Approfondiamo le vicende biografiche di Maometto, il quale, in meno di dieci anni, diffuse la sua influenza nella penisola araba, conquistando La Mecca nel 630.
La storia di Maometto
Maometto (Muhammad, il lodato) nacque intorno al 570 da Abdallah ed Amina, entrambi appartenenti alla tribù meccana dei coreisciti (Banu Quràysh). A soli sei anni rimase orfano, cosicchè venne affidato prima allo zio paterno e poi allo zio mercante Abu Talib. A venticinque anni Maometto sposò la quarantenne Khadija, una ricca commerciante che aveva deciso di assumere Maometto come suo collaboratore. Da questo matrimonio nacquero sei figli, ma solo le quattro figlie femmine sopravvissero, poichè i due maschi morirono in tenera età. Maometto rimase fedele a Khadija finchè rimase vedovo (nel 619) e lei, a sua volta, lo amò con devozione, diventando la prima islamica della storia.
I coreisciti avevano l’onore di gestire il santuario politeista della Kaaba, e quando quest’ultimo (poichè soggetto ad allagamenti) venne ricostruito, Maometto ricollocò la pietra nera (che si riteneva avesse poteri magici) al suo posto originario. La Kaaba era una meta di pellegrinaggio dove ognuno poteva adorare l’idolo preferito, e che apportava anche notevoli vantaggi economici ai coreisciti. Pertanto, quando un uomo benvoluto come Maometto iniziò a parlare di monoteismo (elevando Allah ad unico Dio) venne fortemente osteggiato.
Maometto ebbe la sua prima visione mistica a quarant’anni, mentre era in meditazione sul monte Hira. Un lunedì del mese di Ramadan gli apparve una figura alata, che si presentò come l’arcangelo Gabriele, ovvero come lo stesso messaggero divino dei testi sacri ebraici e cristiani. Appena gli venne annunciata la sua missione profetica, Maometto mise subito innanzi il suo analfabetismo, ma l’angelo lo incoraggiò a recitare, ovvero a ripetere a voce alta le sue parole (i versetti dettati da Gabriele vennero inizialmente annotati dai segretari di Maometto, e solo dopo la morte del profeta furono raccolti per redigere il testo sacro coranico).
Maometto rimase talmente sconvolto all’idea che proprio lui, un comune mortale, fosse stato designato come profeta che trascorsero ben tre anni prima che si decisesse a predicare pubblicamente il suo credo. Se suo zio Abu Talib (capo della sua tribù) lo proteggeva, un altro suo zio (Abu Lahab) lo metteva invece in cattiva luce, cosicchè il nipote era spesso oggetto di derisioni, insulti ed oltraggi. Maometto avrebbe voluto difendersi e proteggere i suoi compagni (che venivano regolarmente aggrediti e presi a sassate) ma i messaggi divini che riceveva lo invitavano alla pazienza ed alla sopportazione. Di conseguenza, nel 615 il profeta inviò parte dei suoi seguaci in Abissinia (prima egira). Il re etiope, seppur fosse cristiano, instaurò con i compagni di Maometto un legame che andava oltre la semplice tolleranza. Venne colpito, in particolar modo, dal rispetto che i musulmani avevano per Maria, alla quale venne poi dedicata la diciannovesima sura coranica (Maryam). Maometto era probabilmente venuto a contatto con il culto mariano anche tramite le colliridiane, donne arabe cristiane che offrivano alla Vergine pane e piccole torte.
Nel 619 Maometto perse lo zio Abu Talib, il quale abdicò al meno carismatico fratello Abbas, e quindi il profeta, sottoposto a nuove vessazioni, cercò rifugio presso l’oasi di Taif, ma venne respinto e fu costretto a tornare indietro. Di conseguenza, prima di avventurarsi in un altro rischioso viaggio, Maometto decise di ‘fare un sondaggio’ fra i pellegrini della Kaaba per vedere se qualcuno fosse disposto ad accoglierlo. La gente dell’oasi di Yathrib sembrò disposta a dargli udienza, poichè in quella città c’erano due tribù rivali da pacificare. Inizialmente si venne ad un primo accordo alla presenza di dodici uomini, ma il saggio zio Abbas suggerì al nipote di stipulare un secondo trattato al cospetto di settanta uomini, in base al quale Maometto sarebbe stato difeso anche con le armi (secondo patto di ‘Aqaba).
