Dieci anni di carriera per Emanuele Propizio, l’attore romano che si racconta in un’intervista esclusiva a Corretta Informazione, spaziando tra cinema, teatro, serie tv, calcio e beneficenza.
Maggio, caldo, tanto. È tempo di mare, di fresco, anche di festa. Alla proiezione stampa di “Tutto quello che vuoi” incrociamo Emanuele Propizio, che interpreta Tommi, uno dei quattro ragazzi protagonisti nel film. Questo è il suo ultimo lavoro di una carriera iniziata 10 anni fa con “Mio Fratello è figlio unico” che lo ha visto lavorare a fianco di attori e registi come: Carlo Verdone, Elio Germano, Christian De Sica, Robert De Niro, Daniele Luchetti, Giovanni Veronesi, i Vanzina e recentemente Francesco Bruni. Ripercorriamo, insieme a lui, un viaggio nei suoi primi dieci anni di carriera.
Emanuele, nel tuo sito scrivi: “Non avevo mai pensato di diventare un attore, prima di indossare casualmente i panni di uno sconosciuto”. Come sei arrivato ad interpretare Antonio “Accio” Benassi in “Mio fratello è figlio unico”?
Quella è stata un’esperienza nata per caso. Ricordo che ero a scuola, facevo la terza media. Chi faceva i casting per il film stava cercando un ragazzo molto genuino, con nessuna esperienza e che non facesse l’attore. Volevano scovarlo dentro le scuole. Così vennero a scuola e mi chiesero se volevo fare un provino. Inizialmente rimasi stupito, ero molto scettico nel pensare di fare una cosa del genere. Mi spinse molto la possibilità di saltare scuola (sorride, n.d.r.). In seguito parlai con la mia famiglia, loro mi indirizzarono nell’avvicinarmi a questa nuova esperienza, poi oltre tutto era un provino che si svolgeva a Cinecittà, dove non ero mai stato. E da lì eccomi qui.
L’anno dopo è stata la volta di Lucio Pregoni ne “I liceali”, come andò questa tua prima esperienza televisiva?
Dopo “Mio fratello è figlio unico” è stato un susseguirsi di occasioni. Ricordo che il film fece una bella impressione, specialmente agli addetti ai lavori. Eravamo tutti bravi: Elio, Riccardo, Angela Finocchiaro, Alba Rohwacher. Un cast messo su da un maestro come Luchetti che, come un direttore di orchestra, non ci ha mai fatto andare fuori tempo. Da lì mi chiamarono per due provini importanti: “I Liceali” con la casting Adriana Sabatini, con cui tutt’ora mi è capitato di lavorare, diretto da un grande regista come Lucio Pellegrini e il film di Carlo Verdone. Feci questo provino per “I Liceali” e mi presero praticamente subito. È un progetto a cui sono molto legato. Ogni volta che mi trovavo sul set ero felice, allegro di farlo, provavo un forte senso di appartenenza verso quel progetto. Era un divertimento quotidiano, tutti i giorni ci alzavamo per andare a lavorare ed eravamo diventati una classe, dei veri amici.
Hai citato il provino con il film di Carlo Verdone che ti ha visto tra i protagonisti. Mentre interpretavi il ruolo di suo figlio Steven, quali consigli ti ha dato sulla scena?
I consigli di Carlo sono talmente tanti che non me ne ricordo uno. Ho avuto la fortuna di conoscere una persona come lui con cui tutt’ora ho un rapporto meraviglioso. Mi ha insegnato tanto sia nel lavoro, che nella vita. Lui è un po’ il mio papà artistico. Tante persone mi hanno spesso paragonato a lui come suo erede, ma non lo sono, sono un altro attore. Lui è un caratterista, io sono più un interprete, avrei voluto fare il caratterista, ma riconosco che non è nelle mie corde e quindi posso prendere solo le cose belle che lui mi ha insegnato e che spero potrà fare ancora in futuro.
Quando sei sulla scena le tue interpretazioni colpiscono perché dai l’idea di essere naturale quando reciti.
