Risposta a Lucio Garofalo su Jorge Mario Bergoglio
L’articolo di Lucio Garofalo su Jorge Mario Bergoglio, proprio perché in parte condivisibile, merita una bella spolverata dalle tracce di luogocomunismo, cui purtroppo nessuno è immune.
Garofalo esordisce subito, con un apparente beneficio del dubbio, dicendo che “hanno eletto papa un complice della giunta militare argentina presieduta dal tenente generale Videla, a cui è legata la tragica vicenda dei desaparecidos”. La pressoché totalità delle accuse scaturisce dalle affermazioni di Horacio Verbitsky, stimato giornalista d’inchiesta, che a sua volta sostiene di basarsi sulla testimonianza di padre Orlando Yorio, uno dei due gesuiti rapiti, torturati e infine scarcerati durante la dittatura, lui deceduto nel 2000 per cause naturali, mentre l’altro ancora in vita, padre Francisco Jalics, dice di “essere in pace con Bergoglio”.
Tuttavia, poiché i due gesuiti quando erano incarcerati nell’ESMA difficilmente avrebbero potuto apprendere come si fosse mosso realmente l’allora padre Jorge Mario Bergoglio, occorre basarsi su altri fatti e sulle testimonianze in tribunale, dalle quali emerge sicuramente un rapporto con la giunta militare, ma vi è la possibilità che lo abbia fatto per salvare il numero più ampio di persone. Un’ipotesi non troppo irragionevole, se si considera che l’alternativa sarebbe stata una netta opposizione al regime e un sostegno esplicito alla guerriglia comunista, con conseguenze forse più gravi, anche in termini di vite umane. Questo ovviamente non scusa affatto la deprecabile e ignobile amicizia di Videla con il nunzio apostolico Pio Laghi e con tanti altri aperti collaborazionisti ecclesiastici gerarchicamente sovraordinati a padre Jorge Mario Bergoglio, che, essendo un semplice presbitero, era tenuto ad una forma di obbedienza nei loro confronti.
Nonostante ciò, non sembrano esserci macchie evidenti riguardo il comportamento che tenne in gioventù papa Francesco, da taluni definito persino in termini eroici. Vorrei notare inoltre una curiosità. Egli ha abbandonato il nome di battesimo Jorge, che lo rendeva omonimo di Videla, per assumere quello di uno dei due gesuiti, Francisco; forse voluto, forse felice coincidenza sorta da un abbraccio spontaneo verso San Francesco d’Assisi e verso i poveri, come ha rivelato lui candidamente, escludendo invece le altre ipotesi che tiravano in ballo Francesco Saverio e Francesco di Sales. Ad ogni modo, per avere una prospettiva migliore riguardo tutto il polverone delle polemiche sul nuovo papa, vi rimando all’articolo in cui approfondisco con testimonianze più accurate quanto affermato. Ribaltando la posizione di Garofalo, ritengo invece che il collegio cardinalizio, anche con un ausilio che non poteva che venire dall’alto, abbia fatto una scelta opportuna, anzi la più opportuna per la presente congiuntura storica, all’insegna di quella straordinaria capacità di adattamento che le viene riconosciuta, il tanto vituperato “camaleontismo”.
Il gesuitismo è una particolare manifestazione di tutto ciò. In circa cinquecento anni di storia, fatta salva la parentesi dello scioglimento tra il XVIII e il XIX secolo, le controversie hanno origine proprio nell’evangelizzazione spinta, nella fedeltà incondizionata al papa di turno e nella vera o presunta “doppia morale” (di qui il termine dispregiativo “gesuita” quale sinonimo di ipocrita) apparentemente rigidissima ma de facto tendenzialmente lassista nei confronti dei governanti neoguelfi, che li accolsero in simpatia, mentre altri, fautori di un assolutismo monarchico “illuminato”, tentarono di ostacolarli in ogni modo.
