Il ricordo di Margherita Hack a un mese dalla sua scomparsa
Margherita Hack, la ragazza delle stelle si è spenta a novantun anni, a Trieste. Aveva deciso di non operarsi più; da buona epicurea e da buona materialista non le interessava la morte, non credeva nell’aldilà: desiderava soltanto morire bene, senza soffrire – con il sorriso sulle labbra, accanto ad Aldo, il compagno di una vita. E così, la città di Svevo, Saba e Joyce, verrà ricordata anche per essere stata la terra di una triestina d’adozione.
Margherita Hack non era solo una scienziata con gli occhi rivolti verso le stelle, famosa per il suo lavoro in ambito astrofisico e per l’impegno nella diffusione della cultura scientifica, ma era anche una pensatrice con i piedi per terra, per certi aspetti persino una filosofa (anche se lei negava di esserlo dicendo che di filosofia non capiva niente), nota per le sue riflessioni politiche, etiche e religiose. Da anni si era contraddistinta anche come una buona scrittrice, pubblicando soprattutto libri di divulgazione sull’astronomia, in cui non mancava di esporre le sue convinzioni personali, come dimostra uno dei suoi ultimi importanti lavori Libera scienza in libero Stato (2010). Aveva una scrittura fluida e coinvolgente. Non a caso, prima di intraprendere la carriera scientifica, si era iscritta a Lettere da cui però fuggì subito, dopo aver ascoltato una lezione noiosissima di Giuseppe De Robertis su Pesci rossi di Emilio Cecchi.
E così – per caso, seguendo una sua compagna – Margherita Hack scelse Fisica, laureandosi nel 1945 con una tesi di astrofisica sulle cefeidi (una classe di stelle variabili), frutto di un lavoro effettuato presso l’Osservatorio astrofisico di Arcetri diretto da Giorgio Abetti, il suo primo maestro, con il quale scrisse il suo primo libro, Le nebulose e gli universi–isole. Una scelta casuale, è vero, ma (se si crede alle coincidenze) inevitabile per una che era nata a Firenze, all’angolo di via Centostelle e che aveva abitato in via Leonardo Ximenes, astronomo!
Prima di dedicarsi all’insegnamento, negli anni Cinquanta Margherita Hack compì alcuni viaggi di ricerca all’estero, prima presso l’Institut d’Astrophysique di Parigi, dove conobbe Daniel Chalonge; poi a Utrecht da Marcel Minnaert e, infine, a Barkeley da Otto Struve con il quale firmò un fondamentale trattato di spettroscopia stellare, Stellar spectroscopy. Nel 1964 vinse la cattedra di Astronomia presso l’Università di Trieste dirigendo anche l’Osservatorio astronomico (1964-87), che ha portato a un livello internazionale, e il Dipartimento di Astronomia (1985-90, 1994-97), che ha guidato sino a quando, per raggiunti limiti di età, ha lasciato l’attività accademica. È stata membro dell’Accademia nazionale dei Lincei, ha fatto parte dei gruppi di lavoro dell’ESA e della NASA; nel 1978 fondò la rivista L’Astronomia e nel 2002 la rivista Le stelle. L’asteroide 8558 Hack le è stato intitolato nel 1995.
Un aspetto che contraddistinse l’attività di Margherita Hack è il suo impegno civile. Da sempre di sinistra, la Hack iniziò ad appassionarsi alla politica molto presto. D’altra parte era nata in un momento cruciale, il 12 giugno 1922, lo stesso anno della marcia su Roma che decretava l’avvento del Fascismo in Italia. Nel 1941, per poter vincere una medaglia ai Littoriali in nome della sua grande passione sportiva, giurò fedeltà al regime – un evento che la stessa Hack considerò “un atto di viltà in cui prevalsero la festa e l’orgoglio”. Ma le sue idee antifasciste erano già maturate prima di quella data (tanto che alla vigilia dell’esame di maturità, che non sostenne a causa dell’ingresso in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, rischiò di essere espulsa da tutte le scuole del Regno): era il 1938 quando, in seguito all’introduzione delle leggi razziali, la sua professoressa di scienze Enrica Calabresi fu cacciata dal liceo Galileo Galilei di Firenze (o Galivoi, come lo si chiamava ironicamente durante il fascismo che aveva introdotto l’obbligo di usare il Voi al posto del Lei). Si sarebbe suicidata, a cinquantatre anni, nel carcere di Santa Verdiana di Firenze. Prima dell’arresto, però, Margherita Hack fece in tempo a incontrarla “in una di quelle strette viuzze dietro piazza della Signoria; camminava radente ai muri, a testa bassa e mi fece l’impressione di un animale braccato. La salutai, avrei voluto parlarle, esprimerle la mia solidarietà, ma non ne ebbi il coraggio. […] La sua vicenda ha contribuito in modo decisivo a farmi capire la realtà di quegli anni, a immaginare con orrore cosa sarebbe potuta diventare l’Europa se il nazifascismo avesse trionfato”.
