Rapporti sempre più tesi tra India e Italia. Dopo Finmeccanica, l’“inaccettabile” comportamento italiano sui Marò
È ufficiale: i due fucilieri di Marina italiani, conosciuti ai più come i due marò, non torneranno in India. Questo l’annuncio dato dalla Farnesina che ha lasciato sgomente le autorità indiane. All’ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, il compito di comunicare al governo indiano la decisione che non sarà rispettato l’impegno preso circa il ritorno dei due militari davanti alla Corte Suprema indiana. Immediata la reazione del primo ministro indiano, Manmohan Singh: “Il nostro governo ha già reso noto che questa decisione è inaccettabile. L’Italia ha violato ogni regola diplomatica, il che non è nell’interesse di relazioni bilaterali che si basano sulla fiducia. E – conclude – incitiamo a rispettare gli accordi presi davanti alla Corte suprema e chiediamo il ritorno delle persone accusate, cosa che continueremo a fare attraverso il canale diplomatico, se non terrà fede ai suoi impegni, per l’Italia ci saranno conseguenze”.
Le reazioni oltrepassano il livello istituzionale, portando i pescatori a minacciare di bruciare le foto raffiguranti i volti di LaTorre e Girone davanti alla sede del governo, se non verranno presi dei provvedimenti contro quello che la stampa indiana definisce “an italian job”. Il solito italian job.
Secondo la Farnesina l’India avrebbe violato gli obblighi internazionali, specialmente il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi dello Stato straniero e le regole della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. Sta di fatto che due pescatori innocenti sono stati scambiati per pirati e uccisi dai nostri militari, e che l’Enrica Lexie, la petroliera italiana, non si trovava in acque internazionali, in virtù della Convenzione Internazionale del 1988, la quale stabilisce che, in caso di atti illeciti, la giurisdizione di uno Stato arrivi fino a 200 miglia dalla costa.
Da sottolineare che il governo italiano ha ampiamente riconosciuto “l’errore” commesso dai due marò, elargendo un cospicuo risarcimento di carattere extra-giudiziario alle famiglie dei due pescatori uccisi di circa 300.000 euro, in seguito al quale i famigliari hanno ritirato le denunce, lasciando dalla parte dell’accusa solo lo stato del Kerala. Mossa interpretata dai media italiani come un’azione compassionevole degna di encomio, e dai media indiani come indiretta ammissione di colpa e manovra, neanche troppo implicita, per attenuare le tensioni. Come dicevamo prima, an italian job. E nemmeno l’ultimo, dato che la decisione di trattenere gli imputati è arrivata all’indomani della consegna da parte italiana di documenti di Finmeccanica riguardanti le presunte tangenti pagate per i 12 elicotteri della Augusta Westland all’aviazione indiana, che aprirebbero l’ipotesi, ancora non accertata, di eventuali trattative sottobanco tra i due governi.
L’Italia ha comunque assicurato al governo indiano la sua disponibilità a recarsi davanti ad un arbitrato internazionale o ad una risoluzione giudiziaria che metta fine alla controversia prima che questa incrini significativamente i rapporti tra i due paesi, sempre più burrascosi negli ultimi tempi. Intanto il ministro Terzi ha ricordato, rivolgendosi all’Unione Europea, chiamata ad esprimersi sulla questione, che in India vige la pena capitale, elemento che obbliga l’Italia a non restituire un prigioniero. Catherine Ashton assicura che la Ue prenderà nota delle dichiarazioni del ministro e «spera che si trovi una soluzione nel pieno rispetto della convenzione Onu sul diritto del mare e delle leggi internazionali».
È vero, in India vige la pena di morte, ma questa sa tanto di scusa dato che i due marò non hanno passato un solo giorno all’interno delle carceri indiane, passando da guesthouse ad hotel con tanto di tv. In Italia invece, dove non esiste la pena capitale, ci sono le carceri più sovraffollate dell’Unione europea, in stato di emergenza per sovraffollamento dal 2010. E’ bene ricordarlo, prima di puntare il dito.