Da un lato è vero. Dopo “Mio fratello è figlio unico” magari si pensa che ho interpretato ruoli naturali, ma io in realtà non ho niente che mi possa accomunare, ad esempio, a uno come Steven (il suo ruolo in “Grande Grosso e Verdone”). Per quel ruolo Carlo mi ha fatto studiare. Già da lì avevo capito che non era il mondo di “Mio fratello è figlio unico”, avevo capito che il mestiere dell’attore era interpretare anche altro, soprattutto i ruoli che potessero essere lontani da me. In seguito con “I Liceali” ho trovato un personaggio con una storia molto travagliata che richiedeva una grande preparazione da fare prima delle riprese. Ho capito che l’attore era un mestiere con delle difficoltà enormi. Dall’altro è impossibile non mettere qualcosa di me dentro qualsiasi personaggio che interpreto. Il mio metodo di studio, di approcciarmi con il personaggio, è capire se ho mai vissuto una situazione del genere nella mia vita, e poi riportarlo sulla scena. È normale, portare sempre qualcosa di me, poi il resto si crea.
Con Filmauro la tua prima esperienza con un’azienda così importante. Come ti sei trovato?
È stata senza dubbio una bella esperienza. Voglio molto bene a Luigi e ad Aurelio, mi hanno trattato come fossi un figlio, un fratello. Devo tanto a loro, l’esperienza è stata meravigliosa. Mi hanno sempre fatto sentire a casa e non mi hanno mai fatto mancare nulla. Sono legato ai film che ho con loro. Cominciando con Carlo e i due film con Veronesi, per cui mi sono innamorato artisticamente di lui. Giovanni Veronesi è stato l’unico regista a farmi tirare fuori cose che non pensavo di avere dentro di me. Poi mi ha fatto lavorare con l’attore più forte che c’è: Robert De Niro.
Cosa ha scovato in te Giovanni Veronesi?
In “Manuale d’amore 3” già aveva pensato a me mentre lo scriveva, ero Cupido, voce narrante. Per il mio ruolo era richiesto molto doppiaggio e non sai quanto è difficile. Lui con pazienza mi ha insegnato tante cose ed è stato sorprendente, mi ha fatto tirare fuori doti che non pensavo di poter avere. Il doppiaggio molto brevemente consiste nello stare tutto il giorno in questa camera buia con i sinc e tu devi inserire le battute. Stimo tantissimo i doppiatori. Il pubblico non può capire cosa sia il doppiaggio sino a che se non si entra in una sala d’incisione, è una difficoltà enorme. In “Genitori e figli” ogni cosa che mi chiedeva ero attento nel capirla, me la spiegava in maniera dettagliata. Lui doveva fare l’attore, non solo perché fa ridere da morire, ma ha dei tempi comici perfetti e dirige gli attori come pochi sanno fare.
Nel 2013 diventi uno dei maggiori interpreti in “Niente può fermarci” e tra i grandi attori con cui dividi la scena c’è Vincenzo Alfieri, che esordisce alla regia con “I peggiori” proprio in questi giorni. Com’è andata?
Ricordo, in quel caso, di non aver mai ricevuto una critica dai ragazzi e ci tenevo tanto a capire quale effetto potesse fargli il film, onestamente mi divertiva un sacco interpretare un nerd. Purtroppo con l’uscita di giugno, è stato come buttarlo. Immagina se quel film avesse avuto un’uscita a febbraio, con una promozione rivolta ai giovani. Facendo un giro intorno a noi e guardando le altre commedie, “Niente può fermarci” non aveva nulla da invidiare rispetto a tanti altri prodotti simili che si realizzano oggi, è scritto bene. Nel girarlo abbiamo cambiato parecchie location e la produzione non ci ha mai fatto mancare nulla. È vero, nel cast c’era anche Vincenzo Alfieri. Lui è bravo, per l’esordio de “I peggiori” gli auguro il meglio, se lo merita, è molto preparato e ha un’enorme passione per questo mestiere.
Un attore non è solo al cinema o in tv, ma soprattutto in teatro. Com’è stato, per le prime volte, mettere i piedi sul palcoscenico?
