Siria, solidarietà o ambizioni latenti?

Pubblicato il 17 Set 2013 - 6:00pm di Redazione

Una richiesta di libertà offuscata dal potente arrivismo economico. Siria: storia di una guerra contemporanea

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Orfani, feriti, profughi, sfollati. Bambini. Circa 2.500 bambini, ogni giorno, oltrepassano il confine siriano per sfuggire a quella che potrebbe essere la peggiore catastrofe umanitaria dei nostri tempi. Catastrofe degenerata nelle ultime settimane e contraddistinta, come ogni altro confitto dell’epoca moderna, da un arrivismo economico e politico.

Facciamo il punto della situazione.

15 Maggio 2011: le forze d’opposizione manifestano pubblicamente contro il governo, reo di aver negato al popolo il tanto desiderato processo di democratizzazione. Meno di un anno dopo, una dichiarazione di “libertà” si trasformerà in guerra civile. Un conflitto duramente represso dal governo siriano, represso perché nulla è più scomodo di una popolazione che rivendica la propria libertà, e che lo fa pubblicamente. Carceri e torture per i manifestanti. Morte e paura per migliaia di civili. Terrore negli occhi dei più piccoli, i più indifesi. Un incubo senza fine.

21 Agosto 2013: le atrocità non hanno limiti né carità. Un’insurrezione nella periferia della Siria legittima l’utilizzo di armi chimiche. Tutto il mondo risponde a suon di moralismi. E in particolar modo, il moralista per eccezione diventa chi ha contribuito a far si che questa disumanità prendesse forma. Chiediamoci, però, perché questa attenzione mediatica si sia scatenata solo ora. Chiediamoci se questa “generosità”, da parte degli Stati Uniti, verso la tutela dei diritti umani, non nasconda interessi economici ormai diventati di larga scala. Chiediamoci il perché le altre occasioni in cui sono state utilizzate armi chimiche in Siria non erano degne di una risposta da parte della Comunità Internazionale. Condannare un metodo sicuramente non convenzionale di risolvere controversie, che colpisce indistintamente tutti gli strati della popolazione, non obbliga a ripetere la catastrofe. Non è necessario l’utilizzo di un’altra forma di violenza e di terrore per punire chi ha dato il via alle barbarie. Non è sinonimo di diplomazia e ricerca della pace.

Ricordiamoci di guardare, negli occhi, quelle creature innocenti cui stiamo rubando i sogni. Esseri umani la cui unica colpa è cercare di conquistare una fantomatica libertà, una labile serenità; guadagnandosi, sopravvivendo a quelle difficoltà primarie non comuni alla nostra situazione sociale, il diritto di Vivere. Circa 2.100 bambini, la scorsa settimana, si sono spinti fino in Iraq, attraversando il fiume Tigri, disidratati e malnutriti, per seguire l’unica “luce” che riusciva a guidarli verso la sopravvivenza.

Un paese che retrocede nell’oscurità del passato. Un Paese che, all’inizio di questo conflitto, aveva quasi conquistato il diritto all’educazione universale; e che in questo momento, invece, ha visto sgretolarsi davanti agli occhi. È un’utopia pensare di cambiare il mondo, se non s’inizia dai più piccoli.

«Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo, Mahatma Gandhi».

Iniziamo il cambiamento.

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