Diritti in Italia: siamo un Paese democratico?
La Francia “socialista” di Hollande e l’Inghilterra conservatrice di Cameron, sulla scia americana di Obama, si sono schierate a favore dei diritti di quella minoranza che nella tradizione, soprattutto quella made in Italy/Vatican city, è sempre stata schiacciata e tenuta in ostaggio. Il Cardinal Bagnasco, a seguito delle decisioni europee in merito ai matrimoni gay, si è detto preoccupato di questa linea che aprirebbe a questioni come l’eutanasia, l’aborto e la procreazione assistita, tematiche controverse per la cultura cattolica. Ma, di fatto, la messa in regola dei matrimoni gay ha rappresentato un punto di rottura con i vecchi moralismi che si limitavano a puntare il dito contro un obiettivo al fine di indurlo a conformarsi alla regola, eliminando di fatto la diversità, invece che concepirla come risorsa di crescita del Paese. In Italia, questo tipo di meccanismo per cui la diversità è un pericolo, sopravvive ancora fortemente radicato nelle idee della tradizione
cattolica che inneggia all’amore e all’inclusione sociale, ma che, alla prima occasione, sceglie esattamente l’opposto con l’intolleranza ed esclusione.
Pochi giorni fa si è concluso il 63° Festival di Sanremo, un’edizione sicuramente alternativa alle precedenti per i temi toccati e difesi, ma è questo sufficiente per desumere che l’italia stia iniziando a svegliarsi pretendendo che i suoi diritti vengano riconosciuti, a prescindere che siano diritti per le donne, gli omosessuali o i lavoratori? Sicuramente è vero che il potere della Chiesa si è nettamente ridotto con l’ultimo pontificato e certamente l’attuale papa non ha tutte le colpe. Lo sviluppo della tecnologia della comunicazione attraverso internet ha consentito all’informazione di diffondersi in modo più rapido e pervicace, rendendo inoltre più semplice l’accesso a culture e modi di pensare alternativi alla nostra tradizione, normalmente veicolata da istituzioni quali famiglia, scuola, Chiesa e mezzi di comunicazione classici. C’è possibilità, dunque, che una donna sia considerata tale, non solo per la lunghezza della sua gonna o per la capienza del suo reggiseno? C’è speranza di progettualità per quelle coppie differenti dal solito cliché della famiglia modello eterosessuale del Mulino Bianco? Come definire uno stato avverso al cittadino che sottrae diritti conquistati? Provando a dare una risposta a questi interrogativi, va ricordato che un Paese è considerato più o meno democratico e civile in base ai diritti e alla tutela offerta alle minoranze della società.
Il dibattito è aperto.