La cherofobia viene generalmente considerata come la paura della felicità. Più che di una malattia, si tratta di una condizione emotiva in cui si trovano alcuni soggetti che non riescono a considerare il sentimento della felicità come una condizione positiva, come normalmente dovrebbe avvenire, ma al contrario, ne sono spaventati e tentano in tutti i modi di allontanarlo, privandosi di ogni situazione che potenzialmente potrebbe comportare un benessere emotivo.
Vediamo quale è il vero significato del termine e alcuni esempi che possono far comprendere cosa sia la paura della felicità.
Etimologia e significato di cherofobia
Sebbene la psicologia ufficiale non riconosca ancora la cherofobia come un disturbo o una patologia psicologica, è pur vero che sempre più p vivono questa situazione, forse senza nemmeno sapere che esiste una definizione precisa per descriverla.
Per capire di cosa si tratti e quali sono le sue implicazioni, può essere d’aiuto soffermarsi sull’etimologia del termine e sul suo significato.
Cherofobia è una parola che viene dall’unione di due parole greche: κάιρος (chàiros) che significa letteralmente “gioia”, “ciò che rallegra”, ma anche “tempo felice/propizio” + φόος (fòbos) che significa “paura”, “timore”, “fobia”. Come ci spiega l’etimologia della parola, la cherofobia è quindi la paura, il timore della felicità. In altre parole, una persona che si trova in questo stato d’animo teme la felicità e ha paura di rallegrarsi, di provare, o meglio, di ammettere di essere felice.
Si tratta naturalmente di una paura estrema, irrazionale e sproporzionata e molto spesso chi la prova si rende conto dell’irrazionalità di questo sentimento, ma allo stesso tempo non ha gli strumenti adeguati per riconoscerla e reagire, cercando invece di vivere serenamente un sentimento che accomuna ogni essere umano. Generalmente poi, la cherofobia è associata ad altri disturbi come l’ansia e lo stress emotivo che sfociano in manifestazioni fisiche più o meno severe, come: il rossore del volto, sudorazione eccessiva, tremore, tachicardia, palpitazioni, disturbi gastrici, vertigini e senso di soffocamento.
Tutti questi disturbi che si accompagnano talvolta alla cherofobia, possono finire per accrescere il senso di inadeguatezza e di ansia percepito, comportando a volte dei veri e propri disagi sociali che si ripercuotono sulla qualità della vita e sulla salute psichica di chi ne è affetto.
Insomma, per quanto possa sembrare strano, la persona affetta da cherofobia rifugge proprio quella cosa che invece tutti cercano e desiderano senza sosta: la felicità. Il cherofobico pensa che la fregatura sia sempre dietro l’angolo e che a ogni dose di felicità provata, corrisponda sempre una porzione di infelicità che spesso è tanto più amara quanto più dolce è la felicità assaporata qualche istante prima. Spesso questo pensiero è talmente centrale da far perdere di vista ogni possibilità di gioia perché l’attenzione è interamente spostata su ciò che potrebbe inevitabilmente far soffrire.
Tuttavia, la cherofobia non si manifesta sempre nello stesso identico modo per tutti i soggetti che ne sono affetti, anzi, vi sono manifestazioni differenti a seconda della personalità e del percorso di vita di ogni singola persona. Potremmo quasi dire che il disturbo assume tante sfaccettature quante sono le persone che si trovano a vivere questa condizione. Vediamo qualche esempio e qualche interpretazione a riguardo.
Esempi pratici di cherofobia
Rileggendo quanto appena detto, verrebbe naturale pensare che il cherofobico, colui che teme la felicità, sia una persona depressa oppure con tendenze depressive e perciò che abbia sempre il tono dell’umore molto basso. In verità non è affatto così: la cherofobia non si mostra sempre con un atteggiamento triste nei confronti della vita, altrimenti vorrebbe dire che ogni persona triste o comunque affetta da disturbi come la depressione sia anche cherofobica e questo, non è sempre vero.
Il cherofobico non è quindi una persona necessariamente triste, ma semplicemente una persona che evita di proposito tutte quelle situazioni che potrebbero potenzialmente renderlo felice. La motivazione di questo atteggiamento irrazionale e inspiegabile dall’esterno cela la paura di fondo che ad ogni periodo o situazione felice potrebbe necessariamente seguire un periodo di grande infelicità e per il timore di soffrirne, vengono del tutto evitate le situazioni potenzialmente belle.
Il cherofobico ad esempio evita quindi di fare scelte di vita radicali, anche se queste potrebbero comportare un miglioramento di vita; rifiuta il più possibile ogni tipo di cambiamento, anche positivo e, nella quotidianità, rifiuta spesso di prendere parte a feste o ricorrenze per la paura di trovarsi bene. In definitiva a spaventare è la netta consapevolezza che quella sensazione di felicità, di gioia, non durerà per sempre.
Un altro esempio di atteggiamento diffidente nei confronti della felicità è la convinzione, del tutto irrazionale, che le cose tristi accadano solamente alle persone felici, come forma di punizione per la troppa gioia provata. Si tratta di una credenza che molto spesso si accompagna a convinzioni religiose che tendono ad attribuire alla felicità terrena un valore negativo.
Infine, un altro esempio concreto di cherofobia è la convinzione di fondo che non sia mai un bene esprimere la felicità all’esterno o alle persone che ci circondano. In questo esempio specifico il cherofobico è convinto che l’infelicità sia una specie di cattiva sorte, un karma negativo, che la felicità si trascina dietro perché mostrarsi felici attira l’invidia degli altri e l’invidia provoca sofferenza e dolore.
Si tratta di meccanismi del tutto irrazionali e incontrollabili che scattano nella mente di chi li prova e come ogni condizione psicologica, anche la paura della felicità cela spiegazioni profonde e intime che risalgono a nodi mai sciolti nella vita personale.
Prima che la cherofobia diventi un problema invalidante per la nostra vita sociale è sempre consigliabile rivolgersi a uno specialista serio e non azzardarsi a fare una diagnosi da soli.
La cherofobia infatti, anche se non è ancora considerata una malattia a tutti gli effetti, è comunque un disturbo comportamentale e cognitivo e come tale va trattato, affrontato, intraprendendo un percorso di terapia cucito addosso alla propria situazione che sarà sempre diversa da quella di qualcun altro. Solo così sarà possibile trovare la giusta chiave di lettura della realtà e un compromesso per vivere serenamente le situazioni della propria vita.