Perché la Polonia non deve entrare nell’Euro
Nel 2008, il professor Tadeusz Kowalik ha segnalato che l’adesione della Polonia alla zona euro avrebbe rappresentato uno dei più grandi cambiamenti strutturali del sistema e la rinuncia dello Stato ad un importante strumento di politica economica, quindi maggiori difficoltà nella risoluzione dei conflitti sociali e nell’affrontare le patologie locali [1]. Il ritorno di un entusiasmo irragionevole per questa idea nelle recenti dichiarazioni dei politici polacchi ci invita a riflettere sulle potenziali conseguenze dell’adozione della moneta europea.
Secondo quanto delineato dal Premio Nobel Robert Mundell, delle quattro condizioni indispensabili per la creazione di un’area valutaria ottimale (sincronizzazione dei cicli economici, unificazione della politica fiscale, libera mobilità del lavoro e di trasferimento dei capitali) l’eurozona, sin dal suo inizio, ne rispetta solamente una: la libera circolazione dei capitali. È proprio questa la vera causa della crisi attuale, comunemente ed erroneamente indicata come “crisi del debito pubblico”.
Come ha giustamente sottolineato Costas Lapavitsas
“la vera causa della crisi dell’eurozona non è l’indisciplina fiscale, ma la perdita complessiva di competitività dei paesi periferici. I membri dell’Unione Economica e Monetaria sono rimasti imprigionati dalla rigidità del cambio fisso, da una politica monetaria unica e da una disciplina fiscale imposta dall’esterno. Una maggiore competitività può quindi avvenire solamente sul mercato del lavoro e, di conseguenza, vi è stata una corsa al ribasso a livello comunitario. La Germania ha vinto la gara grazie al ruolo disciplinare dello Stato, al ridimensionamento del potere della forza lavoro tedesca, alla garanzia di uno stato sociale, e associati a questi, alla presenza di fattori istituzionali. La perdita di competitività nei paesi periferici ha portato alla creazione di deficit elevati nel conto delle partite correnti, che corrispondono ad avanzi altrettanto grandi della Germania. Per colmare i deficit i paesi periferici hanno dovuto indebitarsi con l’estero e il basso tasso di interesse della Banca Centrale Europea ha agevolato il finanziamento, al contempo concedendo alle banche periferiche di espandersi con prestiti nei mercati nazionali. Il risultato è stato un debito considerevole in periferia, interno ed esterno, pubblico e privato. In definitiva, il debito dei paesi periferici è quindi associato al congelamento dei costi del lavoro per unità di prodotto in Germania” [2].
Polonia peggio della Grecia?
All’estremo opposto si trovano paesi che, nello stesso periodo di tempo, grazie al deprezzamento della moneta nazionale, hanno evitato problemi simili; sono il Regno Unito e … la Polonia. Ma la fortuna della sfortunata Grecia è che, nella situazione attuale il debito pubblico elevato, può ancora (e dovrebbe) rifiutare i piani di diminuzione della spesa che frenano l’economia, mentre la Polonia, l’unico paese dell’Unione Europea che ha sancito il rapporto debito pubblico/PIL nella Carta fondamentale, al raggiungimento dei limiti costituzionali dovrebbe tagliare drasticamente il budget, causando in tal modo una grave crisi economica, probabilmente poco tempo dopo l’adozione della moneta comune europea.
Nelle discussioni circa l’adesione della Polonia alla zona Euro, solitamente si dedica molto spazio al soddisfacimento dei criteri nominali di convergenza di Maastricht. Si trascurano in questo modo i criteri reali di convergenza, che sono molto più importanti. Nel frattempo, all’inizio del 2009, un gruppo di economisti ha osservato con ragionevolezza che
“la Polonia non soddisfa i criteri minimi reali di convergenza con l’area Euro, per ogni aspetto, ad eccezione della quota di laureati sul totale della popolazione nella fascia di età 25-64 anni, e quindi non può essere inclusa in un’area valutaria ottimale. In particolare, il livello del PIL pro capite è inferiore del 40-50%, è troppo basso il livello di sviluppo delle infrastrutture, l’investimento nel campo della scienza, della ricerca e dello sviluppo è tre volte (!) inferiore, il livello di occupazione nel settore della ricerca e sviluppo è due volte inferiore, troppo bassi i livelli di coesione sociale espressi nel salario minimo (due volte troppo basso confrontandolo alla media dei tre peggiori paesi dell’Unione Monetaria), è troppo basso il livello di sviluppo delle strutture sanitarie, tre volte inferiore è il livello delle costruzioni edili, troppo basso il livello di protezione dell’ambiente dall’inquinamento industriale”[3].
Gli stessi autori hanno smentito in maniera convincente la tesi secondo cui l’adesione all’Unione monetaria avrebbe, a causa della eliminazione del rischio di cambio, un impatto significativamente positivo sulle dinamiche di afflusso verso la Polonia di investimenti diretti esteri.
