Arriva nelle sale il film evento “Robinù” diretto da Michele Santoro. Vi forniremo trama, recensione e commento sul documentario.
In seguito ai continui arresti nel mondo della camorra si è creato scompiglio, i capi sono tutti in galera, ora chi comanda? Alcuni ragazzi dopo l’abbandono dei loro Capoclan, hanno provato a prendersi le piazze ma, o si sono uccisi tra di loro o sono nel carcere di Poggio Reale. E’ proprio da questo luogo ha inizio la narrazione documentaristica del primo film di Michele Santoro “Robinù” che, grazie ad alcune interviste fatte a ragazzi, genitori e personaggi correlati, ripercorre e crea una visione della camorra mai vista prima d’ora.
Recensione del film-evento “Robinù” di Michele Santoro
“Apprendere”, secondo l’Enciclopedia Treccani questa parola significa: “Ricevere e ritenere nella mente, imparare: a. cognizioni nuove; a. un’arte”. È una di quelle azioni, a differenza della soddisfazione dei bisogni primari, che inconsciamente applichiamo costantemente, con gli anni sempre di meno, ma un pizzico di conoscenza va sempre dissetata. Si comincia da piccoli, dove i bambini sono paragonabili a una “spugna” pronti ad assimilare qualsiasi cosa, come affermano “Le teorie dell’apprendimento” di Bondura dove, in esse, viene affermato il principio di modellamento di un bambino rispetto all’ambiente circostante. Ma cosa veramente ci circonda? Aprendo la nostra finestra di casa o camminando per strada, cosa vediamo?
Il cinema in quest’ultima stagione ha provato a rispondere a questa domanda presentando un panorama di Film che spazia su vari generi e, se ognuno di essi venisse guardato più a fondo, regalerebbe continui assist per più ampi dibattiti. Ad esempio analizzando il film di Genovese “Perfetti Sconosciuti” tramite dei quarantenni, viene approfondita la figura del cellulare all’interno della società e recentemente alle Giornate del Cinema di Sorrento ha ricevuto il biglietto d’oro, come secondo miglior incasso della stagione con quasi 3 milioni di spettatori, quanti di questi erano ragazzi?
Aprendo social network e avendo in mano uno smartphone comunicando oramai quasi soltanto tramite filtri, veniamo costantemente bombardati da campagne di comunicazione che influenzano (o hanno l’obbiettivo di) le nostre vite. Sfogliando Instagram, ad esempio, vengono mostrate le foto di ragazzi immersi nel denaro, sfarzo e divertimento. Su quest’ultimo tris di immagini Mtv ha costruito un format “#Riccanza” volto a sottolineare questi personaggi e dargli un epicità televisiva.
Analizzare l’etica di questa scelta televisiva, non è l’obiettivo di questo articolo, certamente questo continuo tsunami di messaggi può intaccare tra i ragazzi, soprattutto per chi nasce in una situazione di incertezza come nel Napoletano, nei quartieri più malfamati, dove lo Stato viene quotidianamente sostituito da una criminalità organizzata e molto preparata a soddisfare questa assenza.
Michele Santoro e la sua “Paranza dei bambini”
Dopo gli arresti dei capiclan nel napoletano, tutti i ragazzi che prima ne erano i sottoposti si sono ritrovati senza più una guida. In questo frastuono di voci e personaggi che si sono intrecciati tra pistole e voglia di scalare la piramide del successo del “tutto e subito”, alcuni sono morti altri si sono ritrovati a Poggio Reale. È proprio da questo luogo che Michele Santoro incentra il suo documentario. Attraverso le parole, le domande ma soprattutto i racconti, necessario per chi dal giornalismo è stato prestato al cinema, Michele mette insieme un ora e trenta di punti di vista su quello che in maniera romanzata Saviano ha narrato come “La paranza dei bambini” e in maniera documentaristica Santoro ha intitolato “Robinù”. Titolo che nasce da un inesatta pronuncia del principe dei Ladri ben più famoso “Robin Hood” citato durante il film da un padre nel definire il proprio figlio.
Ogni parola, ogni secondo, ma soprattutto ogni sguardo mostra come questi ragazzi abbiano ricevuto un influenza da parte di un mondo che gli ha promesso tutto troppo facilmente. Un Collodiano Paese dei balocchi dove chi ci si avvicina si trasforma in criminale e mette a paragone un Kalashnikov a una bella femmina come Belen Rodriguez. A una visione meno attenta il montaggio può risultare confusionario e la struttura dei legami degli intervistati non è facilmente riconducibile. Questa è una scelta voluta per permettere allo spettatore di entrare a pieno in quel mondo e riempire il proprio bagaglio di nuove nozioni.