E’ bastato un ritocco degli spread per modificare nel giro di qualche mese l’intera offerta dei mutui e dei finanziamenti in generale, dove c’è stato il netto superamento delle richieste rispetto a quelle delle cessioni del quinto che sono state protagoniste nei periodi più bui dell’attuale crisi.
Secondo il rapporto di Crif, le erogazioni dei mutui in forte aumento (trend confermato anche per il primo trimestre dell’anno in corso, con un +35%), deve la sua vivacità soprattutto alla riduzione degli spread, che hanno reso i mutui attuali molto più appetibili rispetto a quelli stipulati qualche anno fa.
L’impatto di spread e mutui sulle compravendite
Quanto detto finora non ha un impatto nettamente positivo sulle compravendite, dal momento che a trainare l’intero comparto mutui sono soprattutto quelli di surroga, attraverso i quali si cerca di rendere il peso delle rate più sopportabili, o in alternativa ottenere nuova liquidità per rimettere a posto il dissesto dei conti gonfiato dalla crisi economica stessa. Ma dato che protagonisti di questa ripresa del settore del credito sembrerebbero essere in modo incontrastato gli spread, le cose stanno veramente così?
Crif è intervenuta anche per condurre un’analisi sull’offerta rilevando che il calo degli spread c’è stato, ed anche di entità sostanziosa, con uno sconto che arriva anche al 30% per il miglior mutuo a tasso variabile e del 47% per quelli a tasso fisso, come comunicano i siti specializzati del settore. Se a fine 2014 uno spread per un mutuo a tasso variabile si aggirava intorno ai due punti percentuali, ora è possibile trovarlo in un range (a seconda del taglio più o meno promozionale dato dalla banca offerente) tra l’1,3% e l’1,7%. Nel caso dei mutui a tasso fisso la situazione migliora ancora per coloro che decidono di pagare adesso e per qualche tempo un tasso finito leggermente superiore a quello dei tassi variabili, mettendosi però al sicuro anche di fronte ad inevitabili e futuri aumenti.
Di contro però, dopo una breve ripresina, il numero di compravendite segna ancora una volta una contrazione, questa volta pari al 3% che spegne l’ottimismo di quanti pensavano che si fosse giunti finalmente ad una volta per la ripresa.