“Le motivazioni degli investitori che scelgono dove allocare i capitali“, scrivono Domanski, Kazmierczak e Żyżyński “oggi sono influenzate ben poco dai benefici che dipendono dall’eliminazione del rischio di cambio. Le decisioni concernenti la costruzione o l’acquisto di una fabbrica, dipendono piuttosto da fattori importanti quali la competitività fiscale e salariale dell’economia e lo stato della sua infrastruttura tecnica“[4].
Uno strumento efficace per analizzare la combinazione ottimale di politica finanziaria dello Stato è chiamato Modello Mundell-Fleming, noto anche come “Trinità Impossibile“. Ne consegue che tra: tasso di cambio fisso, libera circolazione dei capitali e politica monetaria indipendente, si può scegliere un massimo di due strumenti. Attualmente la Polonia rinuncia al primo, e lo złoty opera in un regime di cambio fluttuante. Tuttavia, forse sarebbe meglio seguire l’esempio della Cina e irrigidire il tasso di cambio, limitando anche un po’ il trasferimento dei capitali (in gran parte speculativi). Tale mossa potrebbe eliminare il rischio di cambio, che è un argomento importante per i sostenitori dell’euro, senza dover abbandonare totalmente la politica valutaria (in particolare, la svalutazione della moneta nazionale) e la politica monetaria.
Cara moneta unica
La difesa di una politica monetaria e valutaria indipendente non deve essere allo stesso tempo l’espressione di un nazionalismo economico. Uno studio pubblicato dalla Banca nazionale polacca dimostra che l’assenza di tali politiche può avere un impatto negativo sull’economia polacca nel caso di shock asimmetrici, in quanto le azioni intraprese dalla Banca centrale europea saranno in una situazione – come avviene ora – subordinata agli interessi dei giocatori dominanti nella zona della valuta comune; nel migliore dei casi, gli interessi della Comunità. Tra le altre cose, per questo motivo, due paesi dell’Unione Europea, spesso presi a modello per il successo della politica economica socialdemocratica, Svezia e Danimarca, rimangono al di fuori dell’eurozona, e ciò non pregiudica il loro ruolo guida nelle classifiche mondiali, non solo della qualità della vita dei cittadini, ma anche della competitività economica.
Il Regno Unito, inoltre, non pare lamentarsi di avere la lira sterlina. In questo contesto, risulta del tutto demagogico il luogo comune polacco secondo cui senza Euro la Polonia dovrebbe diventare un membro dell’UE di serie B. Ovviamente il Regno Unito e la Danimarca hanno nei rispettivi trattati di adesione la clausola opt-out, che permette loro di mantenere per sempre la valuta nazionale. Tuttavia la Svezia, non avendo la possibilità di evitare l’adesione formale all’eurozona, volutamente evita di soddisfare tutti i criteri nominali di convergenza, cioè non si uniforma agli accordi europei di cambio ERM II, che rappresentano la porta d’accesso all’Unione monetaria.[5] Ciò smentisce la tesi sulla presunta inevitabilità dell’integrazione monetaria per “ragioni di trattato”.
“L’esperienza dell’Unione europea dove il calo dei tassi di interesse ha portato ad una enorme espansione del credito e ad un aumento dei prezzi delle abitazioni, con effetti materiali relativamente modesti” [6] segnalano l’esistenza di un altro problema. L’aumento dei prezzi dopo il passaggio dallo złoty all’euro interesserà i beni più frequentemente acquistati, non a causa di un drastico crollo dei tassi di interesse, ma (soprattutto) a causa del cosiddetto “effetto arrotondamento”. Poiché la quota di spesa per beni di base sul totale dei consumi è molto più alta in Polonia rispetto alle altre economie occidentali, questo potrebbe rappresentare un problema serio.
L’aumento dei prezzi, tuttavia, non è l’unico costo misurabile dell’ingresso nella zona euro. La Polonia probabilmente sarà costretta a consumare gran parte delle riserve valutarie precedentemente accumulate (per un valore attuale di circa 83 miliardi di euro) per mantenere lo złoty nel “Serpente Monetario” ERM II, e quindi cedere la parte delle riserve rimanenti alla BCE. I costi che dovrà sopportare il contribuente polacco, qualora le banche dell’eurozona si trovassero nuovamente in pericolo di fallimento, può essere molto più significativo, anche se oggi è difficile da stimare.
Chi ci guadagna, chi ci perde?
In questo contesto, si pone la questione: quali sono i vantaggi reali per la società polacca dell’introduzione della moneta europea, se si devono sostenere le spese di questo processo, anche se stimate da un aumento di soli 0,1-0,6 punti percentuali di inflazione? Sembra che qui che, de facto, siamo di fronte alla questione di classe della redistribuzione inversa. Si scopre che la riduzione o l’eliminazione dei costi di transazione e di riduzione del rischio di cambio per le imprese dovrà essere pagata da tutti gli altri gruppi sociali.
