Euro e crisi economica: quali soluzioni?
In questa campagna elettorale l’uscita dall’euro è stata considerata come uno spauracchio e un tabù. Nella realtà, cosa succederebbe se l’Italia uscisse dall’Euro?
Se l’Italia uscisse dall’Euro tornerebbe un paese con sovranità monetaria, come lo è l’Inghilterra, la Norvegia, la Svezia, ma anche la Turchia. Non cambierebbe nulla dal punto di vista della vita normale di tutti i giorni. Cambierebbe molto, invece, dal punto di vista delle prospettive economiche perché ritorneremmo ad avere una moneta correttamente valutata secondo il livello della nostra economia, consentendo a tutto il nostro sistema economico e produttivo di ricominciare a funzionare. In questo momento è in shock totale perché non è possibile pensare di poter essere minimamente competitivi nei mercati internazionali con una moneta come l’euro, che ha una valutazione superiore del 25-30%. A questo problema, inoltre, si sommano i noti difetti del sistema economico italiano. Uscendo dall’euro, la stagnazione e la distruzione di tutto il nostro sistema economico si fermerebbe e comincerebbe a diminuire la disoccupazione, ricominceremmo a esportare e a importare di meno, le imprese attualmente in crisi ricomincerebbero ad avere degli ordini, si fermerebbero i licenziamenti e, di conseguenza, aumenterebbe la domanda interna. Tutto ricomincerebbe, quindi, secondo lo schema del circolo virtuoso.
Recentemente l’On. Stefano Fassina, durante la trasmissione di Michele Santoro “Servizio Pubblico”, ha affermato che “Non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro“. Ritiene coerente, in base a quest’affermazione, la difesa dell’euro da parte di un partito di sinistra come il Partito Democratico?
Vorrei premettere che mi sembra offensivo pensare che un imprenditore che impiega tutto il suo tempo a pensare come rendere più efficiente la propria azienda, possa essere considerato improduttivo, lazzarone o qualcosa del genere. Suppongo, quindi, che dal punto di vista dei processi interni i nostri imprenditori abbiano fatto il possibile per essere efficienti. Ma, al di là di questa considerazione, questa è una delle contraddizioni più gravi nell’atteggiamento della sinistra italiana. Ciò che dice l’On. Fassina è molto corretto: se io voglio diventare competitivo e ho l’euro, una moneta “sbagliata” rispetto a quella che dovrebbe essere per il mio peso economico, una delle maniere per ottenere competitività è svalutare il salario. L’economia è fatta di equilibri: nel momento in cui io blocco una “valvola di sfogo”, cioè quella del cambio flessibile, queste forze che dovrebbero riequilibrare il mercato si vanno a trasferire su altri fattori. Il costo del lavoro è uno di questi. Una struttura, l’euro, realizzata e congegnata attraverso il cambio fisso per aggredire il salario, dal punto di vista di un partito di sinistra dovrebbe essere rifiutata con tutte le sue forze. Il fatto che i problemi strutturali dell’euro fossero conosciuti già dal 1978, quando l’Italia decise di aderire allo SME e che vennero pubblicamente esposti da Giorgio Napolitano in Parlamento, non fornisce scuse. Non sono meccanismi sconosciuti, non li ha scoperti certo l’On. Fassina. È palese che ne fossero a conoscenza. Il fatto che, nonostante ciò, continuino a difendere il sistema dell’euro è assolutamente incomprensibile.
L’uscita dall’euro comporterà anche l’uscita dall’Unione Europea? E ritiene credibile la proposta, avanzate da molte forze politiche, degli Stati Uniti d’Europa?