Il 16 luglio 622 avvenne quindi la seconda egira, ovvero l’emigrazione di Maometto dalla Mecca all’oasi di Yathrib, ribattezzata Medina (città del profeta). Essendo questa una data molto importante, al punto da segnare l’inizio di una nuova epoca, il calendario islamico inizia a computare il tempo da quel momento (il primo anno dell’egira, basandosi sul ciclo lunare, si estende dal 16 luglio 622 al 4 luglio 623).
Il profeta partì in gran segreto col suo miglior amico Abu Bakr e si narra che i due si salvarono da degli inseguitori poichè si rifugiarono in una caverna, la cui imboccatura venne parzialmente (e miracolosamente) ricoperta da un cespuglio di rovi, da una tela di ragno e da un nido di colomba, come se non vi fosse entrato nessuno da molto tempo (fonte 1, p. 125).
Nel primo anno dell’egira Maometto sancì quindi la costituzione di Medina, che segnò la nascita della prima comunità di credenti (Umma). Il profeta fece edificare una moschea, dove i fedeli venivano chiamati a raccolta per la preghiera da un uomo (muezzin) che si affacciava sul terrazzo di una torre (minareto). Appena giunto a Medina Maometto decise anche di sposare Aisha, la figlia di Abu Bakr, che era solo una bambina. Per regolare la sfrenata poligamia dell’epoca pre-islamica, Maometto stabilì che non si potessero avere più di quattro mogli, ma non applicò con se stesso questa regola. Quando morì, lasciò ben nove vedove, che non si risposarono più. Tranne Aisha, le mogli di Maometto erano state già sposate in precedenza (ad esempio con soldati caduti in battaglia). La settima moglie Zaynab era stata ripudiata da Zaid (uno schiavo affrancato che Maometto aveva adottato come un figlio). Avvenne infatti che il profeta vide la ‘nuora’ per caso senza velo e coi capelli sciolti, e rimase talmente colpito dalla sua bellezza che Zaid decise di fargliene dono. Alcuni matrimoni vennero combinati per stringere alleanze (come le nozze con Ramlah, la figlia del nemico coreiscita Abu Sufyan). E non mancarono, fra le sue spose, prigioniere di guerra (come la nobile moglie araba Juwayriyya e l’ebrea Safiyah).
Quando Maometto giunse a Medina, anche il ‘registro’ delle rivelazioni divine iniziò a cambiare, poichè se fino a quel momento aveva invitato alla pazienza ed alla sopportazione, ora legittimava Maometto ed i suoi fedeli a reagire in nome dell’oppressione subita (sura 22, versetto 39). Il profeta colse il messaggio al volo, ed iniziò a vendicarsi dei coreisciti attaccando le carovane che, piene di mercanzie, si recavano da La Mecca verso la Siria.
Nel secondo anno dell’egira avvenne la cosiddetta ‘grande battaglia di Badr‘, che in realtà, se paragonata ad altri eventi bellici che leggiamo sui libri di storia, fu solo un piccolo scontro, ma di grande portata simbolica. Il profeta aveva deciso di attaccare un’altra carovana, guidata dal coreiscita Abu Sufyan. Avendo saputo che quest’ultimo sarebbe passato presso i pozzi di Badr, Maometto vi inviò settanta uomini, che poi raggiunse il giorno seguente, con altri trecentosedici compagni. Tuttavia, stavolta i parenti coreisciti di Maometto (incluso l’anziano zio Abbas) non erano disposti a subire passivamente la razzia delle loro merci (anche se loro stessi avevano confiscato ogni bene che Maometto ed i suoi compagni avevano lasciato in patria). Di conseguenza, prepararono un esercito di mille uomini, che non esitò ad attaccare anche se, nel frattempo, il carovaniere Abu Sufyan era rientrato sano e salvo in città. Era il diciassettesimo giorno del mese di Ramadan, e si legge (sura 3, versetti 123-5) che Allah mandò in soccorso a Maometto, che era in evidente inferiorità numerica, migliaia di angeli, che atterravano il nemico, ma senza ferirlo, finchè un soldato in carne ed ossa accorreva e lo finiva. L’esercito di Maometto subì quattordici perdite, laddove quello coreiscita ebbe settantadue vittime, oltre ad un imprecisato numero di soldati fatti prigionieri, che vennero poi quasi tutti riscattati dalle famiglie.
