Addio Imu. Buongiorno Service tax

Pubblicato il 3 Set 2013 - 9:01pm di Redazione

Dopo l’Imu: se il buongiorno si vede dal mattino sarà una giornata di ordinaria follia

Imu

Chi guadagna e chi perde con l’addio all’Imu? Al momento non è ancora dato di saperlo, in quanto il decreto del Governo Letta non ha ancora trovato pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, ancora, è oscura l’incidenza della Service tax che pagheremo dal prossimo anno.

Ipotesi e calcoli su calcoli sono presenti in tutti i media, dove pare che, alla fine, saranno avvantaggiati i locatori, le giovani coppie, gli agricoltori, le cooperative, le forze dell’ordine e i proprietari di seconde case. Naturalmente escluse quelle di lusso: A1 (di tipo signorile), A8 (ville), A9 (palazzi e castelli). Mentre tra i perdenti le seconde case e rischiano di inserirsi gli inquilini. I proprietari di prima casa dovrebbero risparmiare in media 225 euro (solo se a ottobre verrà confermata la cancellazione anche della seconda rata), però tra abolizione Imu e introduzione della Service tax il risparmio si ridurrà di 54 euro. Tuttavia, c’è ancora un problema: se l’Iva sarà incrementata, come previsto, di un punto, il costo che i cittadini dovranno sostenere va da 30 fino a 120 o, come un’associazione dei consumatori ha calcolato, fino a 209 euro.

Insomma, un calderone che non tranquillizza gli italiani. Il rischio concreto è che si paghi più di prima, poiché, negli ultimi anni, sia la tassazione statale sia la tassazione locale sono aumentate in parallelo. Oltre all’appesantimento delle innumerevoli gabelle locali, che da sempre martirizzano i cittadini italiani.

Numeri alla mano, le imposte statali, nell’ultimo ventennio, sono praticamente raddoppiate; soggette ad un aumento del 95%, sono passate da 186 a 362 miliardi di euro. Mentre le imposte locali sono letteralmente esplose: si è passati da 18 miliardi a 108 miliardi, ossia un enorme aumento del 500%. Situazione analoga per le imposte regionali, aumentate di trenta volte in quarant’anni giungendo a quota 80 miliardi di euro di entrate complessive. In pratica, la mancata diminuzione della pressione tributaria dello Stato, non ha compensato l’aumento di quella locale. Il prelievo maggiore della tassazione locale deriva dall’Imu, dalle addizionali Irpef e dalla tassazione sui rifiuti. L’altra parte meno rilevante, ma di cui si potrebbe fare a meno, che aspira denaro dalle tasche dei contribuenti, è la moltitudine di gabelle che infastidiscono non poco gli italiani. Ad esempio il contributo di bonifica di aree che sovente non hanno nulla da bonificare, la tassa per la pulizia dei fossi, di solito legata alla Comunità montana, la tassa sulla raccolta dei funghi. Poi due tassazioni dove, oltre a richiedere grande fantasia per individuarle, occorre anche una buona dose di fegato per proporle. La prima riguarda quella sui gradini, per la quale, chi ha degli immobili che danno sulla pubblica via con una scalinata, deve pagare la Tosap (Tassa sull’occupazione del suolo pubblico). Discorso analogo per la seconda tassa, ossia quella dell’ombra, chiesta ai commercianti di Cagliari per l’ombra che le insegne dei loro negozi proiettano sul suolo pubblico. Per non parlare della miriade di altre gabelle, applicate alle più svariate voci, che confermano il giudizio di popolo fantasioso attribuitoci dagli altri paesi europei. Ricordate che i rincari della benzina comprendono sedici voci che definirle assurde sarebbe un eufemismo, tra le quali, spicca al primo posto quello per il finanziamento della guerra di Etiopia del 1935-1936? E questo vale per tutti.

Il giochetto è molto semplice: lo Stato, per risparmiare, taglia i trasferimenti agli enti locali e li trasforma in tasse locali. Sì, con una mano da e con l’altra toglie. Siccome poi dai con la mano destra – per chi non è mancino -, quando prelevi con la sinistra, dato che questa è meno sensibile della destra, per evitare di prendere poco fai man bassa. Quando poi non si pagano doppie tasse su un solo argomento. Visto che siamo in tema, prendiamo come esempio l’Imu.

La vecchia Ici era incassata tutta dai Comuni, mentre l’Imu ha una compartecipazione statale che varia in funzione del tipo di abitazione, se principale o meno. In questo modo le casse comunali non immagazzinano maggiori entrate. I Comuni devono decidere di fissare le aliquote, però, dato che una parte dell’imposta la incassa lo Stato – più o meno la metà del gettito delle seconde case -, le amministrazioni locali, per avere le stesse entrate che avevano con l’Ici, devono aumentare le aliquote. Quindi aumentare le tasse ai cittadini. Occorre tenere conto che, inoltre, la tutela della prima casa deve essere compensata dalle altre categorie, senza portare benefici ai Comuni. Insomma, si tratta di una tassazione statale per interposta persona, come se lo Stato dicesse: il comune si accolla la scelta impopolare, ne risponde ai cittadini, però una parte delle entrate la prendo io. Lo Stato assegna ai Comuni le risorse (l’Imu sulla prima casa) e, al contempo, taglia i trasferimenti per pari importo; quindi il Comune utilizza le entrate della prima casa per coprire il taglio dei trasferimenti statali. Però, per contro, lo Stato permette agli enti locali di innalzare ulteriormente l’aliquota dell’Imu: anche su questo ulteriore introito il governo centrale ha la sua quota di partecipazione.

La morale? Sempre la stessa: al di là di chi è colui che riscuote, le tasse sono in costante aumento. E mi viene da ridere pensando tutte le volte che qualche politico ha annunciato o il taglio delle tasse o la scelta di non metterne di nuove. Ad ogni annuncio di taglio delle tasse, corrisponde un aumento uguale e contrario alla detassazione annunciata (Terzo principio della Dinamica/bis).

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