Vanno avanti gli scontri e le proteste in tutta la Turchia. Muore un manifestante.
Dopo il ritiro delle forze di polizia da Piazza Taksim, a Istanbul, non si fermano le proteste che nelle ultime ore hanno raggiunto anche il resto della Turchia e in particolare Ankara, dove i manifestanti hanno dato fuoco, la notte scorsa, agli uffici del partito islamico Akp del premier Recep Tayyip Erdoğan.
Le proteste e gli scontri sono iniziati dopo l’annuncio del governo di voler abbattere gli alberi del Gezi Park a Istanbul, per costruire un centro commerciale. Circa 40 mila manifestanti si sono raggruppati negli scorsi giorni intorno al parco di piazza Taksim e sul lungo viale di İstiklâl Caddesi, ma la polizia turca ha attuato una repressione violenta sin dall’inizio, allontanandoli con lacrimogeni ad altezza uomo, con manganelli e idratanti.
Questo atteggiamento repressivo del governo ha trasformato la protesta pacifica, partita dagli ambientalisti, in una ribellione di massa che vuole difendere la laicità della Turchia e protestare contro la repressione violenta voluta da Erdoğan, che ha causato l’arresto di circa 1.700 manifestanti, il ferimento di migliaia di persone e la morte di un ragazzo. Da oltre 10 anni il paese è sotto il governo del partito conservatore Akp che ha attuato una decisa re-islamizzazione della Turchia, intensificatasi negli ultimi mesi grazie a una serie di leggi che punivano comportamenti troppo “liberali” come il divieto di effusioni in luoghi pubblici e la legge anti-alcool.
Ieri è stata dichiarata la prima morte ufficiale a causa della repressione di Erdoğan durante le proteste anti-governative in Turchia. Il segretario generale della Fondazione turca dei diritti umani, Metin Bakkalci, ha dichiarato che il giovane si chiamava Ethem Sarisuluk ed è deceduto a causa di un colpo di pistola alla testa.
Nel frattempo il premier turco smentisce le voci che sui social network lo definiscono un dittatore. Erdoğan ha definito Twitter “una minaccia” e un pericolo perché, grazie a questi social, si amplifica il dissenso che riesce a contagiare l’intera comunità. “Twitter rappresenta il miglior esempio di menzogna. Per me i social media sono la peggior minaccia alla società” ha affermato primo ministro. Tuttavia, proprio grazie all’informazione in tempo reale e al giornalismo partecipativo che questi media offrono, si riesce a rompere il muro della “censura” messa in atto dal paese negli ultimi giorni, in cui i principali media evitavano di informare sulla protesta di massa. Questi media, secondo i manifestanti, hanno trasmesso film e documentari mentre nelle principali città erano in corso gli scontri.
Sempre su Twitter, il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha fortemente criticato l’operato del governo turco, dichiarando che “la severità con cui la polizia ha risposto alle proteste è assolutamente sproporzionata e non potrà che condurre all’allargamento di esse“. Intanto, proprio dalla Germania, arriva la preoccupazione di Steffen Seibert, portavoce della cancelleria tedesca, che ha lanciato il suo appello al dialogo, richiamando alla “ragione” entrambe le parti coinvolte e dichiarando che gli eventi degli scorsi giorni non avranno conseguenze sul negoziato per l’adesione della Turchia all’Unione Europea: “la libertà di opinione e di manifestazione è un diritto fondamentale di una democrazia”.
La posizione di Erdoğan, che è in partenza dalla Turchia per un viaggio ufficiale in Marocco, Algeria e Tunisia, rimane ferma. Per il capo di stato turco non si può parlare di “Primavera Turca” e quanto accade è “orchestrato dagli estremisti” che avrebbero addirittura legami con “soggetti stranieri”. Il capo dell’Akp ha dichiarato in conferenza stampa che l’intelligence turca è al lavoro e ha elogiato l’operato della polizia turca, fortemente criticata negli ultimi giorni. Il governo ha anche annunciato sabato che il progetto di sviluppo del Gezi Park andrà avanti, ma che potrebbe non prevedere la costruzione di un centro commerciale.