Pippo Civati, il filosofo del PD, in corsa per la conquista della segreteria del Partito, parla della sinistra e di programmi. E avverte Letta: Il Governo ha i giorni contati
Chi sarà il prossimo segretario del PD, l’uomo che traghetterà il partito alle prossime elezioni politiche? I pretendenti sono tanti. Si fanno i nomi di Renzi, Letta, Cuperlo, Civati, Pittella e, se continua così, per il giorno del Congresso riusciranno anche a formare un’intera squadra di calcio. Di certo, con il Parlamento “chiuso per ferie”, l’attenzione politica in questi giorni si è concentrata sul futuro del Partito Democratico e, sotto l’ombrellone, il toto-nomi per la corsa alla segreteria del partito è diventato il nuovo tormentone estivo. Un interesse legittimo, se pensiamo a cosa c’è in ballo, perché in base a chi porterà a casa la vittoria, sarà facile capire quale sarà il panorama politico dei prossimi anni.
Anzitutto, sarebbe auspicabile ridefinire i “contorni” del maggior partito di centro sinistra del Paese, in modo che nessuno possa cadere in facili errori, scambiandolo ad esempio per il braccio monco del Pdl o una spalla del populismo ostentato dal M5S. Non è un caso, infatti, che Berlusconi e la sua Corte dei Miracoli se ne stiano alla finestra a guardare con apprensione gli sviluppi della situazione, auspicando che anche il nuovo PD gli consegni un’altra vittoria “chiavi in mano” senza troppi sforzi.
Per sapere come andrà a finire dobbiamo aspettare che gli sfidanti si confrontino al Congresso, ma è proprio qui che casca l’asino. In un Paese civile, quando la maggioranza di un partito chiede un confronto aperto, il Congresso viene convocato senza indugi. Ma dalle nostre parti, dove le regole vengono scritte per essere puntualmente disattese, questo non accade perché c’è qualcuno che si sta facendo due conti per capire se il Congresso gli possa convenire, oppure è se meglio aspettare tempi migliori. Così, ad agosto inoltrato, ci ritroviamo ad aspettare che l’oracolo, alias Guglielmo Epifani, finalmente parli e ci dica di che morte il Pd dovrà morire. Supponendo, nella migliore delle ipotesi, che sia ancora vivo.
Il grande favorito è senza dubbio Matteo Renzi, e anche chi gli aveva voltato le spalle la volta scorsa, oggi giura piena fedeltà al futuro Segretario, non tanto per convinzione ma per rimanere sempre sul carro dei vincenti. Eppure, nello scontro tra Titani che dovrebbe andare in scena nel prossimo autunno, c’è una novità che rischia di fare ombra soprattutto al sindaco di Firenze. Già, perché Pippo Civati, il giovane filosofo monzese del Pd, rischia di diventare per Renzi un sassolino nella scarpa che potrebbe dargli seri fastidi e, per questo, prima della fine dei giochi, il sindaco di Firenze sarà costretto a dire qualcosa di serio sul suo ipotetico programma politico. E mentre “il sindaco” studia le sue prossime mosse per diventare segretario, ci siamo messi alla ricerca di Pippo Civati, per avere un’idea più chiara di cosa succederà a settembre.
Lo abbiamo trovato seduto in solitudine in uno dei salottini di Palazzo Monte Citorio, arredati in perfetto stile Ernesto Basile, a smanettare sul suo telefonino di ultima generazione. Visibilmente stanco e con brutto raffreddore, il “filosofo di sinistra” si è prestato a rispondere a qualche domanda.
Civati, Lei ha dichiarato che è arrivato il momento di staccare la spina a questo governo?
Non ho proprio detto questo. Ho detto che è arrivato il momento di uscire da questa situazione.
Quindi possiamo anche andare avanti con questo governo delle “larghe intese“?
Assolutamente no. Questo Governo è nato nel peggiore dei modi, ma aveva uno scopo. Sono passati centodieci giorni e ha fatto tutto tranne quello che doveva fare.
Ma qual è, a suo avviso, la politica del Governo Letta?
Questo Governo non ha un programma politico. È questo il problema. I provvedimenti che fino a ora ha emanato sono poca cosa in confronto ai problemi del Paese e sembra chiaro che il Governo non stia seguendo una particolare strategia. E se lo sta facendo, sinceramente non l’ho capita.
Quindi, in definitiva, questo esecutivo ha i giorni contati?
Questa non è una novità. Il Governo Letta doveva varare provvedimenti urgenti per arginare la crisi economica, approvare la legge di stabilità e una nuova legge elettorale che tolga finalmente di mezzo il Porcellum. Fatto questo, la parola deve necessariamente tornare agli elettori.
