Sono tante le storie di chi viaggia in nome della paura o in nome della speranza, attraversando innumerevoli difficoltà e umiliazioni, per arrivare nel Paese dove potrà avere un futuro. Diverse sono le origini, le usanze e le lingue, diverse le motivazioni che spingono queste persone, così lontani dalle proprie radici. Diversa è anche la destinazione che ciascuno di loro ha scelto. C’è chi tenta di ricongiungersi con la propria famiglia o ha un lavoro che lo aspetta e parte con tanta volontà, ma inconsapevole del percorso che lo attende.
Eppure, nonostante tutte queste differenze, la via è una sola, un’immensa distesa blu: il mare; che non sempre è il mezzo per andare oltre: infatti per alcuni si trasforma in una gabbia, tra le cui onde rimarrà imprigionato e i cui sogni saranno per sempre trasportati da costa a costa. Questa realtà, ora, è lontana dalla nostra, però è fondamentale sapere come eravamo noi quando abbiamo “invaso” il mondo in cerca di lavoro.
Eravamo pieni di speranza, per una vita migliore, perché tutto ciò che accade oggi agli extracomunitari in Italia, è già accaduto a noi tanti anni fa in America, in Europa, in Oceania. Chi di noi italiani non ha nella propria famiglia almeno un antenato pioniere dell’emigrazione? Dal Veneto alla Sicilia, dalla Liguria alla Puglia.
Dall’unità d’Italia a oggi, tre milioni d’italiani sono partiti per “invadere” il mondo: una quantità di persone pari alla metà della popolazione odierna. I lutti causati dalla mancanza di sicurezza e dallo sfruttamento che i nostri avi hanno dovuto subire, fanno parte della nostra cultura e del nostro patrimonio storico. Ieri eravamo noi i reietti che andavano verso il buio delle miniere del nord, che uscivano con le facce nere dai pozzi, oggi sono gli altri a venire a lavorare da noi.
Quindi, l’atteggiamento giusto per affrontare il presente, che ci vede nell’abito inusuale di paese ospitante, si rivela quello di rivalutare il passato, per non dimenticarci di come eravamo, proprio per non fare un torto alle nuove generazioni di immigrati e a quelle, passate, dei nostri connazionali. Ora noi stringiamo in mano una carta d’identità e ci appelliamo a dei diritti, siamo abituati e educati alla libertà e possiamo immaginare e progettare il nostro futuro, avendo milioni di possibilità di fronte a noi.
Non è così per chi decide di emigrare. A volte l’indifferenza e la discriminazione nascono proprio dalla mancanza di conoscenza e d’informazioni. Perché non possiamo conoscere le cause di queste catene, non possiamo capire quanto siano strette, quante riflessioni e ripensamenti, prima di fare il grande salto, o quale sia l’intensità della fede che fa credere loro di poterci riuscire. Eppure un considerevole numero di persone lo fa, insegnandoci il valore del coraggio. Purtroppo, ancora oggi, donne incinte, bambini e uomini s’imbarcano sulle cosiddette carrette del mare, con speranza che qualcuno li salvi in mezzo al mare e li porti con se per liberarli dall’orrore delle guerre.