Presentato a Rimini il libro “Mar del Plata” di Claudio Fava, sulla squadra di rugby argentina massacrata dalla dittatura militare
Un campo da rugby, insolitamente di terra rossa, nelle scorse settimane è stata l’ancor più insolito scenario per la presentazione di un libro che parla di rugby e di ragazzi che seppero dire no a una dittatura. Il libro è Mar del Plata del giornalista e deputato Claudio Fava, il luogo dove è stato presentato è il campo da gioco del Rimini rugby, società che ha pensato di inaugurare la nuova stagione presentando il libro con l’autore, invitando inoltre Enrico Calamai, ex console italiano a Buenos Aires durante la dittatura militare argentina degli anni ‘70.
Il libro è ambientato in Argentina durante i mondiali di calcio del 1978 ed è ispirato alla storia vera della squadra di rugby di Mar del Plata che venne sterminata dai militari, che non potevano tollerare un qualsiasi gesto di ribellione da parte di ragazzi normali. Un gesto come tributare 10 minuti di silenzio a un compagno ucciso dai militari in occasione della prima partita dopo la tragica scoperta, giocare col lutto al braccio, sono questi gli affronti intollerabili che i militari non possono sopportare in un Paese dove la gente comincia a sparire e nessuno deve parlarne. Da quel momento, uno per uno i giocatori vengono uccisi o fatti sparire dai militari, ma i giocatori del Mar del Plata continuano a giocare il campionato, a vincere partite e, imperterriti, a onorare i compagni scomparsi con un silenzio sempre più rumoroso, sostituendo i caduti con i ragazzi delle giovanili.
Durante l’incontro Claudio Fava si è soffermato sugli aspetti poco conosciuti della vicenda originale, ricordando i suoi trascorsi sportivi giovanili di pallanuotista impegnato politicamente a sinistra, che però andava a sostenere allo stadio la squadra di rugby della sua Catania, una squadra connotata come di destra e ricevendo lo stesso sostegno dai rugbysti catanesi quando era lui a giocare le sue partite, concludendo con un parallelo tra la resistenza dei giovani siciliani alla mafia e la resistenza dei ragazzi argentini alla dittatura militare.
Enrico Calamai ha raccontato invece la sua storia di giovane console, che aveva già conosciuto il golpe militar-fascista di Pinochet nel Cile del 1973, la sua violenza in diretta televisiva che aveva finito per alienare simpatie ai militari cileni e di come i militari argentini scelsero la strada diversa delle sparizioni in silenzio degli oppositori e presunti tali. Il console Calamai, a differenza di altri colleghi e del governo italiano non girò la testa dall’altra parte, e si adoperò per procurare documenti e aiutare ad uscire dal Paese più di 300 persone, salvandole da morte certa. “La vita dopo il golpe era tranquilla a Buenos Aires” ha ricordato Calamai “Ma dopo un po’ cominciarono ad arrivare al consolato persone che denunciavano le sparizioni di parenti, gente caricata a forza su ford falcon verdi senza targa, la mancanza di notizie. Non c’erano cadaveri da far vedere, e già allora quello che non è rappresentato non esiste, i militari hanno eliminato 30.000 ragazzi e ragazze, la classe dirigente del futuro. I governi sapevano quello che stava succedendo, l’Italia aveva un ruolo fondamentale, del resto molti golpisti argentini erano iscritti alla P2 di Licio Gelli, ma in Italia si preferì il silenzio e partecipare al saccheggio dell’Argentina, uno dei paesi più ricchi di risorse, abbandonando nostri connazionali e loro parenti alla repressione dei militari”.
La storia di Enrico Calamai è stata ricostruita in una puntata de “La Storia siamo noi” di Rai Storia, dal significativo titolo “Enrico Calamai, un eroe scomodo” e nel bellissimo libro scritto dallo stesso Calamai ed ormai introvabile “Niente Asilo politico”, uscito qualche anno fa per gli Editori Riuniti. La storia del Console Calamai resta sconosciuta ai più, forse perché siamo un Paese che il suo passato non proprio esaltante cerca di rimuoverlo, o forse perché Enrico Calamai, come i veri eroi rifugge la ribalta, accetta con piacere di parlare della sua esperienza, di un uomo normale che ha fatto quello che riteneva giusto e che se non vi fosse stato lui, al momento del golpe, ci sarebbe stato qualcun altro che si sarebbe comportato nello stesso identico modo. Concludendo il suo intervento Enrico Calamai ha ricordato che “Le violazioni dei diritti umani ci sono ancora oggi ma non le fanno solo i militari cattivi come in Ruanda, Cina, Siria, di cui fra l’altro non sappiamo ancora nulla, le facciamo anche noi col nostro silenzio che diventa complicità, sta a noi società civile parlarne, informare ed informarci e cercare di incidere, per cambiare le cose”.