Yoshihiro Tatsumi: il lato oscuro del fumetto giapponese
Per quanto in Giappone esista un mercato estremamente variegato dal punto di vista del tipo di proposta e del target, in Italia il termine Manga è associato a un certo genere di pubblico e di storie, d’amore e per adolescenti, magari un poco svagati, o di adulti cresciuti nel mito dei cartoni animati che infestavano i palinsesti delle tv private durante la loro infanzia. Esiste però un lato oscuro del fumetto nipponico che solo da pochi anni ha conosciuto un relativo successo nel mondo degli appassionati di questa cosiddetta arte minore. Un lato oscuro che ha come esponente fondamentale Yoshihiro Tatsumi. Nato a Osaka nel 1935, Tatsumi è riconosciuto come il fondatore e il maestro del cosiddetto Gekiga, termine da lui stesso coniato negli anni sessanta in contrapposizione, o per meglio dire in alternativa, al Manga con cui viene genericamente indicato il fumetto in Estremo Oriente. La differenza va cercata nella prima sillaba: da Man-ga, ovvero immagine comica, si passa a Geki-ga, in cui Geki significa “dramma”. Una sorta di contrapposizione tra commedia e tragedia anche se Tatsumi non ha mai rinnegato o disprezzato la sua partecipazione al manga (fin dall’adolescenza ha infatti disegnato e pubblicato numerosissime storie tradizionali) bensì si è, col tempo, semplicemente spostato verso un tipo diverso di narrazione, che non aveva più alcuna appartenenza al fumetto classico. Una narrazione che, dal punto di vista delle tematiche, mostra in maniera esplicita situazioni di sesso, violenza, povertà, solitudine, disperazione, alcol, droga. L’ambientazione della maggioranza delle storie di Tatsumi è quella urbana, all’interno di una società giapponese in piena e rapida espansione, tra la ricostruzione del dopoguerra e il boom economico degli anni sessanta e settanta, in cui agiscono reietti umani che vivono ai margini dello sviluppo.
Si può definire Yoshihiro Tatsumi il cantore della sconfitta umana senza che venga eretta alcuna commiserazione o desiderio di rivalsa (in questo senso si può accomunare a scrittori come Carver o Pancake, anche per via della brevità delle storie e per lo stile secco usato). C’è solo il dolore da condividere con se stessi e basta, il proprio dramma personale che si consuma tra l’indifferenza della folla che ogni giorno va al lavoro o nelle minuscole stanze, nei luridi luoghi di lavoro o nei bar di quart’ordine. I protagonisti dei fumetti di Yoshiro Tatsumi spesso non parlano o, meglio, vengono omesse le loro parole, e la loro sofferenza sta tutta in un gesto disperato, o in un’espressione facciale, nella loro osservazione della miseria umana, prima di tutto della propria. Non c’è solo sconfitta, comunque: a volte, come nella vita di ciascuno, si accende qualcosa, una luce, che ravviva la tremenda esistenza quotidiana. Valga per tutti l’esempio della splendida storia “Make-Up” in cui un uomo, stanco della banale vita di coppia con la moglie, si trucca e veste da donna conquistando una ragazza che, una volta scoperto il suo segreto, decide di continuare ad amarlo come fosse una donna. E anche la vita coniugale trova un insperato nuovo inizio.
Un talento e un’opera, come si accennava all’inizio, poco conosciuti in Giappone ma di recente scoperta anche da questa parte del globo. Ha cominciato nel 2009 l’editore canadese Drawn & Quarterly grazie all’autore Adrian Tomine, ha proseguito il prestigioso festival di Angoulême nel 2012 premiando l’autobiografia a fumetti “Una vita tra i margini” (pubblicata in Italia da Bao Publishing), fino ad arrivare ad Erik Khoo, regista di Singapore che ha omaggiato Tatsumi nell’omonimo film. Presentato a Cannes, a Torino e già premiato a Reggio Emilia e proiettato in questi giorni a Bologna nell’ambito del festival Bilbolbul, “Tatsumi” mostra l’universo dell’autore giapponese tra reminiscenze autobiografiche e esempi delle sue storie più dure e belle: un buon prontuario animato per chi voglia avvicinarsi al mondo del gekiga in attesa che il catalogo di pubblicazioni italiane si arricchisca di nuove uscite.