Nel terzo anno dell’egira i coreisciti vollero la rivincita, che prese luogo sotto il monte Uhud, nei pressi di Medina. A capo dell’esercito ‘infedele’ venne messo Abu Sufyan, che portò sul campo di battaglia un idolo caricato su un cammello, oltre ad alcune donne che si arrampicarono su degli alberi per veder vendicata la morte di mariti, padri e/o fratelli. Durante questo scontro Maometto fu ferito e creduto morto, e quindi si sarebbe verificata una vera e propria disfatta se il giovane cugino Ali non fosse sopraggiunto in suo soccorso e non avesse raccolto lo stendardo (Ali era anche genero di Maometto, poichè quello stesso anno aveva sposato la prediletta Fatima, una delle figlie avute da Khadija). Abu Sufyan decise di ritirarsi quando sentì di aver ‘pareggiato i conti’, ovvero nel momento in cui a terra si contavano settanta vittime musulmane, lo stesso numero dei coreisciti a Badr.
A Medina vivevano anche tribù ebraiche, con le quali Maometto aveva stipulato un trattato basato sul reciproco rispetto. Tuttavia, già dal secondo anno dell’egira, questa pacifica convivenza aveva cominciato a scricchiolare, tanto è vero che Maometto aveva deciso di cambiare la direzione della preghiera (non più verso Gerusalemme, ma verso La Mecca) ed aveva anche spostato il mese del digiuno, che tuttora si svolge nel mese di Ramadan.
Le tribù ebraiche, seppur monoteiste, non avevano mai accettato Maometto come profeta, poichè ritenevano che il loro messia non potesse essere arabo. Maometto, invece, si considerava a tutti gli effetti discendente di Abramo, seppur non dalla parte del figlio Isacco, avuto dalla moglie Sara, bensì del figlio Ismaele, avuto dalla schiava Agar, che diede origine alle dodici tribù dell’Arabia. Maometto pensava che sia le scritture ebraiche che quelle cristiane fossero state (più o meno intenzionalmente) alterate nel corso del tempo, cosicchè la sua figura ne sarebbe uscita screditata. Su questo concordano tuttora molti studiosi islamici, che si appellano, tanto per fare un esempio, ad un passo del Vangelo secondo Giovanni (15, 26), l’unico evangelista che scrisse in greco nel primo secolo dopo Cristo, attingendo da documenti scritti in aramaico, la stessa lingua che parlava Gesù. Ebbene, in questo passo la parola greca ‘parakletos’ (‘il consolatore’ o ‘il difensore’, identificato con lo Spirito Santo) sarebbe stata utilizzata al posto di ‘periclytos’ (‘il lodato’), col risultato di non far combaciare il significato del secondo termine con ‘Ahmad‘, che dà origine al nome di Maometto (Muhammad).
Le tribù ebraiche ritenevano poi che il loro messia dovesse mettersi a capo di un popolo scelto, eletto, laddove Maometto apriva le braccia a chiunque volesse far parte della grande famiglia dell’Islam. Maometto era infine un profeta che elargiva, in nome di Allah, anche indicazioni di ordine pratico, che spaziavano dal modo di dividere il bottino fino al modo di fare prestiti o di pulirsi i denti. Questa caratteristiche suscitavano un senso di sbigottimento (se non di sottile ironia) negli ebrei, che ritenevano il loro Dio una figura altamente superiore, che non si sarebbe mai ‘abbassata’ a tali concrete contingenze.
Maometto, in breve, si sentiva ingiustamente snobbato, quindi non tardò a maturare sentimenti di rivalsa. Avendo sentito che la tribù giudaica dei Banu Qaynuqa, se avesse potuto, si sarebbe alleata contro di lui a Badr, non esitò (anche se non vi era stata una vera e propria violazione del trattato) ad attaccarla e poi a costringerla a lasciare Medina.
Nel quarto anno dell’egira si verificò anche l’emigrazione dei Banu Nadir, i quali, non volendo pagare un’ulteriore tassa a Maometto, avevano complottato per ucciderlo. Dovendo scegliere fra la guerra e l’esilio, scelsero quest’ultimo, abbandonando la coltivazione delle loro palme da dattero.
