Anche nel 2018 quando si parla del sistema carcerario italiano vengono pronunciate parole come amnistia e indulto, sovraffollamento, collasso, situazione difficile e così via; molto spesso si fa riferimento anche ai numerosi appelli lanciati dalle persone che richiedono nuovi provvedimenti, convinte che interventi di questo tipo possano rappresentare una strada per risolvere il problema. Ma qual è la situazione ad oggi? Diamo un’occhiata alle ultime notizie per cercare di avere un quadro completo sull’argomento in questo inizio del 2018.
Carceri italiane 2018: la situazione ad oggi su Amnistia e Indulto
I numeri sono freddi, ma sono lo strumento perfetto per illustrare la situazione nelle carceri italiane: la capienza “regolare” degli istituti penitenziari del nostro Paese dovrebbe superare di poco le 50.500 unità, ma secondo i dati ufficiali resi noti dall’Amministrazione Penitenziaria a fine dello scorso novembre, la popolazione carceraria supera le 58.000 unità. Si parla quindi di oltre 7.000 detenuti in più rispetto a quello che, secondo le regole, dovrebbe essere il numero massimo. Nel corso dell’ultimo anno poi la situazione sarebbe anche peggiorata, visto che secondo alcune statistiche il tasso di affollamento è passato dal 108% al 115%. Nella sola regione Lazio al termine del 2017 c’erano 108 detenuti in più rispetto ai 12 mesi precedenti: considerando tutti i 14 istituti laziali ci sono quasi mille persone di troppo oltre le sbarre (6.237 presenze contro una capienza regolamentare di 5.258). A Regina Coeli ci sono ben 318 detenuti “di troppo”, a Rebibbia 303 (di cui 53 della sezione femminile), a Viterbo 176, a Velletri 139, a Cassino 121, a Frosinone 76, a Rieti 69, a Civitavecchia 62, a Latina 51.
Abbiamo fatto riferimento agli istituti laziali solo come esempio, perché anche nel resto d’Italia la situazione è molto delicata (in tutto sono circa 3.000 i detenuti in più rispetto all’anno precedente e in Lombardia il sovraffollamento supera le 2.000 unità); l’osservatorio di Antigone ha effettuate visite in 78 carceri del Paese: nel 9% dei penitenziari ci sono celle senza riscaldamento (e nel 46% celle prive di acqua calda) e nel 5% dei casi il water non è in un ambiente separato. Desta preoccupazione anche il fatto che il 40% degli istituti visitati non ha un proprio direttore, che nella quasi metà dei casi non sono previsti corsi di formazione professionale e che in 4 penitenziari non viene garantito il famoso limite minimo di 3 metri quadrati per ciascun detenuto. Numeri freddi, come detto, ma la situazione è particolarmente calda: come ha sottolineato anche Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, se non si riesce a trovare il modo di controllare la popolazione carceraria in tempi brevi si potrebbe tornare a quello scenario che ha portato alla condanna per trattamento inumano e degradante nelle carceri arrivata nel 2013 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Sovraffollamento e altri problemi su amnistia e indulto: lo scenario attuale
Il sovraffollamento, unito all’inadeguatezza delle strutture e ad una loro scarsa manutenzione, porta diversi problemi sia a livello igienico e sanitario che a livello di ordine. Gli episodi di violenza sono ormai all’ordine del giorno e purtroppo è in ascesa anche il numero dei suicidi, che per la prima volta nella storia della Repubblica ha superato i 50 casi in un anno. Questo è uno dei dati che dimostra come l’intero sistema penitenziario si stia sgretolando ogni giorno di più e questo, secondo il SAPPE, sarebbe legato anche e soprattutto alle scelte sbagliate prese dal ministero della Giustizia. Mentre sempre più persone richiedono provvedimenti di clemenza come amnistia e indulto, quali sono gli interventi messi in atto dal Governo in quest’ultimo periodo? Si attende l’approvazione dei decreti attuativi di una riforma che punta soprattutto all’utilizzo di pene alternative nel corso dell’esecuzione della condanna, ma che prevede anche l’introduzione di una maggiore responsabilizzazione (più occasioni di studio, lavoro e attività varie) e che stabilisce che non ci saranno automatismi, con sconti di pena e accesso alle misure alternative solo se vengono mostrati un comportamento di responsabilità e un interesse ai percorsi di rieducazione.
