Festeggiamenti in tutto il mondo per la sirenetta di Copenaghen, che trae le sue origini dal mito e dalla leggenda
La sirenetta di Copenaghen ha appena compiuto il suo primo secolo, essendo stata inaugurata il 23 agosto 1913. In questa occasione, la capitale danese (che ha anche emesso un nuovo francobollo) organizzerà, per due settimane di seguito, letture, danze, concerti, accanto a una mostra sulla storia della statua e a una gara fotografica indetta dall’ente del turismo danese. Migliaia di persone hanno assistito agli spettacolari fuochi d’artificio, e decine di ‘sirenette‘ si sono coraggiosamente tuffate nelle fredde acque del mare, disegnando, con una suggestiva coreografia, il numero cento. Ma non solo. Altre sirene viventi hanno fatto la loro comparsa non solo in Europa, ma anche in altre città del mondo, come Pechino, Shangai, Sidney, Tokyo.
Questa celeberrima statua in bronzo, che talvolta delude i turisti per la sua esile statura, venne commissionata da Carl Jacobsen, figlio del fondatore della birreria Carlsberg, dopo aver assistito ad un balletto al Royal Theatre nel 1909. Il volto della Sirenetta, incorniciato da una lunga treccia, che si volge nostalgicamente dalla terraferma verso il mare, fu quindi ispirato alla ballerina Ellen Prince, che però non volle posare senza veli per lo scultore Edvard Eriksen, che allora ‘ripiegò‘ su sua moglie. Una volta terminata, ‘Den Lille Havfraue‘ fu subito donata alla città, ma solo gradualmente ne divenne il simbolo. Spesso coinvolta in cause ideologiche (come quando le venne posto addosso un burka), é stata anche spesso mira di atti vandalici (come una tinteggiatura in rosa ed un lancio in mare), ma il comune di Copenaghen l’ha sempre testardamente riposizionata, con la sua base di granito, sul molo Langelinie.
La statua della Sirenetta é, ovviamente, anche un omaggio al più celebre scrittore danese, Hans Christian Andersen. La fiaba, scritta nel 1836, narra di una giovane sirena, con ‘la pelle chiara e liscia come le foglie di rosa, e gli occhi azzurri come il mare più profondo‘, che per conquistare l’amore di un principe (e quindi anche la speranza di entrare nel ‘regno dei cieli‘) viene trasformata, al prezzo della sua bellissima voce e a condizione di abbandonare per sempre il suo castello sottomarino, in una fanciulla terrestre. Tuttavia, poichè l’inconsapevole principe (che non riesce a riconoscere colei che lo ha salvato da un naufragio) sposerà un’altra, la sirenetta (anche sacrificando la propria vita al posto della sua) si trasformerà in spuma del mare. La malinconica fiaba si conclude con un indiretto ammonimento ai bambini ad essere buoni, cosicché potranno aiutare lo spirito della sirenetta, ora appartenente non più al mare ma all’aria, a conquistare lo stesso, e nel minor tempo possibile, un posto in paradiso.
