Evasione fiscale ignorata dallo Stato italiano
Una questione di cultura, di senso civico, di leggi inattuate. L’evasione fiscale in Italia continua ad essere uno dei maggiori problemi per uno sbocco verso la crescita economica.
“Il fenomeno – rammenta la Corte dei Conti – è stimato pari al 18% del Pil, dato che ci collocherebbe al secondo posto nella graduatoria internazionale, dietro la Grecia”. Per contrastare questa piaga che costringe ogni anno i contribuenti onesti a pagare anche per quelli fraudolenti, l’Agenzia delle Entrate ha pensato di inasprire i controlli.
Tutto è partito con il governo Monti che ha fatto rientrare, rispettivamente, nelle casse dello Stato, 12,7 miliardi di euro nel 2011, e 12,5 nel 2012. Per quest’anno l’obiettivo è leggermente più modesto: recuperare 10,2 miliardi di euro, che serviranno al governo per trovare la liquidità utile per i provvedimenti fondamentali. Questi risultati risolvono veramente il problema? Possono essere considerati un passo in avanti nella lotta all’evasione? In realtà sono solo delle farse e dei numeri di facciata. Non vanno, infatti, a realizzare una giustizia sociale e un’equità fiscale, mai attuata in Italia finora.
I padri costituenti quando andarono a mettere nero su bianco i principi fondamentali della Repubblica italiana, vollero inserire anche un articolo, il 53, interamente dedicato al fisco. Poche righe, ma chiare e limpide nel loro significato: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Tradotto: lo Stato spende per offrire dei servizi ai cittadini, e questi ultimi devono pagare tributi allo Stato in base alle proprie possibilità economiche. La progressività dice, invece, che chi ha più soldi dovrà contribuire in maniera maggiore rispetto a chi ne ha meno. Niente di questo avviene oggi ed è mai avvenuto in passato.
Quell’articolo, infatti, non è stato tradotto in legge. Il lavoratore dipendente in questo momento è l’unico ad essere penalizzato dalla legislazione vigente e a contribuire nei confronti dello Stato secondo il suo reddito effettivo, calcolato in base alla sua busta paga. Da lì non si scappa. Non vale la stessa regola per il lavoratore indipendente che, per contro, può calcolare il suo reddito in modo forfettario, secondo un tacito accordo che vede l’assenso anche dello Stato italiano. Ci troviamo di fronte quindi ad un’ingiustizia sociale che vede due categorie di lavoratori, considerate in maniera diversa davanti al fisco.
Lo stesso criterio della progressività dei tributi resta inattuato. Basti prendere l’esempio dell’Iva sui prodotti. Per una persona che guadagna 1.000 euro al mese, 100 euro di spesa hanno un altro peso sul proprio reddito rispetto ad un’altra che per contro ne prende 2.000. Entrambi, invece, versano la stessa percentuale sul medesimo prodotto. E siamo di fronte all’ennesima beffa.
Il sistema può essere informato ai criteri di progressività, secondo quanto afferma un’associazione di Firenze che porta lo stesso nome dell’articolo della costituzione italiana, Articolo 53, calcolando con le moderne tecnologie, le spese realizzate da tutti i cittadini. È, infatti, la somma di tutte le spese realizzate che va a formare i redditi di ciascuno. Per calcolare in maniera effettiva i redditi di tutti basterebbe eliminare il denaro contante e registrare tutti i pagamenti effettuati tramite carta magnetica, allo stesso modo con cui si registrano per esempio i punti della spesa. Per rendere progressiva l’imposta sul valore aggiunto sarebbe sufficiente, invece, inserire un sistema di deduzioni da applicare sugli acquisti in base al proprio reddito effettivo.
I padri costituenti che vollero la stesura di quell’articolo erano l’on. Salvatore Scoca e l’on. Meuccio Ruini. Il primo ebbe modo di affermare durante una delle fasi dell’assemblea costituente: “Bisogna alleggerire le tasse proporzionali e potenziare le tasse sul reddito globale personale e per tal modo applicare il criterio della progressività per farla diventare la spina dorsale del nostro sistema tributario”. L’esatto contrario dell’attuale legislazione. Insomma in materia di fisco probabilmente c’è ancora molto da lavorare, sia in termini di cultura della legalità, sia in termini di giustizia ed equità.
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