Per anni l’ho evitato, forse per paura, poca esperienza o semplicemente per l’età. Invece è stata una scelta mirata del mio agente. Mi chiamò di domenica, inviandomi un copione e mettendomi fretta nel leggerlo. Appena vidi la mail, iniziai a leggere e mi piacque parecchio. Pensavo inizialmente fosse un soggetto, così l’ho richiamato. “È uno spettacolo di teatro?”, mi disse “Ti vogliono incontrare”. Così ho preso coraggio e dopo 6 minuti che stavo lì già percepivo l’ambiente come fosse familiare, così mi son detto:“Io mi butto”. Da quel giorno non posso fare a meno del teatro. Considera che anche quest’anno l’ho rifatto (“Chiamalo ancora amore”, n.d.r.). Nei momenti in cui non lavoro col cinema, spero di tornare sulla scena per un bel periodo.
Hai preso parte agli esordi di Amendola alla regia e di Maurizio Battista come protagonista, hai lavorato con i Vanzina e lo scorso anno eri tra i protagonisti di “Miami Beach”. Pochi giorni fa, durante la conferenza di “Tutto quello che vuoi”, il regista Francesco Bruni ti ha ringraziato pubblicamente per aver messo a disposizione la tua esperienza a servizio del film. Che film è “Tutto quello che vuoi” e perché bisognerebbe andarlo a vedere?
Francesco Bruni mi chiamò personalmente, andammo a pranzo insieme e mi spiegò la dinamica del film. Lui inizialmente pensava che non accettassi perché non ero protagonista. Era un bel progetto, ho detto: “Ancora ho tempo di fare solo i protagonisti”. Così ho accettato e appena presa questa decisione, mi spiegò subito che aveva intenzione di prendere tre ragazzi alla prima esperienza e mi chiese la cortesia di dargli una mano se ce ne fosse stato bisogno. Mi misi subito a disposizione, conobbi i ragazzi e si stabilii subito un rapporto di amicizia. Iniziammo a preparare il progetto tutti insieme, facendo le prime letture. Poi insieme a noi questo maestro, Giuliano Montaldo, con cui abbiamo avuto l’onore di dividere le scene e di lavorarci insieme.
Quando vedevo i ragazzi in difficoltà, mi sono messo nei loro panni e mi ricordavo che 10 anni fa avevo le stesse difficoltà, così appena c’era qualcosa che non andava mi venivano a domandare e chiedere consigli, insieme abbiamo chiarito ogni dubbio. Riguardo le motivazioni non c’è mai un vero motivo per cui spingo le persone ad andare al cinema, i motivi sono personali. Vedrei questo film perché è curioso ad oggi, andare a vedere i rapporti. Questo film racconta i rapporti tra le generazioni, tra le persone. La situazione raccontata nel film è abbastanza delicata, su questo Francesco è un maestro, spesso mi stupisco e penso che non è la sua mano ma la “penna magica” che gli fa scrivere queste cose. Sin da quando mi mandò la prima sceneggiatura, non appena ho finito di leggerlo ero rimasto deluso perché era finito subito e mi son detto: “Spero che Francesco giri il film come lo abbia scritto”. Qui nessuno è andato fuori dal coro, è proprio questo il segreto: riuscire a costruire un cast che ti segue per tutto il resto delle riprese e vedrai che è impossibile far venir fuori qualcosa di negativo.
Per chi come te festeggia dieci anni di carriera c’è chi il 28 maggio la terminerà. Hai spesso preso parte a partite di beneficenza e non hai mai nascosto la tua fede calcistica per la Roma. Per l’ultima giornata di campionato, sarai allo stadio per salutare Francesco Totti? Come vivi questo addio?
Lo vivo male e piangerò. Cercherò di trattenermi e non ce la farò. Lui è la mia vita, la mia adolescenza, il mio idolo, il mio cartone animato preferito, per me lui è tutto. Facendo questo mestiere ho avuto la fortuna di conoscerlo, di conoscere la sua famiglia, sono legato ai cugini, al fratello, ma lui rimane sempre Lui. L’idea che finisce tutto mi fa star male, ma è giusto. Vederlo trattare così mi crea solo rabbia, quindi il 28 sarò lì, battendogli le mani, sperando di vederlo giocare. Sono appassionato per questo sport e gioco per la nazionale attori. Quasi tutte le settimane abbiamo una partita in giro per l’Italia, ci vado sempre, lavoro permettendo. Però quando la beneficenza ti chiama e puoi dare una mano, devi farlo.
Dove ti vedi tra 10 anni?
Sempre qua, con te, a raccontarti anche dei vent’anni.
Grazie Emanuele, e tanti auguri.