Provvedimenti molto interessanti, ma in una situazione di questo tipo fortemente condizionata dal sovraffollamento potrebbe risultare particolarmente difficile mettere in pratica degli interventi mirati di recupero del detenuto. E proprio per questa impossibilità di intraprendere qualsiasi tipo di iniziativa a causa del sovraffollamento molti continuano ad affermare che amnistia e indulto possano rappresentare il primo passo verso un processo di regolarizzazione della situazione. A dire il vero da tantissimo tempo sui banchi della Commissione Giustizia del Senato sono presenti dei disegni di legge relativi proprio ai provvedimenti di clemenza, ma la lunga attesa per un testo unico non ha portato a nulla. E a pensare che l’Italia in passato veniva spesso e volentieri definita come il paese delle amnistie: a partire dall’amnistia di pacificazione del 1946, i provvedimenti di clemenza si sono susseguiti abbastanza frequentemente, ma dal 1992, se si esclude l’indulto del 2006 (in misura non superiore ai 3 anni per le pene detentive o ai 10.000 euro per le pene pecuniarie), non c’è stato più spazio per una legge di clemenza; per molti si è passati in maniera drastica dal troppo (in media un provvedimento ogni quattro anni) al troppo poco (silenzio quasi assoluto per quindici anni).
Amnistia e indulto: le ultime notizie del 2018
Va detto anche che su amnistia e indulto c’è sempre un po’ di confusione: meglio fare un piccolo riepilogo e vedere in cosa consistono questi provvedimenti e quali sono le differenze. Con l’amnistia lo Stato rinuncia a perseguire determinati reati: in pratica il reato si estingue e viene cessata l’esecuzione della condanna e delle pene accessorie; con l’indulto invece non si estingue il reato, ma solo la pena principale (che può essere condonata per intero, parzialmente o commutata in altro tipo di pena), mentre rimangono le pene accessorie e gli effetti penali della condanna. Parliamo quindi di due provvedimenti di clemenza a carattere generale (a differenza della grazia, che è un provvedimento individuale), ma abbastanza diversi tra loro. Entrambi gli strumenti sono previsti dall’articolo 79 della Costituzione, ispirati a ragioni di pacificazione sociale e opportunità politica. Dopo la riforma costituzionale del 1992 il potere di concedere amnistia e indulto è passato dalla figura del Presidente della Repubblica al Parlamento, che può deliberare la relativa legge solo con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ogni Camera per i singoli articoli e nella votazione finale. Amnistia e indulto non posso essere applicati ai reati che vengono commessi dopo la presentazione del disegno di legge.
Nel corso degli ultimi anni gli appelli per la concessione di atti di clemenza sono stati numerosi: oltre a quelli che da sempre si sono battuti per il miglioramento della situazione nelle carceri (ricordiamo Marco Pannella e i Radicali, per esempio), anche papa Francesco ha parlato di questo argomento, ribadendo la sua speranza di vedere gli istituti penitenziari trasformarsi in veri luoghi di rieducazione e reinserimento sociale in cui i detenuti possano godere di condizioni di vita degne. Ma a soffrire dell’attuale condizione non sono solo i detenuti: bisogna pensare anche a chi nelle carceri ci lavora e ogni giorno deve entrare in contatto con una realtà molto difficile. Il SAPPE, un sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, da tempo sottolinea le condizioni in cui gli agenti devono lavorare ogni giorno e anche all’inizio di questo 2018 ha voluto puntare l’attenzione sul problema del sovraffollamento e i continui eventi critici che si susseguono nei penitenziari: le risse, le colluttazioni, i suicidi o i tentati suicidi, gli atti di autolesionismo, i ferimenti e le aggressioni agli agenti sono alcuni degli episodi che si verificano quotidianamente all’interno delle strutture. Senza contare i rischi sanitari, le difficoltà nel gestire alcuni detenuti stranieri, il costante problema della carenza del personale e l’inadeguatezza edilizia delle strutture stesse.
Si sente poi l’assenza della figura dell’educatore: giusto per fare un paio di esempi possiamo dire che a Bologna ce n’è uno ogni 189 detenuti, mentre a Busto Arsizio addirittura uno ogni 196; anche questo è un fattore che rende le carceri italiane un posto sempre meno adatto a rieducare il detenuto e a prepararlo ad una nuova vita. Per riportare il tutto ad una condizione più umana forse bisognerebbe seguire un percorso complesso, una rivisitazione strutturale dell’intero sistema; un provvedimento di clemenza potrebbe forse rappresentare il primo passo di questo percorso (da solo difficilmente potrebbe rappresentare una soluzione definitiva), ma a quanto pare, almeno finora, il mondo della politica non ha mostrato un grande interesse verso interventi di questo tipo. C’è chi dice che ormai si è affermata una visione distorta del concetto di certezza della pena e chi invece pensa che al giorno d’oggi mostrarsi contrario a leggi di clemenza sia un modo per ottenere consenso popolare e, quindi, elettorale: punti di vista più o meno condivisibili, ma ad ogni modo amnistia e indulto sembrano al momento “tagliati fuori” dai piani della stanza dei bottoni, nonostante la Costituzione stessa, come detto, li preveda come strumenti da utilizzare per sbloccare un meccanismo che non funziona più e che non è in grado di rispettare la legalità.