Dal mio punto di vista, l’uscita dall’Unione Europea non sarebbe un disastro, come dimostra il fatto che la Gran Bretagna ci stia seriamente pensando. Gli inglesi sono sempre un po’ più lungimiranti rispetto agli altri: questo ci dovrebbe far capire che uscire dall’Unione Europea non vorrebbe dire che finisce il mondo. Del resto, la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea e, al di là del petrolio, non mi pare che sia una landa desolata. Non è, dunque, una prospettiva che mi spaventa più di tanto. Tra l’altro, sono convinto che nel momento stesso in cui noi uscissimo dall’euro non dovrebbe essere difficile negoziare, se ci interessa, la nostra permanenza all’interno dell’Unione Europea, come la Danimarca, la Svezia e tanti altri paesi che, pur non avendo l’euro, ne fanno parte. Per quanto riguarda, poi, la proposta degli Stati Uniti d’Europa è assolutamente incredibile, e direi non desiderabile. Stati Uniti d’Europa vorrebbe dire, infatti, beni, governo e debito in comune e, dunque, la costituzione di un’unico stato. Il debito spagnolo, il debito greco, il debito italiano andrebbero, dunque, tutti in capo al “Tesoro di Bruxelles” con dei trasferimenti dalle aree ricche alle aree povere, così come succede in Italia dalle regioni ricche a quelle meno ricche. Io ritengo più probabile credere a Babbo Natale piuttosto che immaginarmi una Germania che si fa carico del nostro debito e, in quanto regione povera, ci finanzia. Pensiamo, per comprendere meglio la questione, alla proposta della Lega Nord del trattenimento da parte delle regioni del Nord del 75% delle tasse e, per questo motivo, viene accusata di egoismo. Bene, immaginiamo di andare dai tedeschi a dirgli: “Siate egoisti come vuole la Lega: dateci il 25% delle vostre tasse“. Anche in un’ottica egoista, qualcuno può veramente pensare che i tedeschi accetterebbero? È, dunque, una proposta assolutamente fantasiosa e irrealistica.
Tutti i partiti di centrodestra e di centrosinistra dichiarano che, per risolvere la crisi, bisognerebbe eliminare il problema del debito pubblico e della spesa pubblica improduttiva. Qual è la sua opinione?
Questa è una sciocchezza. Una sciocchezza perché faccio notare, innanzitutto, che i paesi che sono entrati in crisi non avevano problemi di debito pubblico. La Spagna, ad esempio, era virtuosa e, se andiamo a vedere il comportamento parallelo del rapporto debito/Pil di Spagna e Germania dal momento in cui sono entrati nell’euro, ci accorgeremo che mentre la Spagna aveva abbattuto il proprio debito pubblico di circa 10 punti, la Germania, al contrario, l’aveva fatto crescere, sempre di dieci punti. Il problema, dunque, non è certamente quello del debito pubblico. Noi siamo in una situazione simile a quella in cui vediamo delle persone entrare in un ristorante da cui escono tutti ammalati e si recano in ospedale perché sono stati intossicati. Ma cosa succede? Invece di dire che probabilmente in questo ristorante è stato dato cibo avariato o avvelenato, i nostri brillanti commentatori trovano una scusa per ognuna di quelle persone: questo qui stava male, probabilmente aveva preso delle medicine sbagliate a casa, quest’altro si è sentito male a causa del suo peso, quest’altro ancora aveva dei problemi nervosi, e cose di questo tipo. La spiegazione, però, è sempre la più ovvia: se dal ristorante iniziano a uscire tutti con la barella, vuol dire che gli hanno dato del cibo avvelenato. Anche per quanto riguarda la crisi si cerca sempre una spiegazione differente per ogni paese: la Spagna aveva la bolla immobiliare, l’Irlanda aveva il credito estero, l’Italia aveva il debito pubblico, in Grecia i politici erano dei ladri. Come nel caso del ristorante, la spiegazione è molto più semplice: questi paesi non dovevano entrare nell’euro.
Come pensa che si potrà uscire politicamente da questa crisi?