Margherita Hack combatté le sue prime battaglie politiche in ambito scientifico, lottando per una democratizzazione degli Osservatori astronomici italiani, tendenzialmente maschilisti come il mondo della scienza in generale, per una maggiore libertà di ricerca e per autonomi finanziamenti. Fu invitata a candidarsi anche in politica (l’ultima avventura con Democrazia atea nel 2013) ma, dopo una esperienza di consigliere comunale a Trieste nel 1993, scoprì che quello non era un luogo a lei congeniale. Margherita Hack fu una paladina della libertà della ricerca scientifica che – come scrive in Libera scienza in libero Stato – deve essere prima di tutto libera e disinteressata, e solo in seguito dovrà porsi problemi di applicazioni pratiche (per questo si dichiarò contraria alla costruzione di centrali nucleari in Italia, ma favorevole alla ricerca sul nucleare).
Il suo impegno civile si espresse anche nella sua costante attività a favore dei diritti, quindi del riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, e nel sostegno di posizioni bioetiche: Margherita Hack si è molte volte espressa in favore della ricerca sulle cellule staminali embrionali, alla fecondazione medicalmente assistita, alle pratiche anticoncezionali e all’aborto. Contraria all’accanimento terapeutico, era favorevole all’eutanasia, che riteneva un diritto: “Penso che la cosa più giusta sia quella di fare ciò che desidera il malato e non scegliere in base ai nostri desideri egoistici e alle nostre convinzioni ideologiche. Se un malato terminale non ha intenzione di sopravvivere come un vegetale, dovrebbe essere lasciato libero di morire: per questo si parla dell’importanza del testamento biologico, una dichiarazione scritta che manifesti la nostra volontà a riguardo, qualora non fossimo più in grado di farlo. Ritengo che staccare le macchine in queste condizioni sia un atto di umanità, a prescindere dalle intromissioni religiose che prescrivono la tutela della vita a ogni costo, anche di fronte a indicibili sofferenze”.
Note, e altrettanto discusse, furono anche le sue posizioni in fatto di religione, che potrebbero essere riassunte con questa significativa citazione tratta da Le mie favole (2009): “La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l’universo, la Terra, il proprio corpo, di rifiutare l’insegnamento calato dall’alto; in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede”. Esse furono in parte influenzate dai genitori, dai quali ereditò anche l’amore per gli animali e la scelta di una alimentazione vegetariana raccontata in Perché sono vegetariana (2011). Il padre, contabile presso la società toscana di energia elettrica, era di religione protestante; la madre, copista alla Galleria degli Uffizi, professava il cattolicesimo. In seguito a una sfiducia religiosa, entrambi decisero di abbandonare la loro religione di origine e di aderire alla Teosofia, una filosofia di origine indiana che insegna l’amore universale verso tutti gli esseri viventi e che “presuppone la fede nella reincarnazione e nei Maestri, esseri superiori che guidano la nostra umanità”. Margherita Hack però non vi aderì, e a quattordici anni, sentendosi diversa dagli altri, si avvicinò al cattolicesimo, che abbandonò pochi anni dopo diventando definitivamente atea.
L’ateo, anche se non crede, possiede un’etica che è laica. Egli agisce secondo coscienza, animato da un principio morale, non pretendendo di imporre le proprie convinzioni agli altri. Un ateo può accogliere l’etica cristiana fondata sugli insegnamenti di Gesù Cristo (validi anche per un non credente), del quale la Hack negava la divinità, ma che considerava “la maggior personalità della storia”. In questo senso il pensiero di Margherita Hack è, oltre che laico, anche cristiano, ma intende ricondurre la religione – parafrasando un testo di Kant – entro i limiti della sola ragione. Tuttavia l’etica dell’ateo – secondo Margherita Hack – è superiore a quella religiosa perché è disinteressata: l’ateo, infatti, ritiene di dover agire bene per un comandamento interiore, secondo “principi di coscienza”, non perché si aspetta, come il credente, una ricompensa nell’aldilà. Da questo punto di vista l’ateo e il credente – continua la Hack – si muoveranno sempre su posizioni opposte: “l’uno crede nella materia e nelle sue forze intrinseche, senza altri fini, l’altro crede che quelle forze intrinseche della materia obbediscano a una volontà e a un Bene superiore”. Nonostante questo, “possono anche dialogare, a patto che ambedue siano ‘laici’, nel senso che rispettano le credenze o le fedi dell’altro senza volere imporre le proprie”.
