Sempre più spesso al giorno d’oggi siamo bombardati, su Facebook e altre piattaforme sociali, da foto e video di bambini. Ce ne sono di ogni tipo, di ogni età e immortalati in ogni momento della loro vita, dal più glorioso – come la nascita – al più semplice, ordinario.
Questa mania di condividere bambini a profusione sui social network viene direttamente dai loro genitori, ed ha un nome ben preciso: sharenting (da “share”, condividere, e “parenting”, essere genitori). Il termine è stato coniato nel 2014 dal «Wall Street Journal» per descrivere l’uso eccessivo, da parte dei genitori, di condividere in rete contenuti basati sui propri figli. E ‘legato al concetto di “troppa informazione”.
Un’indagine condotta dai ricercatori del C.S. Mott Children’s Hospital dell’Università di Michigan ha cercato di spiegare lo sharenting, facendo emergere i fattori positivi e negativi. Per molti genitori 2.0 questa attività è tra le più frequenti e normali compiute nell’arco della giornata, perchè è sempre più difficile oggi resistere alla tentazione di condividere tutto ciò che riempie la nostra vita – o di riempire la nostra vita condividendo tutto.
Ma il rischio di una tale mania mette a repentaglio prima di tutto i bambini stessi, poiché ogni dato pubblicato in rete è una minaccia sulla loro privacy, creando, oltretutto, una loro identità digitale prima che diventino adulti e in grado di usare consapevolmente gli strumenti web.
In forme estreme, lo sharenting ha portato a un fenomeno etichettato come “sequestro digitale” dei contenuti online, in cui estranei si sono appropriati illecitamente di foto e informazioni di bambini sconosciuti (postati dai propri genitori) spacciandoli come loro figli.
Il «Wall Street Journal» ha citato il professore di Psichiatria della Stanford University, Elias Aboujaoude, il quale afferma che lo sharenting si muove su un doppio binario negativo, che riguarda tanto i genitori quanto i loro figli.
Per i genitori, in quanto può trasformare la paternità in una competizione per l’attenzione, smania che devia letteralmente dalla responsabilità genitoriale. Per i bambini, perchè la pratica è stata legata sia ai predatori online, che potrebbero utilizzare le informazioni, sia ai bambini stessi, che possono essere colpiti da reazioni negative e avere difficoltà a formare una propria identità separata dal personaggio online creato da genitori.
Lo sharenting non è mai volontariamente nocivo, perchè è espressione della gioia di essere genitori e della voglia di rendere tutti partecipi condividendo in abbondanza; ma spesso si esagera e si rischia di mettere a repentaglio la privacy e la sicurezza dei propri minori. Bisogna, perciò, fare molta attenzione a ciò che si pubblica, riflettendo sempre sul fatto che i social network sono come una grande piazza virtuale: quale genitore lascerebbe mai solo il proprio figlio in mezzo a una grande piazza?