La storia di Leonard Peltier: nativo americano in carcere per difendere i diritti del suo popolo
Madiba, Nelson Mandela, è morto. Mandela è l’eroe più conosciuto della lotta all’apartheid, quel sistema di discriminazione e razzismo che imperava in Sudafrica. Un sistema aberrante secondo il quale era il colore della pelle a permettere o meno l’accesso a diritti fondamentali e a condizioni necessarie per vivere. I privilegi erano dei “bianchi”, la ricchezza era di loro esclusiva … la miseria e la sopraffazione era di chi aveva la pelle di colore diverso e viveva in ghetti miserabili. Un sistema che persone come Nelson Mandela, Steven Biko e tanti altri meno noti, senza nome né volto, hanno combattuto.
Un sistema di soprusi che è esistito ed esiste ancora anche in paesi che sono considerati “esempi di democrazia”, come gli Stati Uniti d’America. A tal proposito è bene ricordare un uomo, Leonard Peltier, attivista per i diritti dei nativi americani, che fu condannato all’ergastolo dopo un processo “molto strano” (per non dire sommario), che non tenne conto delle prove a suo favore ma solo di testimonianze manipolate, vaghe e contraddittorie. Leonard Peltier “vive” da oltre 37 anni in un carcere statunitense. A lui è stata negata la possibilità di avere una revisione del processo, nonostante le prove che dimostrano la sua innocenza. Leonard Peltier è in carcere perché è un “ribelle” che lotta per i diritti del suo popolo. Si prenda la sua storia come esempio delle tante ingiustizie che avvengono in ogni parte del mondo e che vengono taciute perché “scomode”.
Che differenza c’è tra Leonard Peltier e Nelson Mandela?
Tante, ma una è fondamentale. Leonard Peltier non è famoso come lo è stato Nelson Mandela. In Italia è praticamente sconosciuto. La sua storia non riempie le pagine dei giornali. Per conoscerla bisogna cercare, bisogna che “capiti per caso” qualcosa da leggere. E, poi, gli Stati Uniti sono un paese “democratico”, non sono come il Sudafrica di qualche decennio fa. Hanno un “presidente nero”, segno di “integrazione razziale”.
Ma quella di Peltier è una delle tante storie di quel “normale” apartheid che viene attuato in una sedicente e apparente “legalità” e risulta, per questo, accettabile. L’apartheid non è soltanto brutale (e gratuita) violenza verso chi ha la pelle di diverso colore da quello di chi detiene il potere. L’apartheid oggi, non si esprime più nelle forme feroci che si sono vissute in Sudafrica e che Mandela ha subito, ma l’apartheid continua a esistere anche nei paesi cosiddetti civili. È diventato qualcosa di più morbido e subdolo ma, proprio per questo, è estremamente pericoloso. La si può chiamare come si vuole, ma la discriminazione, che c’è sempre stata e che oggi sta aumentando, verso chi è più povero è “apartheid”. La cancellazione dei diritti perché “costano”, la crescita dei privilegi, la riduzione in condizioni di schiavitù (o molto prossima ad essa) di chi lavora, la negazione della giustizia a chi non ha risorse sufficienti per affrontare processi infiniti, sono forme di “apartheid”.
Perché apartheid è, anche, permettere che possano avvenire tragedie del lavoro come quella di Prato. È far finta di accorgersi delle condizioni di totale insicurezza e sopraffazione nelle quali vivevano quei lavoratori, solo dopo la tragedia, mentre tanti, troppi, sapevano e si sono voltati dall’altra parte.
Apartheid è, anche, tacere del processo Marlane-Marzotto, far finta che nello stabilimento di Praia a Mare non sia successo nulla di strano, permettere tempi processuali lunghissimi, tapparsi le orecchie quando si parla di questa tragedia. Ed è una forma di apartheid la mancanza di azione da parte di chi dovrebbe e potrebbe agire.
L’apartheid si alimenta di assenza, indifferenza e silenzio. E, allora, parlare (seppur brevemente) di Leonard Peltier, ricordare le condizioni di lavoro (e di vita) alle quali erano costretti i lavoratori di Prato, continuare la lotta per avere verità e giustizia per i lavoratori della Marlane-Marzotto e le loro famiglie è qualcosa che può aiutare. Rompere il silenzio è necessario per creare crepe in un sistema spaventoso che si regge sul profitto, il privilegio, l’arroganza e la discriminazione. E, allora, gridiamo forte libertà per Leonard Peltier, non cancelliamo con il silenzio e l’oblio la tragedia di Prato, pretendiamo di sapere cosa è successo alla Marlane-Marzotto di Praia a Mare.
Facciamo qualcosa. Forse è poco, ma è.
PS: Dice Leonard Peltier: “la mia colpa è essere indiano, e la tua?”
Per saperne di più:
Fonte: il dialogo