Sarà per questo che Governo e Parlamento, dopo tutti questi mesi, non hanno messo mano alla riforma elettorale? Hanno paura di andare a casa?
Non serve un profeta per capire che è un Governo “anomalo” che non potrà mai arrivare alla normale fine della legislatura.
Con quale legge elettorale, quindi, andremo a votare, secondo Lei, alle prossime elezioni?
Sicuramente non con il Porcellum, che costituisce una vera aberrazione del sistema. La discussione deve ripartire dal Mattarellum.
Con i collegi uninominali non si corre il rischio di un nuovo clientelismo, che era tipico di tale sistema?
È un problema che dovrà essere affrontato ma, sinceramente, mi preoccupa di più l’ipotesi di andare a votare ancora una volta con il Porcellum.
Come vedrebbe da noi un sistema uninominale a voto alternativo?
Ripeto, la priorità è superare il Porcellum. Solo dopo si potrà intavolare una discussione per capire quale sistema elettorale sia più adatto al nostro Paese. Personalmente non ho preclusioni.
Non crede sia uno sbaglio approvare la riforma del finanziamento pubblico ai partiti prima della legge elettorale?
Per il momento anche la legge sul finanziamento è stata rinviata, vedremo poi a settembre cosa succederà. Sicuramente la legge elettorale ha degli effetti diretti sulla riforma del finanziamento ai partiti. Un conto è affrontare una campagna elettorale con i collegi uninominali, un altro con il proporzionale o i listini chiusi.
Quindi secondo Lei, in qualche modo, bisognerebbe mantenere il finanziamento ai partiti?
Non sono a favore dell’abolizione tout court del finanziamento pubblico, ma l’attuale impianto deve essere senza dubbio rivisto.
In che modo?
Beh, anzitutto mi piacerebbe sapere dove vanno a finire i soldi che il partito prende dallo Stato.
Vuole dire che non sa come il Pd spende i soldi che incassa con la legge sul Finanziamento?
Esatto. E se è per questo, nessuno ancora mi ha detto come vengono spesi i soldi che noi deputati ogni mese siamo obbligati a versare al partito.
A quanto ammonta questo versamento?
Si parte da un “contributo” base di 1.500 euro, a cui vanno aggiunti i vari versamenti che i parlamentari ogni mese devono dare alle direzioni regionali e provinciali. Senza parlare dei venti, trenta mila euro per la campagna elettorale.
Cioè pagate il partito per essere stati eletti? Detta così, sembra tanto una “bustarella“.
[Civati sorride, ma non risponde]
Cambiamo argomento. Questo nuovo Parlamento potrà fare, secondo Lei, la differenza?
Quale Parlamento? Ormai non ci permettono di fare nulla. Siamo tutti “commissariati”. Non abbiamo margini di intervento. Gli emendamenti vengono sistematicamente cassati, le proposte di legge ignorate e non riusciamo ad incidere nemmeno sui provvedimenti che arrivano dal Governo, al massimo ci fanno la cortesia di approvarci qualche ordine del giorno.
Ma questi volti nuovi, i giovani che dovevano rinnovare il Parlamento, cosa fanno?
[Civati sospira. Evidentemente prende tempo o cerca una risposta diplomatica]
Riformulo la domanda. I giovani del Pd cosa dovrebbero fare per contribuire a cambiare la situazione?
Dovrebbero essere meno conformisti. Sono giovani, alcuni anche molto giovani, ma pensano secondo le vecchie logiche di partito, aggrappati alle correnti ed alle convenienze. Così non si cambia nulla.
Una domanda cattiva. Se il 19 luglio 2012 fosse stato seduto tra i banchi dei deputati, avrebbe votato a favore del Fiscal Compact?
Che domanda. Non c’ero. Inutile rimuginare su quello che è stato fatto. Preferisco pensare a quello che si può fare adesso per cambiare in meglio la situazione. Sicuramente, uno dei temi cruciali per il futuro del Paese è ripensare bene alla sostenibilità degli impegni europei e internazionali. Non per venire meno alle nostre responsabilità, ma è necessario andare in Europa con le idee chiare e con delle proposte fattive, che aiutino il Paese a superare le sofferenze economiche attuali.
Un’ultima domanda. Se il Pd fosse malato, che malattia avrebbe?
La psicosi. Senz’ombra di dubbio.
E la causa?
Una nevrosi trascurata.
È una malattia pericolosa?
Sì, ma con i giusti farmaci è curabile!
* Intervista a cura di Cristina Del Tutto