La fine del Pd e il ruolo del M5S dopo la rielezione di Giorgio Napolitano
Ed eccoci qua. Dopo giorni (politicamente) drammatici, a raccogliere i cocci della nostra democrazia. Lo spettacolo inaudito al quale tutti gli italiani hanno assistito in occasione di queste elezioni del Presidente della Repubblica, presenta i tratti propri di un paese schizofrenico avvoltolato nelle proprie straripanti contraddizioni (sociali e politiche), di una classe politica ancorata alle proprie posizioni e completamente sorda alle prepotenti richieste sociali che emergono dalla crisi. Un paese sempre più in difficoltà, dove gli ultimi dati divulgati dall’Istat fanno rabbrividire, dove i suicidi continuano, dove la disperazione sociale si accompagna alla disgregazione economica e produttiva e dove la politica non propone alcuna soluzione, non traccia alcuna via d’uscita, ma si arrocca nel palazzo, intransigente, completamente incapace di leggere la situazione reale del paese.
La rielezione di un Presidente della Repubblica uscente (caso unico nella storia repubblicana), è più di una semplice scelta politica o strategica. È la dimostrazione lampante di quanta distanza ci sia tra le aspirazioni sociali al cambiamento e le risposte che la politica dà a queste aspirazioni. E’ la riprova che in questo paese nulla deve cambiare. E anche chi avrebbe potuto rappresentare un fattore di cambiamento, ha ampiamente dimostrato di non essere all’altezza del compito cui è stato chiamato.
Ed è così che possiamo assistere allo spettacolo del “Caimano” che, dopo la rielezione di Napolitano, tra i banchi dell’aula, se la ride alla grande. Con un colpo solo ha ottenuto la rielezione di un presidente accondiscendente come Napolitano (che in questi sette anni ha ampiamente dimostrato di essere di mano larga con Silvio Berlusconi e che anche in futuro rappresenterà una garanzia per i processi e i suoi guai giudiziari) e ha visto il maggior partito avversario sgretolarsi dall’interno.
E cosa vogliamo dire di questo PD? Era ampiamente prevedibile che questa sarebbe stata la fine ingloriosa del Centrosinistra italiano. Ma una figura di palta di queste proporzioni, non se l’aspettava nessuno. Un fallimento generale, totale, completo. Una Caporetto di proporzioni storiche. Che ha visto non solo le varie anime configgenti del PD, finora restate celate sotto il tappeto del finto antiberlusconismo, venire a galla con prepotenza, ma anche e soprattutto diventare evidente l’incapacità di questo partito ad approfittare delle occasioni politiche a disposizione. Così, nel giro di pochi mesi, il maggior partito italiano, ha sprecato in un sol colpo la possibilità di vincere delle elezioni già praticamente vinte, di formare un governo di cambiamento per questo paese e buttare a mare l’unità stessa del partito sull’elezione del Presidente della Repubblica. Forse nemmeno a farlo apposta si sarebbe riuscito in così poco tempo a sbagliare completamente tutte le mosse.
Una vergogna. Che pesa. Pesa tantissimo sull’Italia e gli italiani. Una debacle completa e imbarazzante. Che dire? Onore a Bersani e al gruppo dirigente più insulso della storia della sinistra italiana. Così, proprio chi avrebbe dovuto rappresentare il cambiamento, ha invece, con evidenza schiacciante, dimostrato agli italiani che questo paese non deve cambiare. L’immutabilità degli equilibri diventa così la regola aurea palese della politica italiana. Ma a quale pro? Chi ci guadagna veramente? Non certo il paese.
In un clima da si salvi chi può, questa classe politica sta salvando le braghe ai soliti noti che non può assolutamente permettersi un governo che prenda alcune decisioni importanti, come una redistribuzione più equa della ricchezza (attraverso una lotta reale all’evasione fiscale e una seria politica sociale), che ridefinisca (rinegoziandolo) la portata del nostro debito pubblico, che rinegozi e ridiscuta in Europa i Trattati e gli impegni sottoscritti dai precedenti governi (e che in questo momento rappresentano delle camice di forza insuperabili per la fragile economia di questo paese), che reimposti una politica di sviluppo pescando le risorse laddove ci sono.
I potentati di questo paese hanno, con queste giornate convulse di politica da palazzo, dimostrato quanto asservito sia il nostro paese a interessi che non sono quelli del popolo italiano. E questa politica da palazzo ha ampiamente chiarificato quanto inetta e inconcludente sia questa classe politica e quanto poco incisivo possa essere un Movimento come quello di Grillo, se dietro non esiste un discorso politico articolato e una chiara piattaforma programmatica capace di affrontare e azzannare alla gola i problemi reali del paese, se alle spalle di quei 150 deputati non viva e funzioni una struttura organizzata, forte, coesa e disciplinata, capace di elaborare una linea politica e strategica di una qualche consistenza. Se c’eravamo illusi che queste elezioni, anche se solo parzialmente, avrebbero potuto rappresentare in qualche modo una svolta, oggi siamo tutti costretti a risvegliarci dal sogno e piombare in una realtà ben diversa. Che è quella di un paese asservito ai diktat e alle volontà di Bruxelles, che va avanti con un governo-non-governo che lavora indefessamente per implementare gli “aggiustamenti” necessari voluti dall’Europa, nell’ombra, nel silenzio, alle spalle dello spettacolo indecente fornitoci da questi commedianti seduti in Parlamento.
E cosa cambierà, se Napolitano indicherà il “suo” governo e i “suoi” Ministri? Quale politica dovranno portare avanti? Se non la ormai famosissima “agenda Monti”?