Alain Goussot: Globalizzazione e Modernità

Pubblicato il 17 Apr 2013 - 2:55am di Redazione

Il Prof. Alain Goussot* ci parla dei vari aspetti relativi alla globalizzazione: identità, uguaglianza, bene comune

GoussotLa globalizzazione ci ha messo dinanzi al fenomeno del multiculturalismo e a tutto ciò che esso implica. Un  problema fra tutti è la ridefinizione dell’identità del Noi. In relazione a ciò, in campo educativo come  sarebbe meglio condurre, in una prospettiva di vivere comunitario, le nuove generazioni a scoprire e conservare le proprie “tracce storico- culturali” e quelle altrui?

Per prima cosa, quando si parla di globalizzazione si deve iniziare ad essere più precisi. Questo fenomeno, oggi, è ovviamente di tipo economico e finanziario. Poi c’è  tutto quello che comporta in termini di modello di sviluppo. Per parlarci chiaro, in questi ultimi trent’anni c’è stata un’espansione vertiginosa a livello globale del modello consumistico di tipo capitalistico, che tuttora sta dominando nel cuore delle società industriali. Quindi, è nata la questione di come combinare questa nuova forma di neocolonialismo, di nuova colonizzazione  e, soprattutto, di imporre un processo di assimilazione, o meglio di acculturazione, centrato però sul modello dominante di vita e di pensiero. Questo ha provocato, ovviamente, alcune reazioni, per esempio quello che è accaduto dopo l’11 Settembre. Basta pensare anche alla teorizzazione di Huntington , il quale ha parlato di scontro di civiltà.  Tutto ciò ha provocato una reazione di difesa dell’identità a fronte di un tale tentativo omologante. Purtroppo queste reazioni si sono anche tradotte in forme di ripiegamento, cioè di difesa ad oltranza di un’ampia dimensione della propria identità. Tuttavia, noi sappiamo che, in realtà, le cose sono molto più complicate, che  il mondo non è ne bianco ne nero ma spesso grigio, colori intermedi. Allora, la questione è, a livello più generale e a livello educativo nello specifico, come trovare un punto di equilibrio tra la possibilità di comunicare con gli altri, di incontrare gli altri , di ascoltare gli altri e  l’Altro che abbiamo dentro di Noi. Contemporaneamente, però, di essere se stessi perché, è altrettanto evidente, che non ci può essere dialogo interculturale e riconoscimento della differenza se io non so chi sono. Questa è una prima considerazione. Le cose, però, sono molto più complicate.
Lei parla anche di nuove generazioni. In realtà c’è anche stato un processo molto ambiguo e pericoloso di smottamento e cancellazione della memoria storica e questo anche  in relazione a quanto diceva il pedagogista americano John Dewey, autore di un grande testo intitolato “Democrazia ed educazione”, che sottolineava come , in tutti i momenti della storia, in tutte le società e in tutte le culture, la generazione adulta ha sempre avuto la funzione di educare e, quindi, trasmettere un patrimonio di esperienze. Poi ogni generazione le fa sue in modo diverso, perché le rielabora attraverso la propria esperienza. Il problema è che questo processo di trasmissione sta cessando, è come se gli adulti avessero smesso di svolgere la funzione che storicamente hanno sempre svolto. Questo ha creato un vuoto che è anche un vuoto di identità, in quanto l’identità deve basarsi sulle radici. Un albero, uso un’immagine che utilizzava un grande antropologo africano  Amadou Hampâté Bâ, il quale, usando appunto la metafora del Baobab, diceva che questo splendido albero è così grande perché ha delle radici profonde. Oggi tuttavia quest’operazione di trasmissione si sta interrompendo.

Spesso si ha paura del diverso e lo si rifiuta. A loro volta, coloro che percepiscono se stessi in modo alterato o diverso tendono ad alcune forme di sofferenza psichica. Questo fenomeno, oggi, è molto evidente nella misura in cui c’è una grossa quantità di stereotipi e modelli che, seguendo anche i canoni della cultura dominante, hanno reso il terreno fertile per il fenomeno dell’omologazione. O si è conformi e “giusti” o si è “fuori”. Come, a suo avviso, prevenire questo fenomeno e promuovere un sentimento di tolleranza e di interesse nei confronti dell’alterità?