La figura della sirena non é un’ invezione del fantasioso scrittore danese, ma ha origini ben piu’ antiche. Nel libro dodicesimo dell’Odissea, nell’isola fra Scilla e Cariddi, due sirene, adagiate su un mortifero prato, attirano i naviganti col loro canto, per resistere al quale Ulisse si fa legare all’albero della nave dai suoi compagni, le quali orecchie sono state riempite di cera. In questo frangente, le sirene promettono maggiore conoscenza a chi da loro ‘pieno di gioia riparte‘. L’autore non ne descrive l’ aspetto poiché le sirene appartenevano a una precedente tradizione, nella quale solitamente vengono raffigurate con la parte inferiore del corpo a forma di uccello e alate. Nell’iconografia classica si trovano anche sirene dal volto maschile, che allietano coloro che giungono sulle soglie degli inferi. Nel VI secolo, nel trattato letterario De monstris, si menzioneranno per la prima volta donne il cui corpo termina a forma di pesce. La parola ‘sirena‘ (derivando dalla radice indoeuropea svar, che significa ‘suonare‘), evidenzia la caratteristica principale di queste creature, che era quella dell’ammaliare attraverso il canto, che era accompagnato da uno strumento musicale (lira o doppio flauto). Nelle Argonautiche di Apollo Rodio (III sec.a.C) Orfeo riesce a superare ‘l’incantevole voce‘ delle sirene tendendo nelle sue mani ‘la cetra bistonica‘, e intonando ‘un canto vivace, con ruvido ritmo‘ (libro IV). Nel decimo libro della Repubblica di Platone (390-360a.C) le sirene determinano il moto dei cieli (descritto come un fuso che ruota sulle ginocchia di Ananke) e quindi l’armoniosa struttura dell’universo: ‘Su ciascuno di cerchi in alto si muoveva una sirena, che emetteva una sola nota di un unico tono, ma da tutte otto risuonava una sola armonia‘. Il latino Ovidio, nel I sec.a.C., spiega che le sirene vollero essere trasformate in uccelli per poter cercare Proserpina, che era stata rapita da Plutone, ma vollero mantenere il viso umano per non perdere il dono del canto:
… ma perché voi, Sirene,
avete penne e zampe d’uccello, con volto di fanciulla?
Forse perché, quando Proserpina coglieva fiori in primavera,
voi, sapienti figlie di Acheloo, foste fra le sue compagne?
Dopo averla cercata invano per tutta la terraferma,
perché anche il mare sapesse quanto eravate angosciate, ecco che
desideraste di potervi reggere sui flutti remigando
con le ali e, trovati gli dei ben disposti, d’un tratto
vi vedeste gli arti farsi biondi di penne.
Ma perché al vostro famoso canto, fatto per ammaliar l’udito,
perché al talento delle vostre labbra non mancasse l’espressione,
vi rimasero volto di fanciulla e voce umana.
(Ovidio, Metamorfosi, canto V).
Nella mitologia nordica, le sirene diventano ‘ondine‘. Appartenenti essenzialmente all’elemento acquatico, non abitano solo le profondità marine (in giganteschi palazzi di cristallo), ma possono trovarsi anche in acqua dolce, ovvero a contatto di fiumi, laghi e cascate. Come le sirene, attirano i naviganti con la suadenza del canto, ma possono anche accompagnare o soccorrere, e non solo nuocere. Hanno capelli lunghissimi (decorati con fiori o piccole conchiglie) che coprono le spalle ed il seno. Generalmente hanno la coda di pesce, anche se l’alchimista Paracelso, nel XV secolo, le menziona come delle ninfe, o degli spiriti. Le ondine sono immortali e col dono della veggenza, ma non hanno un’anima, quindi non possono accedere a una vita ultraterrena, a meno che sposino un essere umano e gli diano un figlio. Fra le ondine più celebri troviamo Lorelei, che ha ispirato, sul rifacimento della precedente Elda, un’opera lirica di Alfredo Catalani, composta nel 1886-7. Secondo la leggenda, Lorelei vive sulle sponde del Reno. Divenuta oggetto di vendetta a causa di un’imbarcazione attirata in un gorgo, viene salvata da un cavallo spumoso, che emerge dalle acque del fiume, portandola via con sé per sempre. A Lorelei dedicò dei versi il poeta romantico tedesco Heinrich Heine:
Non so cosa vuol dir che il cuore così triste si senta;
d’antichi tempi una favola non vuole uscirmi di mente.
È fresca l’aria ed imbruna, tranquillo scorre il Reno;
la vetta del monte risplende nel sol che tramonta sereno.
Bellissima una fanciulla siede là in alto;
scintilla il vezzo suo d’oro, la chioma sua d’oro disciolta sfavilla.
Con pettine d’oro la pettina e insieme modula un canto
che è pieno di forza segreta, che è pieno di magico incanto.