Negli ultimi tempi le posizioni della Compagnia si sono notevolmente aperte al dialogo. Basti pensare agli ultimi celebri gesuiti, ad esempio a quello che fu l’Arcivescovo di Milano cardinal Carlo Maria Martini, il quale, oltre a dimostrare una notevole volontà ecumenica, espresse pensieri di comprensione (anche se non di piena approvazione) su molti temi, tra cui l’omosessualità, l’inizio e la fine della vita, considerati “progressisti”, oppure all’attuale “papa nero” Adolfo Nicolás, che guarda con favore alla Teologia della Liberazione.
Si deve, fuor d’ogni dubbio, escludere che il “papa bianco” Francesco possa essere “sottomesso” a quello nero, che ha già incontrato amichevolmente per ricevere la sua obbedienza formale, e tantomeno a quello “emerito”, il quale ha voluto esprimere, ancor prima di conoscere il nome del suo successore, una “incondizionata reverenza e obbedienza” al nuovo pontefice. Ma qui non è tanto questione di struttura gerarchica o di assenza di democrazia, quanto del primato evangelico del servizio. Più che una democrazia, una comunione.
Come diceva Turoldo, l’istituzione “sarà necessaria, ma sarà vera chiesa nella misura in cui crede e attua e vive questi valori”. A partire dall’accoglienza dei tanti “creditori che fanno ressa agli sportelli amministrativi”: si tratta dei poveri, degli “atei che vogliono credere e non riescono a credere per via della chiesa, dei giovani che non sanno più in cosa credere, degli operai che non hanno mai trovato ascolto nella chiesa, dei preti delusi e frustrati ma soprattutto di Dio, che chiederà il conto dell’uso fatto della Sua Parola. Probabilmente deciderà di affidare il suo Regno a qualcun altro, ma Turoldo era certo che “l’umanità sarà sempre salva. Si tratterà di vedere se saremo noi questa umanità salvata e salvatrice”.
Mettendo da parte questi toni teologici, in linea di massima concordo con Garofalo sul fatto che l’elezione di papa Francesco potrebbe rappresentare un mero restyling di un’istituzione che si è resa conto di avere un deficit di credibilità, specialmente tra i propri interlocutori privilegiati. Della serie: altrimenti chiudiamo baracca; in tema di rinnovamenti, difficile non pensare ad una nota canzone di Gaber.
Benedetto XVI si è reso conto che la sua voce non riusciva a trovare un adeguato accoglimento, vuoi per la sua stanchezza fisica, vuoi per il pregiudizio sulla sua persona. Perciò, egli ha ritenuto più opportuno cedere il testimone a chi potesse proclamare lo stesso Vangelo, ma con uno stile differente; infatti il Bergoglio style pare stia spopolando, incuriosendo anche chi non è vicino agli ambienti ecclesiastici.
Comunque sia, proviamo a guardare in faccia la realtà. I problemi da affrontare sono innumerevoli e tra questi vi è anche quello degli abusi sui minori, di cui si parla molto, anche se si è accusato di omertà propriocolui che per primo ha deciso di affrontare seriamente la questione, facendo creare persino una sezione ben visibile nella homepage del Vaticano. Cosa che, invece, il governo italiano non ha mai fatto, pur sapendo che vi sono stati casi anche nelle scuole materne e soprattutto nelle famiglie, ove si consuma il maggior numero di reati di questo tipo.
Inoltre, sarà necessario intervenire per fare pulizia interna nelle gerarchie e nella Curia Romana, per riorganizzare (o liquidare) lo IOR e l’ApSA, per contrastare la generalizzata perdita di appeal e per far fronte alle nuove sfide dello scenario socio-economico, con un sistema insostenibile perché continua a esasperare le diseguaglianze presenti e a crearne di nuove. Saranno rilevanti anche le questioni geopolitiche, come rilevano alcuni; per citarne alcune, la controversia delle Islas Malvinas, la causa palestinese, il rapporto con l’imperialismo nordamericano e con le altre potenze che si apprestano ad avere un ruolo di spicco nel nuovo mondo multipolare.
Se poi, questo nuovo pontificato sarà in grado di liquidare definitivamente il modo di produzione capitalistico (di per sé già in crisi) e di dare un contributo effettivo per la costruzione di un sistema economico più umano, non necessariamente marxista, questo non potrà che rallegrarci.
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