardo non garantiscono un continuum lavorativo nemmeno per coloro che sono meritevoli, proprio perché spesso svolti in Paesi che versano nella stessa condizione italiana e magari servono più a sollevare l’ economia del posto che a garantire formazione, data l’ esigua borsa di studio che dovrà necessariamente essere accompagnata dai risparmi della famiglia.
In ultimo, il tirocinio, che al nord prevede un rimborso spese minimo e al sud non lo prevede affatto… ciò che accomuna però l’ intera Italia è la richiesta di esperienza, a volte pluriennale, per svolgere uno stage: ma il tirocinio non dovrebbe essere svolto per acquisire competenza? Insomma, le aziende vogliono una persona già professionale che svolga il lavoro che sa già fare, gratis.
Se in Germania queste cose accadono forse raramente nel nostro bel Paese sono all’ordine del giorno per cui bisogna che si trovino soluzioni ad hoc, studiate e formulate secondo le esigenze di ciascun territorio e non importate; sebbene ogni nazione faccia parte dell’ Europa questo non significa abbandonare l’autonomia decisionale. Se il lavoro manca viene meno la progettualità e, se è vero che le generazioni passate hanno dovuto affrontare sacrifici enormi, a noi giovani italiani, mammoni e choosy, stanno chiedendo di fare il sacrificio più grande: rinunciare al nostro futuro.