Cos’è la “Patria” e ha ancora senso parlarne all’interno dell’Unione Europea?
La leggenda del Piave. Sì, la leggenda, perché di leggenda si tratta, ma non nel senso di fatto fantastico, cioè creato dalla fantasia, bensì perché è un avvenimento che assume, quasi, le dimensioni di un mito dell’epica omerica. Un fiume che, quasi fosse un essere umano, si anima e si arruola, volontario, con i soldati italiani, palesando, poi, di volta in volta, con il variare del suo fluire, stati d’animo diversi, a seconda dell’evolvere delle vicende storiche che gli si svolgono accanto. E tutto questo per la Patria, perché, allora, la Patria c’era ed era l’Italia.
Adesso? Europa sì. Europa no. Ma facciamo un passo indietro. Nel saggio “I cattolici e il paese”, Luigi Alici, alla pagina 62, dice che, “… dalla metà del Novecento a oggi, nessuno, per fortuna, è più disposto a morire per la Patria; dobbiamo, chiederci, però, se siamo ancora disposti a vivere in una Patria!”. In merito al primo punto, io, da cattolico, preferisco dire “per grazia di Dio” e non “per fortuna”, anche se, poi, per asserirlo ci vorrebbe la prova, cioè la verifica sul campo, prova che – e qui ripeto “per grazia di Dio” – manca, e ci auguriamo manchi sempre.
In merito al secondo quesito, rispondo di sì. Non certo in una patria come l’UE che, poi, Patria non è, proprio per il valore semantico del termine. La Patria è altro, è quello che dice il De Amicis nella bella pagina del libro “Cuore” intitolata “L’Amor di patria”. Componimento d’esame: “Perché amate l’Italia”. Svolgimento: “Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, perché italiana è la terra dove sono sepolti i morti, che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove sono nato, la lingua che parlo, i libri che mi educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano“.
E adesso andate a dire ai fanti italiani, che, il 24 maggio, di notte e in silenzio, oltrepassano il Piave mormorante, che la Patria non c’è più o che è l’Unione europea; o andate a dirlo agli Spartani di Leonida, alla battaglia delle Termopili o agli Ateniesi di Milziade a quella di Maratona. Siamo disposti a vivere in una Patria, ma ognuno nella propria, quella vera. L’UE è invece un’entità creata da burocrati – che snatura, perciò, la sostanza d’ogni Stato nazionale, privandolo della propria identità togliendogli i simboli che lo identificano, com’è già avvenuto con la moneta unica, come avverrà con l’abolizione, prima o poi, della bandiera e via dicendo. E, forse, un giorno, in nome del “politicamente corretto” e della globalizzazione, anche del proprio credo religioso, com’è già accaduto per l’Europa, alla quale non sono state riconosciute le radici cristiane.
E accadrà, probabilmente, anche per la lingua, non più la propria, ma un’altra – l’inglese? -, e qui ne faccio un’anticipazione dicendo: per il “politicallycorrect”. Se nessuno, oggi, fosse disposto a gridare “Viva l’Italia!” e a combattere e morire per essa. Credo che, ugualmente, nessuno sarebbe disposto a gridare ”Viva l’Europa!” e per essa combattere e morire. È ancora troppo presto per farlo. O, forse, è e sarà sempre impossibile. La prof.ssa Ida Magli, “la più irriducibile avversaria di Maastricht” nel suo libro “La dittatura europea” spiega “come il sogno comunitario ci stia togliendo la libertà”. Vogliamo vivere, almeno nel ricordo e con orgoglio, in mezzo ai tanti disvalori attuali, quegli ideali che non possono essere sottratti e cancellati da nessuno.