Forse questo spiega perché, anziché presentare un’analisi onesta, il potere e i media offrono ai cittadini discorsi vuoti sull’“integrazione europea“, sulle “maggiori opportunità” e sull’“Europa di serie A”. A questo coro si è recentemente unita l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD), che il 27 febbraio di quest’anno ha esortato il governo a prendere provvedimenti per la rapida adozione dell’euro da parte della Polonia. L’“esperto economico” della SLD, Wojciech Szewko, ha presentato la sua analisi dei costi e dei benefici di tale passo (sottolineando che, secondo lui, i vantaggi prevalgono) e ha illustrato ciò che ha descritto come uno “scudo sociale” – un elenco di misure necessarie per prevenire gli effetti negativi dell’adesione per la società: ratifica da parte della Polonia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea [non ratificata da Regno Unito, Polonia e Repubblica Ceca, NdT], il monitoraggio della dinamica dei prezzi, costruendo un apposito paniere di beni fondamentali, e una presa di posizione rispetto al problema dei contratti spazzatura e all’aumento del salario minimo [7].
Il progetto, tuttavia, solleva una questione fondamentale: perché la SLD vuole introdurre benefici per la società e allo stesso tempo sostiene l’adozione dell’euro, che – nella migliore delle ipotesi – vanifica del tutto gli effetti di queste azioni? Sembrerebbe più logico e banale sostenere l’attuazione dello “scudo sociale” senza il postulato dell’entrata della Polonia nell’Eurozona, ossia una lotta per migliorare il benessere della società in molti campi, senza il deterioramento di altri. Una questione differente è il dubbio realismo del progetto della SLD, basato sul presupposto che, nel caso di una sostituzione dello złoty con l’euro, il governo affronterà realmente i pressanti problemi del mercato del lavoro e di quello immobiliare.
Utopia ultraliberista
Infine, sarebbe opportuno esprimersi sulla questione che probabilmente tornerà più volte nei discorsi volti a falsificare il vero bilancio tra costi e benefici della rinuncia allo złoty. Citando la ricerca dalla Banca nazionale polacca, Wojciech Szewko quantifica in 120 miliardi di złoty [28,7 miliardi di euro, NdT.] (2% del PIL) all’anno il cosiddetto “effetto benessere” (welfare effect) che ne verrebbe dall’adesione all’Unione Monetaria. Senza entrare nei dettagli tecnici dell’analisi in oggetto, è importante notare solamente che il modello di calcolo dinamico dell’equilibrio generale (in inglese Dynamic Computable General Equilibrium), che rappresenta la parte essenziale dell’analisi, dalla quale Szewko ha tratto conclusioni che si spingono così lontano, si basa sul presupposto che le famiglie conoscano tutti i prezzi di mercato e il loro reddito sino al termine della propria vita (previsione perfetta, in inglese perfect foresight), mentre sui mercati dei beni e dei fattori della produzione, sempre in equilibrio (to clear the market), si opera nella concorrenza perfetta (perfect competition) [8].
Paul Davidson ha spiegato in modo interessante, nel suo libro The Keynes Solution [9], come siano astratte le basi dei modelli matematici di equilibrio generale, molto simili ai loro prototipi ottocenteschi, e – di conseguenza – come possa essere disastroso l’utilizzo delle loro conclusioni nelle raccomandazioni per la politica economica. Forse potrebbe andare a beneficio della SLD, della sinistra e dell’intera società una più ampia conoscenza del suo contenuto, oltre ad una consultazione più frequente da parte dei politici dell’opinione di esperti economici affidabili, come quello che ha visto “argomenti seri a favore del mantenimento di un sistema multivalutario, e quindi della tenuta delle singole economie nazionali con le proprie valute. Bisogna solamente essere in grado e volere sfruttare le opportunità possibili in tali condizioni, senza confondere gli obiettivi di politica economica (il benessere) con gli strumenti (moneta stabile)” [10].
Grzegorz Konat
Fonte: Le Monde Diplomatique
Traduzione: Piotr Zygulski
NOTE
[1] T. Kowalik, “Euro – un altro pilastro di governance socioeconomica”, Studia Ekonomiczne, numeri 1-2 (LVI-LVII) 2008, pagina 127.
[2] C. Lapavitsas, “Uscita per la Grecia e la periferia”, Le Monde diplomatique – edizione polacca, numero 6 (76), giugno 2012.
[3] S. R. Domański, A. Kaźmierczak, J. Żyżyński, “Pro e contro l’euro”, Tesi del rapporto per il presidente Lech Kaczyński La Polonia e la prospettiva di adesione alla zona euro. Pro e contro una veloce intergazione valutaria, Varsavia, 10 gennaio 2009.
[4] Ivi.
[5] T. Walat, “Euro senza corona“, Polityka, Nr 9 (2897), 27 febbraio 2013.
[6] J. Łaszek, H. Augustyniak, M. Widłak, “Euro e il rischio di bolle del mercato immobiliare”, Varsavia 2008.
[7] Conferenza stampa SLD del 27 febbraio 2013, “Polska droga do euro” (“La via polacca all’euro”).
[8] T. Daras, J. Hagemejer, “The long run-effects of the Poland’s accession to the eurozone”.
[9] P. Davidson, “The Keynes Solution: The Path to Global Economic Prosperity”, Palgrave Macmillan, 2009.
[10] G. W. Kołodko, “Wędrujący świat” (“Mondo che gira”), Pruszyński i S-ka, Warszawa 2008, pagina 129.
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