Causa mutamenti climatici a rischio le fasce più deboli della società
Oramai è trascorso quasi un secolo da che si iniziò a formulare la teoria del riscaldamento globale. Ad oggi, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: il ritiro dei ghiacciai, l’aumento del livello dei mari, la variabilità accentuata nell’intensità e frequenza della pioggia, il moltiplicarsi di eventi meteorologici estremi, l’intensificarsi dei cicloni. L’U.S. National Climatic Data Center, nel suo studio del climate change, riporta degli esempi di eventi estremi: nel 1852 i primi germogli primaverili sbocciavano intorno alla prima decade di maggio, nel 2012 a Chicago (notoriamente una delle città più fredde degli USA) si è avuta la prima fioritura già il 25 gennaio; gli orsi bruni, nel freddo Stato di Washington, situato all’estremo nord-occidentale degli Stati Uniti d’America, si risvegliano dal letargo di anno in anno sempre più in anticipo.
I mutamenti climatici, è fuori discussione, segneranno inevitabilmente gli habitat naturali e, allo stesso modo, incideranno pesantemente sugli equilibri socio-economici. Anche a non voler tener conto del Rapporto Stern sull’economia a basso carbonio, resta la constatazione che a fronte di ogni evento estremo, che si abbatte in qualsiasi luogo del pianeta, si originano ripercussioni economiche a volte con esiti a catena. Si è verificato, ad esempio, nel caso delle alluvioni che hanno investito il sud dell’India e del Pakistan dopo gli incendi della Russia. Infatti, non si è mai riscontrato da trent’anni in qua che le scorte mondiali dei cereali si siano sensibilmente ridotte e i prezzi abbiano toccato i massimi storici. Informa l’IFPRI (International Food Policy Research Institute) che, a causa del surriscaldamento globale, la produzione agricola mondiale alla fine del decennio in corso subirà una riduzione del 16%.
L’uomo sta determinando le sorti della Terra. Nel 2007 la Società Meteorologica Americana in un documento affermò: “Una forte evidenza osservativa e i risultati degli studi di modellistica indicano che, almeno nel ultimi 50 anni, le attività umane hanno contribuito maggiormente ai mutamenti climatici.” Ce lo confermano le valutazioni riguardo alla perdita di biodiversità, alla diffusione delle malattie, alla riduzione dell’acqua potabile, alle ondate di calore.
Le previsioni del Terzo Rapporto dell’IPCC, con uno sguardo ad ampio raggio, ci dà conto di quali saranno le regioni interessate dai mutamenti climatici. Nel nord-est dell’Europa probabilmente aumenteranno le precipitazioni violente; nell’Europa mediterranea saranno più frequenti i rischi di siccità, così come in gran parte dell’Asia centrale; i cicloni aumenteranno nel nord Atlantico e nel mar dei Caraibi. Va da sé che tutte i mutamenti climatici avranno una rilevante influenza sul comportamento degli animali, la cui esistenza è strettamente legata alle condizioni climatiche e non ad abitudini comportamentali. Molto dipenderà dalla loro capacità di adattamento per sopravvivere. Il biologo C. D. Thomas ha supposto che con un incremento della temperatura tra lo 0,8° e 2,2° C la perdita della specie di farfalle e di alcune piante sarebbe compresa tra il 15/17%.
Non meno preoccupanti saranno gli impatti sul genere umano, benché grazie alla nostra “intelligenza”, alle capacità di adattamento e alla collaborazione con i nostri simili saremo in grado di fronteggiare (entro certi limiti) le conseguenze provenienti dai mutamenti climatici. Certo è che le popolazioni più povere, gli anziani e i più giovani saranno sottoposti a rischi maggiori. Non solo. Le società meno sviluppate (è già cronaca), soggette ad ulteriori crisi climatiche, vedranno accentuarsi i loro problemi di sopravvivenza connessi alla alimentazione, alla salute, alle infrastrutture. Questo provocherà conflitti sociali, morte e migrazioni. Ma in molte zone del pianeta è già una realtà. E’ già presente.