Va poi detto che forse è proprio la forma attuale dell’articolo 79 a rendere particolarmente difficile un’eventuale concessione di amnistia e indulto: l’articolo è stato riscritto nel ’92, in un momento storico in cui c’erano delle precise esigenze (all’epoca l’Italia si trovava in piena Tangentopoli); oggi c’è chi spinge per una sua revisione per evitare che gli strumenti di clemenza finiscano del dimenticatoio definitivamente. Proprio nei prossimi giorni la Società della Ragione presenterà la sua proposta che verrà sottoposta ai parlamentari della prossima legislatura, ma su questo tema non molto tempo fa era già stato presentato il cosiddetto ddl Pannella. Il testo venne reso pubblico pochi giorni dopo la scomparsa dello storico leader radicale e il suo obiettivo era quello di modificare la maggioranza richiesta per l’approvazione delle leggi di amnistia e indulto, rendendo l’operazione meno impossibile. Ovviamente i provvedimenti di clemenza devono rimanere strumenti di eccezione: chi è contrario a modifiche di questo tipo all’articolo 79 afferma che il concetto di certezza della pena forse oggi sarà anche visto in maniera distorta, ma non può di certo essere demolito del tutto e che non bisogna eccedere nel perdonismo ed è necessario rispettare la tutela delle vittime e dei cittadini.
Riforma amnistia e indulto, un adeguamento necessario
Ma alla fine dei conti cosa ci dobbiamo aspettare nel prossimo futuro? Difficilmente ci saranno passi in avanti su amnistia e indulto, per lo meno nel breve periodo, quindi è meglio concentrarsi sulle novità della riforma dell’ordinamento penitenziario portata avanti dal ministro Orlando. Il 22 dicembre c’è stata l’approvazione in esame preliminare dei decreti attuativi: questo significa che dal momento della consegna dei decreti le commissioni Giustizia delle due ali del Parlamento (anche dopo lo scioglimento sancito il 28 dicembre) avranno 45 giorni di tempo per dare un loro parere di conformità. Tra i punti principali della riforma ci sono:
- la riduzione del ricorso al carcere, con la previsione di soluzioni alternative che, mantenendo la sicurezza della collettività, restituiscano un ruolo centrale alla finalità rieducativa della pena;
- la razionalizzazione delle attività degli uffici, con una maggiore efficienza del sistema, tempi procedimentali più brevi e risparmio sui costi;
- la riduzione del sovraffollamento, dando priorità alle misure alternative e migliorando il trattamento dei detenuti favorendone il loro reinserimento sociale in modo tale da scongiurare il rischio di recidiva;
- la valorizzazione del ruolo della Polizia Penitenziaria, le cui competenze dovrebbero ampliarsi.
L’obiettivo della riforma è quello di aggiornare l’attuale ordinamento penitenziario, nato dalla riforma del 1975 ed evidentemente bisognoso di un adeguamento alle successive indicazioni in materia da parte di Corte di Cassazione Corte Costituzionale e Corti Europee. Il nuovo provvedimento, che sta per vedere la luce dopo un lavoro durato diversi anni, nasce dall’istituzione degli Stati Generali sull’esecuzione della pena, ovvero i diciotto tavoli voluti dal ministro Orlando ai quali hanno partecipato duecento persone (tra operatori penitenziari, componenti di associazioni, accademici ed esperti) con le loro proposte di cambiamento sulla vita penitenziaria e dal lavoro della Commissione istituita dal Ministro e presieduta dal professore Glauco Giostra. Molto presto si potranno finalmente conoscere i contenuti delle norme: si sa già che alcuni aspetti importanti (come ad esempio lavoro. Affettività, preclusioni e automatismi) ne sono rimasti fuori, ma nonostante questo sono in molti a pensare che l’entrata in vigore della riforma possa essere considerato un momento molto importante, un punto di partenza da cui muoversi in modo deciso verso un miglior ordinamento penitenziario.