In piccola barca il nocchiero è preso da fiero tormento;
gli scogli del fondo non vede là in alto guardar solo intento.
Io credo che l’onde infine inghiottano barca e nocchiero
e Lorelei questo fece col canto suo lusinghiero.
Nell’ opera wagneriana ‘L’oro del Reno‘, (1853-4) che fa parte della tetralogia L’anello dei Nibelunghi, le tre ondine sono figlie del fiume, che nuotano e giocano intorno allo scoglio maggiore, prestando poca attenzione all’oro, che viene poi rubato dal respinto e schernito nano Alberich. Impadronirsi dell’oro del Reno equivale a forgiare un anello che conferirà uno smisurato potere, ma in cambio si dovrà rinunciare all’amore. Un’altra ondina della tradizione germanica é Kolga, che sposa Sir Lawrence, un cavaliere col quale procrea un figlio. Tuttavia, a causa del suo acquisito stato mortale, l’ondina comincia ad invecchiare, perdendo la sua iniziale bellezza. Sorpreso il marito con un’ altra donna, Kolga gli manda un’invettiva, ovvero quella di perdere il respiro non appena si addormenterà (non a caso, la ‘maledizione di Ondina‘ é anche l’espressione più comunemente usata per indicare una patologica forma di apnea del sonno).
Nel curioso folklore irlandese, le sirene (se abitano le spiagge di Kerry,Cork e Waterfold) portano anche un berretto rosso piumato chiamato ‘cohullen druith‘, laddove nelle coste del nord indossano una pelliccetta di foca sulle spalle. Perdere il cappello o la pelliccetta significa non poter più tornare negli abissi marini, ma porta fortuna e ricchezza sulla terra. I ‘sirenetti‘ sono invece esseri repellenti (tutti verdi, maleodoranti, con denti aguzzi ed occhi porcini) e quindi le leggiadre ragazze cercano l’amore dei marinai, rifuggendo quello della loro specie.
La figura della sirena, nelle sue varie forme ed accezioni, compare quindi nel mito, nella leggenda, nell’ epica, nella narrativa, nel teatro (ricordiamo, a questo proposito, anche l’ ‘Ondina‘ del settecentesco drammaturgo francese Jean Giradoux), nel cinema (popolarissima la versione a lieto fine della Disney). Nel film hollywoodiano Splash. Una sirena a Manahattan, diretto nel 1984 da Ron Howard, una sirena giunge a New York, adattandosi alla congestione metropolitana e alle abitudini della società ‘civilizzata‘. Tuttavia, esposta in un museo, diviene oggetto di studi scientifici, riassumendo più che mai quel cinico distacco, descritto anche da Italo Calvino, della società capitalistica nei riguardi dei più deboli elementi della natura. Alla fine, poiché oggetto non solo di morbosa curiosità, ma anche di speculazione economica, sarà il ‘principe‘ a seguire la sirena negli abissi marini, e non viceversa. Del resto, era proprio la questione della reciproca accettazione, del creare un ponte fra opposte realtà, e dello sposare la cosiddetta ‘diversità‘ che stava a cuore ad Andersen:
-No-; rispose la nonna: – Solo se un uomo ti amasse tanto che tu divenissi per lui più del padre e della madre; solo se egli si legasse a te con ogni suo pensiero e con tutto il suo amore, e volesse che un sacerdote mettesse la tua mano nella sua con una promessa di fedeltà, per la vita e per tutta l’eternità, allora un’anima pari alla sua sarebbe concessa al tuo corpo, e tu parteciperesti della felicità umana. Egli darebbe a te un’anima e pure non perderebbe la sua. Ma questo non può mai accadere. Ciò che da noi, nel mare, é reputato bellezza – la coda di pesce- parrebbe bruttissimo sulla terra. Non se ne intendono, vedi; lassù bisogna che uno abbia due goffi trampoli che lo sostengono, per esser giudicato bello. La sirenetta sospiro’, guardandosi tristemente la coda di pesce.
(H.C. Andersen, ‘La Sirenetta‘)