La scuola non è messa in grado di garantire fiducia ai giovani
Da diversi mesi l‘Italia sta vivendo momenti veramente drammatici a causa di una instabilità governativa mai così difficile come l’attuale e la scuola ne subisce le dolorose conseguenze. Gli stessi poteri dello Stato sono messi in discussione, la conflittualità tra le istituzioni preannuncia tempi futuri incerti le cui conseguenze potrebbero essere pericolose per la sussistenza democratica. Il passaggio dalla prima alla Seconda Repubblica si pensava dovesse garantire una nuova era di fiducia e di sicurezza governativa, invece i risultati sono quelli che sono: la crisi politica alimenta la crisi economica; il fenomeno mafioso, che sembrava ridimensionato, esplode nella sua potente vitalità; la violenza, gli atti teppistici e vandalici offrono abbondante materiale alla cronaca quotidiana.
In questo contesto è collocata la scuola, una scuola incerta, demotivata, rassegnata ad un destino implacabile che non lascia sperare in un domani migliore. Potrei essere tacciato di estremo pessimismo in considerazione che alla “tempesta succede sempre il sereno“. Ma i disastri dell’attuale tempesta non sono di piccole dimensioni. I bambini, i fanciulli, gli adolescenti, i giovani, gli anziani vivono questa realtà.
Neil Postmann, nel suo interessante libro “II termostato culturale“, precisa che, quando una società cade in crisi, è compito della scuola intervenire per aiutarla a guadagnare la stabilità e la fiducia nella propria positiva realizzazione. Ho voluto fare la suddetta citazione non per evidenziare il valore del servizio scolastico, di cui tutti, penso, ne siamo convinti, ma per ricordare che, in ogni epoca storica, i capovolgimenti sociali, politici ed economici sono stati sempre preparati e sostenuti dalla scuola.
Sorge spontaneo, a questo punto, domandarsi come può il nostro Paese uscire dal “tunnel“, quando la scuola non è messa in grado di garantire fiducia ai giovani, di far scoprire l’importanza del valore etico della persona, di far credere alla “giustizia distributiva” e viene, invece, indicata come una delle principali responsabili del disastro economico del nostro Paese? Bisogna allora punire quest’arrogante categoria, farle scontare i privilegi accordati negli anni e aumentare gli impegni di servizio.
In quest’ultimo lustro abbiamo assistito ad una frenetica strategia di rendere, attraverso mini riforme, provvedimenti frammentari ed approssimativi, più confuso e meno redditizio il lavoro dei docenti. Si è pensato, soprattutto, a coltivare la cultura dell’impegno dell’insegnante senza badare alla conseguente qualità del servizio. Quindi ci si trova oggi di fronte ad una situazione che non ha precedenti nella storia della scuola. Gli insegnanti non hanno un punto di riferimento cui guardare nel loro lavoro quotidiano a causa di una miriade di circolari che dicono e non dicono; anzi, offrono materia per creare contrasti tra docenti: altro che “unitarietà dell’insegnamento“.
Cresce il costo della vita, i tetti inflattivi programmati e reali sono sotto i nostri occhi, mentre nuove tasse rendono più problematica la nostra vita di tutti i giorni. L’attuale crisi economica impone sacrifici, ma i più sacrificati sono quelli a reddito fisso, che non possono sfuggire agli strali del fisco, e la scuola è una di questi e, perciò, sente con angoscia i continui ammanchi mensili sulla busta paga (almeno servissero a qualcosa!). Viene, inoltre, messo in discussione il diritto di poter andare in pensione dopo aver prestato un regolare ed onesto lavoro contribuendo, attraverso le ritenute previdenziali, ad assicurarsi una vecchiaia tranquilla.
Dove sono andati a finire i nostri risparmi? E perché le beghe politiche devono essere pagate dagli onesti lavoratori? La fuga dei capitali all’estero, la mancanza dei rientri dei redditi realizzati dalla vendita dei prodotti nei mercati internazionali sono dovute al cattivo funzionamento della scuola? L’attuale sfascio, probabilmente, può far comodo a qualcuno, ma non al personale scolastico. Quest’ultimo chiede rigore morale, regole educative qualificate, riconoscimenti giuridici ed economici quali si addicono ad una società civile e democratica (se tale è la nostra). Sono questi alcuni dei punti forti cui guardare e da cui non derogare.
Se questi saranno presi in considerazione, allora i docenti supereranno le demotivazioni, riscopriranno il loro ruolo che trova supporto nella gioia di operare e di realizzare, non si rincorreranno nella richiesta anticipata della pensione, ma ritroveranno il gusto del lavoro, del lavorare insieme con gli altri per far crescere le nuove generazioni, all’insegna del rispetto dei valori della solidarietà e della pacificazione dei diversi. Così impostata e riconosciuta, la scuola aiuterà a eliminare la violenza, a far prendere coscienza del rispetto del bene comune, a non ricorrere al gioco ipocrita di chi vuole far credere che sospendendo per una giornata il campionato di calcio alcuni giovani possano redimersi e trasformarsi in un baleno da “teppisti ad angioletti“.