Dopo gli scontri di Roma, proponiamo una riflessione sul rapporto tra violenza e mondo dello sport
La storia ci rammenta che lo spirito agonistico, attraverso il movimento, è nato con l’uomo, come un elemento importante della sua stessa vita e si è sviluppato in una società che ha consentito, anzi, ha agevolato al massimo lo sport. L’attività fisica, priva dell’agonismo esasperato dei nostri giorni, per l’uomo primitivo, era anche un modo molto utile per migliorare la conoscenza della natura e la padronanza dell’ambiente che lo circondava. Lo studio dei reperti archeologici, dei documenti, delle arti e dei giochi, ha mostrato che la pratica delle attività sportive, lungo l’arco dei secoli, ha avuto un ruolo formativo per l’evoluzione umana, che ha fornito precise indicazioni sui cambiamenti sociali intervenuti nel corso dei secoli e su quelli riguardanti la concezione stessa dell’attività sportiva nelle varie culture.
La diffusione della pratica sportiva, in quasi tutte le società del mondo, è il segno evidente dell’importanza che lo sport ha assunto in quelle realtà dal punto di vista sociale, economico e politico. Gli avvenimenti sportivi, specie nell’Antica Grecia, erano così importanti che, durante il loro svolgimento era proclamata la tregua sacra della durata d’un mese e nessuna guerra poteva essere iniziata, mentre i conflitti in atto venivano sospesi per consentire agli atleti delle varie regioni della Grecia di pervenire sui luoghi delle gare. Lo sport era per i greci sinonimo di pace e convivenza civile ed era ancora così importante che l’anno della gara olimpica prendeva il nome del vincitore della maratona. Nella società contemporanea lo sport, oltre a produrre spettacolo con azioni sportive esaltanti, manifesta violenza ed aggressività. Questo fenomeno è diffuso, purtroppo, soprattutto nel calcio, sia in campo sia fuori degli stadi. Quali sono le cause di questo fenomeno?
A riguardo vi sono diverse teorie che spiegano questi sintomi degenerativi di massa. Il prof Jeffrey H. Goldstein, docente di psicologia sociale ed organizzativa all’Università olandese d’Utrecht, sostiene che “le persone che assistono a uno sport aggressivo tendono a diventare a loro volta aggressive. I tifosi si sentono aggressivi, vedono o sentono aggressione e quindi agiscono aggressivamente”. Questa spiegazione tiene presente alcune leggi di psicologia della folla, secondo cui chi si trova in un certo gruppo, in genere, è portato a comportarsi come gli altri membri, anche quando non é del tutto convinto. Ciò significa che gli istinti sono contagiosi tanto quanto più sono le persone coinvolte, per questo il gruppo tende a condizionare l’individuo fino a fargli perdere la sua identità.
Una seconda teoria attribuisce al tifoso il bisogno di uno sfogo d’emozioni, reso possibile grazie all’identificazione con gli atleti e mediante un conflitto con i tifosi avversari. Lo sport in questo caso consentirebbe un’occasione di sfogo dell’eccesso di carica aggressiva accumulata nella realtà lavorativa, familiare o sociale, come frustrazioni quotidiane represse. Un’altra teoria sostiene che il tifo sarebbe la conseguenza degenerativa di una società che evidenzia, esalta e premia solo chi vince o chi ottiene successo, a prescindere dai mezzi impiegati per raggiungerlo, adottando il principio discutibile secondo cui il fine giustifica i mezzi. Occorre quindi vaccinarsi contro i germi della violenza sociale educando ai valori di convivenza civile, di cooperazione più che di competizione, per questo, lo spirito competitivo va ben dosato e tenuto sotto controllo. Bisogna quindi mobilitare la coscienza sportiva e riscoprire il contenuto etico dello sport, sviluppando negli atleti e negli spettatori la consapevolezza che gli esseri umani, da qualsiasi parte dello stadio essi giochino o guardino, sono tutti simili da rispettare; solo così lo sport può contribuire, non solo alla salute e alla vigoria fisica, ma anche alla crescita dei più alti valori dell’uomo.
È da tener presente, inoltre, che se è vero che l’entusiasmo del pubblico carica i gli atleti, è anche vero che il pubblico sugli spalti imita, a suo modo, il comportamento dei giocatori che gareggiano. Un comportamento nobile e corretto degli atleti che sfruttano la propria aggressività, ma sempre e solo nei limiti del lecito, è un esempio utile a indurre negli spettatori sentimenti positivi. Viceversa, una scorrettezza in campo o una cattiva condotta in gara da parte di un atleta si riflettono immediatamente sulla pressione sanguigna e sulla produzione d’adrenalina di migliaia di spettatori, per cui l’eccitazione si trascina anche fuori dagli stadi. Per questo bisogna educare al vero spirito sportivo: saper perdere con dignità, riconoscendo il valore dell’avversario, gareggiare per misurare se stessi, come mezzo per migliorarsi, non per voler battere l’altro a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, questo sarebbe la negazione non solo dello spirito sportivo, ma dei principi morali che porterebbe all’annullamento della vita civile. Per i giovani è importante giocare in modo sano, divertendosi, imparando a rispettare gli altri e le regole che il gioco impone. Per questo è fondamentale avere esempi corretti sia da parte dei giocatori, che devono riscoprire la voglia di giocare rispettandosi, sia da parte d’alcuni tifosi che devono capire, per quanto li riguarda, che in fondo…è solo un gioco.
Il calcio è uno sport bellissimo, più volte rimango affascinato da un passaggio smarcante o dal modo in cui un giocatore tratta la palla, serpeggiando tra gli avversari. Certamente sono anche tifoso di una squadra di calcio, mi esalto per i suoi successi, però non mi dispero più di tanto per le sue sconfitte. Sì, è vero, se la nostra squadra perde ci rimaniamo male, ma in fin dei conti gli unici a rimetterci di tasca e di faccia sono i giocatori o i proprietari delle squadre. Pertanto a noi conviene continuare a goderci lo spettacolo e la festa, quando la nostra squadra del cuore vince, se poi perde festeggeremo alla prossima vittoria.