Nel quinto anno dell’egira una terza tribù ebraica, quella dei Banu Qurayzah, tentò di liberarsi di Maometto alleandosi sia coi coreisciti della Mecca che con i beduini del deserto. Maometto pensò allora di scavare coi suoi compagni una trincea attorno a Medina. Mai si presentò al suo cospetto un esercito così ingente, che tuttavia, anche se questa fu definita ‘la battaglia del fossato‘, non ebbe modo di combattere. L’esercito ‘infedele’ si bloccò dinanzi all’enorme scarpata, e venne solo tirata qualche freccia. Quando Amr, uno dei più valorosi guerrieri coreisciti, tentò di varcare l’ostacolo, il coraggioso Ali gli andò incontro ed ebbe la meglio su di lui. Tuttavia, per far disperdere l’esercito, Maometto ricorse all’astuzia, facendo mettere zizzania da una ‘talpa’ fra le file nemiche (è forse anche per questo che nel poema dantesco Maometto non compare fra gli eretici, ma fra i seminatori di discordia). I coreisciti tornarono a La Mecca, ed i Banu Qurayzah, accusati di tradimento, furono puniti in maniera inaudita. Maometto ordinò ad Ali e ad un altro suo compagno di passare a fil di spada gli esponenti maschi (anche adolescenti) della tribù, e di gettarli in una fossa comune (fonte 1, p.251). Solo trecento su mille riuscirono a fuggire nel deserto, e solo un piccolo numero venne graziato (fra cui un certo Zabir, che poi chiese ed ottenne di poter morire col resto della sua gente). Donne e bambini furono fatti prigionieri, ed una certa Rayhana, che rifiutò di sposare il profeta, fu tenuta come schiava.
Nel sesto anno dell’egira avvenne il patto di Hudaybiyyah, così chiamato perchè fu in questa località (nei pressi della Mecca) che il cavallo di Maometto si fermò, rifiutandosi di proseguire oltre. Suddetto patto scaturì dalle doti che Maometto aveva come stratega, poichè comprese che per sgretolare definitivamente l’alleanza fra le tribù ebraiche ed i coreisciti era necessario venire a patti con questi ultimi, accettando condizioni anche umilianti.
Le superstiti tribù ebraiche, anche se erano state esiliate, subirono nuovi attacchi da parte di Maometto, ad esempio quando decise di assaltare, nel settimo anno dell’egira, la fortezza di Khaybar, che si trovava a nord di Medina, e che era composta da sette fortini concentrici. Ali, che aveva lo scudo spezzato, si riparò con una porta pesantissima ed espugnò, uno dopo l’altro, tutti i sette fortini, che contenevano anche numerose ricchezze. I giudei dovettero arrendersi, ma ottennero di poter rimanere ad Khaybar a coltivare i frutteti in qualità di affittuari.
Nell’ottavo anno dell’egira, poichè i coreisciti violarono il patto di Hudaybiyyah, Maometto entrò vittorioso alla Mecca, senza che nessuno osasse contraddirlo. Il profeta ordinò di frantumare tutti gli idoli del tempio, risparmiando soltanto, oltre alla pietra nera, un’icona che rappresentava Gesù ai piedi di Maria. Anche se Maometto non pensava che Gesù avesse una natura divina, lo riteneva comunque un uomo senza peccato, nato dal grembo verginale di Maria, e suo più che degno precursore. E’ per questa ragione che riteneva l’evento storico della crocefissione un fatto assolutamente ingiusto, e non risolutivo e salvifico per l’umanità. Secondo gli islamici, Gesù è stato elevato al cielo ancora prima della sua morte (sura 4, versetti 157-8).
Dopo la conquista della Mecca molti neo-convertiti coreisciti (seppur senza convinzione) presero parte alla battaglia di Hunayn, che era diretta contro i Banu Hawazin, una tribù nomade e pagana che aveva a capo un rozzo pastore di nome Malik.
Nel nono anno dell’egira prese invece luogo la spedizione di Tabuk , nella quale venne accordata protezione ad un principe cristiano bizantino (ricordiamo che Maometto prese personalmente parte a ventisette spedizioni, seppur solo in sette vi fu battaglia). Anche in questo frangente giocarono un ruolo gli ipocriti, ovvero i seguaci più tiepidi e demotivati, che indussero molti soldati a non partire poichè si paventava una carestia. Maometto non prese mai severe misure contro gli ipocriti poichè sapeva che erano un inevitabile prodotto del sistema che aveva lui stesso creato (l’esenzione dalle tasse, ad esempio, era spesso la principale ragione per cui veniva pronunciata la professione di fede). Era poi abbastanza disincantato per comprendere che le conversioni, più o meno sincere, aumentavano di molto il suo carisma, tanto è vero che alla fine del nono anno dell’egira praticamente tutta la penisola arabica, dallo Higiaz allo Yemen, era sotto la sua influenza politica.
Nel decimo anno dell’egira Maometto si ammalò, ma fece in tempo a svolgere il suo ultimo pellegrinaggio alla Mecca, dove un’immensa folla ascoltò il discorso che tenne sul monte Arafat. Prima della morte, che avvenne l’ 8 giugno del 632, il profeta entrò nella moschea, chiedendo di poter riparare ai suoi torti prima del giorno del giudizio.