globalizzazioneRiguardo a questo ho un posizione un po’ eterodossa. Inoltre, ho anche trattato questo genere di tematiche in un libro intitolato “Pedagogia dell’uguaglianza”. Io penso che negli ultimi anni abbiamo enfatizzato troppo il concetto di diversità, in quanto se io sottolineo solo il fatto che l’altro è diverso, la domanda diventa come faccio ad interagire con l’altro? Come faccio a riconoscerlo? Perché nel momento in cui io dico  “tu sei diverso da me”, già mentalmente ho creato una distanza. Allora credo che bisognerebbe partire da quello che chiamo “un’educazione al sentimento dell’uguaglianza”: ovvero, riconoscere anzitutto che siamo anche simili perché la similitudine tra di noi, quello che sentiamo in quanto appartenenti al genere umano, è identico in tutte le culture e ci permette di riconoscerci nella nostra identità non più in termini conflittuali ma positivi.
Un’altra cosa che secondo me spiega l’intolleranza, la paura dell’altro, quindi il razzismo e la xenofobia, è il fatto che vedo nell’altro un Io che paradossalmente mi assomiglia molto. Questo è un meccanismo psicologico molto complicato e profondo, perché se uno pensa a tutto il percorso di un bambino piccolo, sia dal punto di vista fisiologico che psicologico, è quello di distinguersi dalla figura materna e paterna. Però, anche in questo caso c’è il processo di distinzione, ma anche quello di identificazione. Fra l’altro faccio notare che, nonostante siamo anche il prodotto di un incontro tra due diversità, tuttavia facciamo una grande fatica a riconoscerlo nelle relazione con gli altri. In sostanza, io penso che rimparando a sentire l’altro come un altro Io diverso da Sé, cioè reimparando questo sentimento di uguaglianza, inteso come similitudine, potremmo poi aprire le porte per il riconoscimento del diverso.

Crisi, impotenza, disgregazione: con questi tre termini, diversi pensatori hanno definito la condizione storica e sociale attuale. Da questo punto di vista, molto spesso la popolazione giovane, soprattutto studentesca, di fronte a questa realtà sempre più difficile e “non all’altezza di tutti”, tende a congedarsi o peggio disinteressarsi, constatando un mondo terribile, ma senza di fatto la volontà di agire concretamente per migliorarlo. Come e perché, da un punto di vista anche pedagogico, combattere questa nuova forma di apatia e passività?

Effettivamente c’è una questione, che è sì anche generale e globale, ma credo che in Italia abbia una particolarità. Questo lo dico da persona che proviene da un paese nord Europa. Io mio rendo conto che se l’Italia di quando sono arrivato fosse stata come quella di oggi, non so se avrei fatto la stessa scelta. Detto questo, semplicemente, credo  che questo pessimismo e disimpegno giovanile sia un prodotto del modello culturale dominante, ovvero relativo ad un consumismo sfrenato, ad una concezione egocentrica e individualistica di concepire la vita, una superficialità nell’affrontare le questione fondamentali dell’esistenza e all’idea di privilegiare l’apparire più che l’essere. Semplicemente credo anche che sia in gran parte sparito il concetto di “bene comune”. Basta vedere queste ultime elezioni e notare che la politica è qualcosa di sconcertante; che queste forze politiche non hanno la consapevolezza della responsabilità rispetto alla gestione del bene collettivo e, in particolare, alle future generazioni. Perciò, di fronte ad un quadro simile, è comprensibile un certo disorientamento, ripiegamento, disimpegno ecc. Però bisogna anche sapere, e questo la storia ce lo mostra, che i grandi cambiamenti sono sempre arrivati dai giovani. Tre esempi: se si guardano le tabelle dei rivoluzionari francesi o russi o cubani si nota che avevano tutti tra i venti e i trent’anni. Perciò tutti i più grandi cambiamenti sono passati per le nuove generazioni. Penso che se un cambiamento non arriverà le cose peggioreranno, ma penso anche che l’attuale momento storico sia un bivio dove tutto è possibile.


AlainGoussot è docente di pedagogia applicata presso il dipartimento di psicologia e scienze della formazione dell’università di Bologna

Titoli di studio e diplomi:

– Licence en histoire et philosophie (Université libre de Bruxelles – 1978)

– Agrégé en pédagogie appliquée (Université libre de Bruxelles – 1978)

– Dottorato in storia (Istituto universitario europeo -Fiesole – Firenze – 1986)


Ecco il testo del Prof. Alain Goussot, di cui ha parlato in quest’intervista, che ti consigliamo per poter approfondire il suo pensiero:

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