Lo studio del rapporto tra scienza e religione richiede innanzitutto una delimitazione dei due ambiti. Secondo Margherita Hack, scienza e religione non sono in contraddizione tra loro in quanto operano su piani diversi e hanno metodologie differenti. Mentre la prima si basa sull’osservazione, sull’esperimento e sull’interpretazione dei fatti e, attraverso lo strumento della ragione, si pone lo scopo di capire le leggi generali che regolano l’universo e la vita, la seconda “comincia con un atto di fede e non richiede spiegazioni razionali, risultando di conseguenza irraggiungibile col metodo razionale”.
La religione, per la Hack, è un fatto antropologico costante in ogni tempo e in ogni civiltà: sin dall’antichità, per spiegare i fenomeni naturali, l’uomo ha inventato le divinità (stato teologico della filosofia positiva di Comte), la cui immagine, con l’avanzare del progresso scientifico e l’acquisizione di conoscenze certe, è andata via via cambiando assumendo una connotazione sempre più spirituale e meno antropomorfa, a tal punto che oggi “sopravvive l’idea di un Dio ben diverso dal Dio con la barba, seduto in trono e circondato da santi e angeli, come lo raffiguravano i pittori di alcuni secoli fa, ma sempre un Dio onnipotente, anche se puro spirito, che renda conto del perché della vita, del perché dell’universo, del perché di tutte le leggi fisiche che lo governano”. La religione ha, dunque, una origine pratica, come in Feuerbach, con il quale Margherita Hack condivide la concezione della religione come costruzione umana e come oggettivazione dei bisogni dell’uomo – salvo che, mentre per Feuerbach sarà la filosofia che libererà l’essenza dell’uomo dall’alienazione religiosa, per la Hack sarà il progresso scientifico a liberare l’uomo dalla religione.
Ora, perché si ipotizza Dio?
(i) per spiegare tutto ciò che non eravamo e ancora non siamo in grado di spiegare;
(ii) per illudersi di non morire.
Dio – secondo Margherita Hack – sarebbe un’ipotesi non necessaria, non soddisfacente dal punto di vista scientifico, inventata dall’uomo per vincere la paura della morte e per dare un senso all’immensità dell’universo che lo circonda. La scienza non può dimostrare razionalmente la sua esistenza o inesistenza, è una questione che esula completamente dal piano scientifico: credere (come non credere) in Dio è un atto di fede; e non può nemmeno dimostrare razionalmente l’esistenza della materia, la cui esistenza è un dato di fatto. Oggi sappiamo come si è evoluta, ma non possiamo spiegare il perché, e tantomeno spiegare perché essa sia in questo modo e non in un altro o perché vi siano queste determinate leggi fisiche e non altre: sono tutte domande alle quali oggi la scienza non è in grado di dare una risposta. Pertanto non sappiamo se essa sia stata creata o sia sempre esistita: e forse non lo sapremo mai (Margherita Hack ammette la possibilità dell’Inconoscibile che – secondo Spencer – non potrà mai essere penetrato).
Margherita Hack ritiene che la materia sia sempre esistita – è causa sui – e la capacità di aggregarsi dalle particelle elementari e di svilupparsi in esseri più complessi (quali siamo noi) sia una proprietà insita in essa. Se essa è sempre esistita, allora non ci sarebbe stata una creazione, “ma soltanto una liberazione di energia, che ha scatenato l’espansione: nient’altro che un cambiamento di condizioni fisiche da uno stato di altissime temperature e densità fino a un universo complesso come quello che conosciamo oggi”. Ora – secondo la Hack – l’universo potrebbe essere infinito nel tempo e nello spazio ed essere sempre esistito, e ciò che siamo soliti definire “inizio” potrebbe coincidere con quella espansione che ne ha modificato le condizioni fisiche. Così come non conosciamo l’energia che ha dato avvio alla materia, non sappiamo nemmeno per quale motivo essa si sia liberata. Margherita Hack suggerisce di pensare che quell’energia iniziale possa essere “Dio”, e questo “Dio” identificarsi con il bosone di Higgs, particella elementare – osservata al CERN di Ginevra il 4 luglio 2012 – che sarebbe in grado di fornire la massa a tutte le altre particelle. Esso sarebbe, in definitiva, il “creatore” della materia, il dio privo di eticità immaginato da molti scienziati e filosofi, e quindi “completamente indifferente alle vicende degli esseri da lui creati, ben diverso dal Dio delle varie religioni, padre amorevole o severo, che premia e punisce i suoi figli. […] Sarebbe un dio perfettamente accettabile dagli atei…”.
Come minimo sarà già in paradiso che bestemmia.
O le sue molecole, come diceva lei, staranno viaggiando un po’ di là e un po’ di qua