Il Piddino: Luogocomunismi sognanti di un liberista anticasta non pentito
Ero seduto sul treno, mattinata inoltrata, nel tragitto di ritorno a casa dopo la lezione di geografia economica. Passò il capotreno. Disse che il mio vagone era l’unico in cui il riscaldamento non funzionava. Ecco spiegato il motivo per cui era quasi vuoto, mentre negli altri non si riusciva a trovare posto. Poco male; perché faceva fresco, sì, ma non eccessivamente e il mio comodo giaccone invernale poteva tenermi caldo a sufficienza per quella mezzoretta di viaggio. Spostarsi più avanti? Il gioco non sarebbe valso la candela; ero abbastanza stanco e avrei rischiato di dover poi tornare indietro a sedermi nuovamente nel posto in cui comodamente (ri)posavo le terga. Meglio patire un po’ freddo, avrei potuto resistere.
Egli disse: «Il Governo [Monti] avrebbe dovuto fare un disegno di legge per dimezzare il numero dei parlamentari e porvi la fiducia; se fosse passato, dal giorno successivo metà sarebbero andati a casa, nel caso contrario si sarebbe dimesso e sarebbero andati tutti a casa; e se poi avesse fatto una campagna elettorale spiegando l’accaduto, lo avrebbero votato tutti quelli che alle ultime elezioni hanno dato il voto a Grillo».
All’udire ciò, sobbalzai. Parole simili le avrebbe potute proferire solamente qualcuno di nostra conoscenza. Quindi mi voltai all’istante. Era proprio un esemplare giovane di Piddino, probabilmente universitario come me, forse qualche anno in più di me, ma sicuramente sotto i trenta. Era con alcuni amici o compagni di studio, anche loro indubbiamente Piddini, e stava commentando il risultato delle ultime elezioni politiche. Costretto ad ascoltare le loro luogocomunistiche lamentele della stupidità degli italiani, anche nell’urna, e di tante altre luogocomunistiche cose, iniziai a scaldarmi. Paradossalmente però, la voglia di emigrare, che prima cresceva con il freddo che mi stava venendo, questa volta continuava ad aumentare, crescendo quindi con proporzionalità non più diretta, ma inversa, al caldo che mi saliva per il nervoso di sentire certe “piddinate“. Però, sapendo che a voi queste cose interessano, specie se commentate e analizzate nella loro inconsistenza, ho deciso di restare, pensando che potesse essere uno spunto stimolante per una puntata della rubrica “Il Piddino”.
Innanzitutto prendiamo atto che il nostro amico appartiene ad una sottospecie piuttosto filomontiana, quindi un Piddino non necessariamente PDino, anche se potrebbe esserlo. Sicuramente è però un PUDino, affiliato al Partito Unico Dell’Euro. Infatti sarà lui stesso, alla fine, a rivelarci la sua preferenza per Oscar Giannino, nonostante tutto, (non) lauree e (non) master compresi.
A prescindere dall’antico adagio secondo cui la storia non si fa con i “se”, a prescindere dal dissidio tra “essere” e l’imperativo “dover essere” e a prescindere da qualsivoglia giudizio assiologico sulle leggi italiane, nelle parole del Piddino notiamo una sostanziale ignoranza dell’attuale ordinamento italiano e delle norme che lo regolano. Infatti, per una modifica al numero dei parlamentari è necessario seguire un iter di revisione costituzionale, in quanto è la Costituzione a stabilire il numero dei parlamentari di ambo le Camere. Per il principio gerarchico delle fonti normative risulta appunto impossibile modificare con una legge ordinaria il contenuto della carta costituzionale. Si noti, inoltre, che durante la scorsa legislatura, precisamente nelle Commissioni Affari Costituzionali, sono state presentate una ventina di proposte di leggi ad hoc per la riduzione del numero di deputati e senatori, sulle quali comunque, secondo la dottrina (Ruggeri, D’Andrea), non è possibile porre la fiducia su una legge di rango costituzionale. Il percorso sarebbe stato ben più lungo di una semplice votazione, poiché sarebbe stato necessario il voto favorevole di Camera e Senato in due approvazioni a distanza non meno di sei mesi. Se non si fosse raggiunta la maggioranza dei due terzi avrebbe implicato anche la possibilità di un referendum “confermativo”. Ad ogni modo gli effetti sarebbero valsi a partire dalla legislatura successiva, e non da quella approvante, in modo immediato, come il nostro amico vorrebbe farci credere.
Non vorrei, inoltre, soffermarmi troppo a lungo su quanto affermato in altre occasioni, ossia sulle accuse di “qualunquismo” che avrebbe fatto prendere milioni di voti “a Grillo”, o meglio, al MoVimento 5 Stelle. Non ora, ma sicuramente nelle prossime puntate incontreremo anche Piddini Grillini e sarà un altro paio di maniche. Come scrissi, oltre i “vaffa” c’è di più, altrimenti non si spiegherebbe per quale motivo il M5S abbia preso 8 milioni di voti in più rispetto a “Fare per Fermare il Declino”, che avanzava proposte analoghe sui tagli “alla casta politico-burocratica”. La visione economico-sociale era invece agli antipodi. Questa sì “qualunquista”, perché analogamente a quanto esposto nel programma del Fronte dell’Uomo Qualunque, vorrebbe che tutto fosse demandato alla chimerica efficienza degli anonimi mercati finanziari. Da Giannini a Giannino, il passo è vicino.
Infine un’ultima cosa. Appartiene alla categoria di luogocomunismo anche la favoletta del governo che se sfiduciato manderebbe tutti a casa. In realtà, come si è visto più volte, la palla passa in mano al Presidente della Repubblica, che dovrà gestire la crisi di governo nella maniera ritenuta più appropriata.