Secondo la tradizione islamica, Maometto svolse un viaggio ultraterreno mentre era ancora in vita, passando attraverso le torture dell’Inferno e le delizie del Paradiso. Il Paradiso islamico viene descritto come una meravigliosa oasi, dove scorrono ruscelli di acqua profumata, di latte, di miele e di vino. Vi sarà tanta frutta ed un albero talmente grande che sotto la sua rigenerante ombra si potrà cavalcare cento anni senza uscirne (fonte 2, p.199). Vi saranno stoviglie d’oro e d’argento, abiti di tessuto pregiato, tappeti e morbidi cuscini. Di tutto questo ben di Dio godranno sia donne che uomini, ma questi ultimi avranno un bonus in più, delle caste fanciulle dagli occhi neri (Huri) ed eternamente giovani. Nel Paradiso islamico non ci si ritroverà in forma di puro spirito, ma come sulla terra. Le mogli rivedranno il loro marito (se ne avranno avuto più di uno si dovrà operare una scelta) e riprenderanno la loro vita coniugale.
Maometto morì senza figli maschi poichè l’unico figlio Ibrahim, avuto da una schiava copta, morì in tenerissima età, come i figli di Khadija. Di conseguenza, il profeta non era ancora seppellito che si giunse sull’orlo della guerra civile per la sua successione, che si concluse con la proclamazione del suocero Abu Bakr a discapito del genero Ali. Pare che su questa decisione, oltre a questioni tribali, avesse influito anche un’insanabile antipatia fra Ali ed Aisha, poichè quando quest’ultima divenne vittima di una maldicenza (si insinuò che avesse tradito Maometto) non venne adeguatamente difesa dal cugino del profeta. La divisione fra sciiti e sunniti si origina proprio dal grado di importanza che Ali riveste all’interno dell’Islam, e che nel primo caso viene oltremodo idealizzato, anche a discapito dello stesso Maometto.
La più grande eredità del profeta rimangono senza dubbio le rivelazioni coraniche, la cui versione ufficiale (che leggiamo ancora oggi) venne redatta sotto il califfato di Uthman (644-654). Per gli islamici è molto importante mantenere la purezza (anche poetica e linguistica) del testo coranico, evitando perfino traduzioni. D’altra parte, forse non sempre è semplice adattare le rivelazioni (che si riferiscono alla società arabica del VI e VII secolo) ai tempi che corrono, soprattutto perchè, come abbiamo visto, Maometto non era solo un leader religioso, ma anche politico e militare. Il testo sacro assolveva perfino la funzione di ‘codice civile’, regolando la quotidiana convivenza fra cittadini (il diritto di famiglia, ad esempio, cerca di ispirarsi tuttora al Corano, nonostante il dibattuto ruolo della donna al suo interno).
Pertanto, a messaggi che invitavano alla fratellanza, alla lealtà ed alla generosità (non a caso l’elemosina è uno dei cinque pilastri dell’Islam) si affiancavano messaggi di tipo guerresco, ai quali si appella tuttora l’Islam più fanatico ed estremista per giustificare la vile ‘guerra santa’ della nostra epoca. Nel testo coranico Allah dimostra misericordia verso chiunque sia disposto a convertirsi, ma assai meno comprensione verso chiunque si ostini a rinnegarlo. I versetti tendono quindi a contraddirsi (l’intollerante versetto 5 della sura 9 si annulla, ad esempio, nell’umanitario versetto 32 della sura 5). Di conseguenza, sono nate diverse correnti coraniche (come quella mistica del sufismo) e questo dimostra che, anche se la parola Islam significa ‘sottomissione’, in realtà ognuno è assolutamente libero di decidere quali messaggi siano da ritenersi ‘arcaici’ e quali invece siano ancora attuali e portatori di valori sempiterni ed universali.
PRINCIPALI FONTI:
1) Muhammad Ibn Garir al-Tabari, Biografia di Maometto (a cura di Sergio Noya), Classici BUR, Milano: 2002
2) William E. Phipps, Maometto e Gesù, Oscar Saggi Mondadori, Milano: 2002
3) Francesco Gabrieli, Maometto, Istituto Geografico De Agostini, Novara: 1972
L’immagine dell’articolo risale al 1314-5 e rappresenta Maometto con i Banu Nadir e l’arcangelo Gabriele. Anche se il profeta, in linea di principio, non andrebbe raffigurato, sono ammesse rispettose eccezioni di indiscusso valore artistico.
Un ringraziamento al sign. Abdellatif Hamdi.
Ringrazio l’autrice per avermi aggiornato e arricchito intorno alla religione Islamica.