Non è semplice perché, avendo a che fare con il PUDE, il Partito Unico dell’Euro… bisognerebbe trovare un’alternativa. Queste elezioni, secondo me, sono state comunque un segnale forte. Bisogna, in ogni caso, sapere che, prima o poi, il punto d’arrivo sarà quello. Io sono convinto che usciremo dall’euro e, quindi, non mi pongo il problema se succederà o meno. Certo, quanto più tempo ci impiegheremo e tanto più costoso sarà il prezzo da pagare. Immaginiamo un attimo se noi fossimo usciti dall’euro due anni fa. Immaginiamo se, nel momento stesso in cui era scoppiata la crisi greca, ci fosse stato un governo lungimirante – all’epoca c’era il centrodestra e non lo era, perché era stato avvisato, da me – e avesse compreso di esporre il Paese a un rischio terribile decidendo di uscire immediatamente dall’euro. Certo, in quel momento ci sarebbe stata una gran confusione, ma adesso saremmo fuori dall’incubo e staremmo già nella fase di crescita. Quanto costa e quanto vale, invece, la sofferenza che abbiamo accumulato in questi anni? E quanto costa e quanto varrà la sofferenza che accumuleremo nei prossimi? Valutiamo che cosa rappresenta l’incertezza delle famiglie, l’incertezza dell’imprenditore che non sa se il giorno dopo la sua impresa sarà ancora aperta, l’incertezza del lavoratore che vede in bilico il suo lavoro. L’angoscia di una persona che torna a casa, ma che non riesce a guardare in faccia sua moglie e i suoi figli perché sa che, prima o poi, dovrà dirgli che ha perso il lavoro. Questo costo è enorme, anche se non viene registrato dagli indicatori sul PIL o sul deficit. Stiamo pagando un costo pazzesco e lo pagheremo sempre di più, quanto più tempo rimarremo su questa strada sbagliata. Politicamente ci sono soltanto due possibilità: o la volontà degli elettori di uscire dall’euro diventerà, prima o poi, inequivocabile e non ci sarà più spazio, dunque, per nessun tatticismo e nessun voltagabbanismo e per nessun partito che si presenterà come “semi antieuro“, ma poi, dopo le elezioni, una volta eletto, si rimangerà quanto detto in campagna elettorale. Altrimenti, la possibilità successiva è quella della secessione della Lega Nord, avendo ottenuto le tre regioni del nord: a quel punto si verificherebbe un tipo di aggiustamento monetario che coinvolgerà anche le differenze tra il nord e il sud d’Italia. Le uniche possibilità sono queste, entrambe pericolose, che si potrebbero evitare se i governi che si sono succeduti fossero intervenuti per tempo. E si è ancora in tempo: anche dopo queste elezioni tutte le forze anti-euro, utilizzando la forza di Grillo, potrebbero portare avanti quest’idea e, sfruttando l’attuale shock del paese, uscire dall’euro. Mi sembra, però, che non siamo ancora pronti.
Siamo arrivati all’ultima domanda. Negli ultimi giorni di campagna elettorale Beppe Grillo, come lei ha accennato, ha puntato fortemente le sue critiche, oltre che nei confronti dei partiti, anche contro l’euro. Il M5S ha compreso veramente la natura della crisi e può essere la soluzione per uscirne?
Penso che gran parte del voto al M5S sia un voto di protesta e non necessariamente informato. Gli attivisti, invece, lo sono molto di più. I primi segnali, sinceramente, non mi sembrano incoraggianti, ma vedremo, perché mi risulta che in tutte le discussioni sul web e in tutti i sondaggi svolti dai Meetup vi sia una larghissima maggioranza di attivisti del M5S che intendono inserire come punto programmatico l’uscita dall’euro. Mi domando, però, perché su una cosa così importante si voglia svolgere un referendum, che sappiamo benissimo essere uno strumento non adatto per gestire una situazione del genere, piuttosto che presentarlo semplicemente come punto programmatico, come per gli altri punti del M5S che non vengono sottoposti a referendum. Grazie al voto dei cittadini avresti, infatti, già la legittimazione democratica e popolare per uscire dall’euro senza aver bisogno di un referendum che, non solo non è possibile farlo direttamente, ma porterebbe anche a una situazione di instabilità molto problematica e potrebbe essere molto influenzato dai media del PUDE. In ogni caso sono qui che aspetto: adesso sono in Parlamento, hanno una forte rappresentanza, mi aspetto che i temi legati all’euro siano portati avanti con forza.
* Claudio Borghi Aquilini è un giornalista e professore incaricato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano – dove insegna Economia degli Intermediari Finanziari, Economia delle Aziende di Credito ed Economia e Mercato dell’Arte. Autore del libro “Investire nell’arte” – In pubblicazione da Gennaio per Sperling & Kupfer. Nella sua carriera lavorativa ha ricoperto incarichi dirigenziali in diverse istituzioni finanziarie e bancarie di rilevanza internazionale.