Nella giornata di ieri l’Istat ha inviato alla Camera un rapporto che dimostra come il 30% delle donne lavoratrici lascia la propria occupazione dopo la gravidanza: in più lo studio mette ulteriormente in risalto le disparità tra maschi e femmine sia all’interno della famiglia che sul piano delle pensioni.
Lavoratrici, 30% si dimette dopo il parto, diffusione del part-time
L’Istituto di ricerca ha quindi svelato che il 30% delle lavoratrici decide di dimettersi dopo il parto; il dato si riduce al 25% se si considerano solo le donne nate dopo il 1964. La statistica è molto influenzata anche dalla crisi, visto che il livello di abbandono tra il 2005 e il 2012 è cresciuto dal 18,4% ad oltre il 22%. Nella grande maggioranza dei casi (circa il 60%) prima di rientrare al lavoro c’è un’attesa di almeno cinque anni.
Dall’indagine Istat emerge che il percorso delle lavoratrici spesso è atipico, infatti solo il 61,5% delle donne ha seguito un percorso standard (il dato per gli uomini è del 69%). Inoltre la quota di lavoratrici irregolari è superiore rispetto a quella degli occupati maschi (11,1% contro 8,9%): questo vuol dire che le nuove mamme spesso decidono di lasciare la propria occupazione non solo per motivi familiari, ma anche per difficoltà legate al contratto.
Nel corso degli anni si è andato sempre più diffondendo il lavoro part-time tra le donne: se nel 1993 questo coinvolgeva il 21% delle lavoratrici, nel 2013 il dato è arrivato al 32,2%. Questo significa anche un livello di retribuzione più basso e, di conseguenza, contributi versati di importi minori.
Disparità tra uomo e donna e pensioni sotto i 1.000 per il 52,8%
La disparità tra uomo e donna si fa ancora più netta quando si vanno ad analizzare i compiti svolti all’interno della coppia: il 72% delle ore di lavoro necessarie per la cura delle coppie con figli viene svolto dalle donne; in più la scarsità dell’offerta di servizi per l’infanzia rende per le nuove mamme ancora più difficile la conciliazione tra casa e lavoro.
Queste differenze tra maschi e femmine, afferma l’Istat, sono destinate a non sparire fino a che persisteranno quelle disuguaglianze di genere presenti nel mercato del lavoro e nell’organizzazione dei tempi all’interno della coppia/famiglia e fino a quando non verrà realizzata un’adeguata rete di servizi sociali dedicati all’infanzia.
Dati non proprio positivi arrivano anche dalle pensioni: nel 2014 più della metà (il 52,8% per la precisione) delle donne in pensione ha incassato un assegno mensile inferiore ai 1.000 euro e nel 15,3% dei casi la pensione non raggiunge i 500 euro. Solo il 10,2% delle pensionate percepisce più di 2.000 euro al mese (percentuale che arriva al 23,9% per gli uomini). Le donne rappresentano la maggioranza (52,9%) del popolo dei pensionati, ma percepiscono un importo mensile medio di 1.095 euro, contro i 1.549 euro incassati dagli uomini.