Cosa sta succedendo in Siria? I tentennamenti di Obama derivano dall’appoggio di Putin alla Siria di Assad? Oppure gli Usa non si fidano dei ribelli?
La storia non è fatta solo di libri, ricerche scientifiche e documenti. La storia è fatta anche di immagini e foto. A volte una foto può essere molto più significativa di un intera enciclopedia. La foto che ritrae Churchill, Roosvelt e Stalin alla Conferenza di Jalta nel 1945 è un’icona importantissima di tutta la storia contemporanea. Un’icona che ha segnato la spartizione del bottino di guerra della seconda guerra mondiale e l’inizio della guerra fredda. Un’icona che rappresentò il calare della grande “ cortina di ferro” che divise il mondo in due, come disse Churchill nel 1946. Per chi, come me e quelli della mia generazione, è cresciuto a pane e nutella e cartoni animati, tutto questo non è stato un evento indifferente.
A scuola siamo stati sempre ben messi al corrente che, essendo italiani, eravamo nati in un paese alleato ed amico degli americani e dell’Alleanza Atlantica. Chi si contrapponeva a noi era l’Unione sovietica con il suo Patto di Varsavia. Era il mondo del Comunismo. Un mondo oscuro, l’altra “faccia della luna” che ci era ostile in tutto e per tutto. Quando nel 1989 il Muro di Berlino venne abbattuto si osannava la conclusione della guerra fredda, l’estinzione del Comunismo e l’inizio di quella che Fukuyama defini’ la “fine della storia”.
Un mondo senza più guerre e conflitti, interamente dominato dal liberalismo democratico e dal modello civile e sociale americano. Ma, se rivediamo tutto quello che è successo nel mondo intero, dal 1992 ad oggi, le cose sono andate diversamente. In molti paesi vi è il rifiuto del modello liberale democratico e del libero mercato. E soprattutto di guerre ne abbiamo avute tante. Ma a questo punto è lecito porsi un’altra domanda: la guerra fredda è davvero finita completamente ? Palesemente la situazione internazionale è molto difforme da quella degli anni che vanno dal 1945 al 1989. Non esiste più il Muro di Berlino, non esiste più l’Unione Sovietica e non esistono più vincoli per le persone che vogliono viaggiare o spostarsi da una parte all’altra del globo. Nonostante questo tra gli Usa e la Russia, che era lo stato più importante dell’Unione che non c’è più, contrasti e incidenti diplomatici sono all’ordine del giorno e ognuno controlla l’altro grazie alla propria rete di spie come in una volitiva partita a scacchi.
E guardando bene la carta geografica il mondo resta ancora oggi diviso, seppur in maniera differente dal passato, da zone di influenza di uno e dell’altro. A chi si chiedeva come mai Obama esitava tanto ad intervenire militarmente contro Assad, la risposta è servita. Al contrario della Libia o dell’Iraq, la Siria gode della protezione indiscussa della Russia e del suo presidente Vladimir Putin. Da sempre alleato geopoliticamente strategico per Mosca, la Siria ospita nella città di Tartous l’unica base navale russa per il mediterraneo e per i russi mantenerla è di ineludibile importanza anche alla luce di tutto quello che può essere un futuro assetto di tutto il Medio Oriente e della questione israelo palestinese.
Attaccare Damasco significherebbe inevitabilmente sfidare Vladimir Putin che, dopo essere tornato al Cremlino, ha imposto una linea di politica internazionale molto più dura contro Obama e la sua amministrazione, al contrario di quanto fatto dal suo predecessore Dimitri Medvedev. Sino ad arrivare a compiere verso gli americani uno “sgarbo” molto grosso: la concessione dell’asilo politico ad Edward Snowden, una spia che potrebbe rivelare al mondo intero i segreti dell’intelligence statunitense.
Questo gesto ha indotto Obama non solo ad annullare il vertice bilaterale previsto con Putin ad inizio Settembre, ma anche a voler mandare al presidente russo un segnale preciso. L’attacco alla Siria, che dichiaratamente sarà di breve durata e “non sarà un nuovo Iraq”, è un preciso avvertimento alla politica internazionale che sta seguendo Putin. Chiaramente se a tutto questo aggiungiamo il fatto che i ribelli siriani, non sono solo appoggiati e finanziati dagli Usa, ma anche da Qatar e Arabia Saudita e hanno al loro interno delle pericolose frange legate ad Al Qaeda e che il consiglio di sicurezza dell’Onu non ha dato la sua approvazione all’ attacco (il rapporto sulle armi chimiche usate da Assad non vi è ancora e gli ispettori non hanno ancora terminato il loro lavoro), l’esitazione di Washington nell’iniziare il conflitto è scontata. Senza poi dimenticare quali reazioni potrebbero avere su tutta la regione l’Iran e gli Hezbollah dal Libano, da sempre filo-siriani.
Per Washinghton, a conti fatti, in Siria per ora è meglio tenere in piedi il regime di Assad che non avere gruppi jiadisti al potere. Meglio prendere tempo, ancora, come ha fatto da poco Obama affermando che chiederà su tutto questo il voto del congresso americano. Il primo presidente afroamericano è dunque solo, trascinato in un avvenimento che sta diventando quasi una questione personale di credibilità ed affidabilità. Stanco di stare zitto davanti a Putin, ma anche consapevole che dalla sua decisone (ricordiamo che il presidente può anche decidere l’attacco senza il consenso del congresso) potrebbero accadere tante, troppe cose pericolose per il futuro della pace nel mondo intero. Nel 2003 venne attaccato in modo illegittimo l’Iraq. Senza l’approvazione dell’Onu la nazione guidata da Saddam Hussein fu accusata di detenere armi di distruzione di massa. Si scoprirà poi che queste armi erano inesistenti, e si fanno ancora oggi i conti con una guerra che è costata la vita a centinai di migliaia di persone e che ha reso l’Iraq di oggi in preda alle divisioni etnico religiose ed agli attentati terroristici che ogni giorno continuano a mietere vittime. Se la Siria non sarà un nuovo Iraq è ancora una storia tutta da scrivere.