Intervistiamo Domenico Finiguerra, candidato con L’Altra Europa con Tsipras nella circoscrizione Nord-Ovest. È conosciuto come il “sindaco virtuoso” che ha detto stop al consumo del territorio nel comune di Cassinetta di Lugagnano che ha amministrato per dieci anni, dal 2002 al 2012, vincendo numerosi riconoscimenti internazionali per l’esemplare gestione del territorio. Molto impegnato nella campagna per l’acqua pubblica – la vittoria ai referendum del 2011 è anche merito suo – oggi siede nel consiglio comunale di Abbiategrasso alla guida di una lista civica che ha ottenuto oltre il 26% dei consensi.
Domenico Finiguerra, Lei è molto noto tra gli ambientalisti. Nel 2011 ha costituito, con i Verdi, la federazione Ecologisti e Reti Civiche, divenendone co-portavoce, per poi abbandonarla a fine 2012 perché lei e altri due esponenti dei Sindaci della Buona Amministrazione non condividevate l’ipotesi di un accordo con il Partito Democratico. Vorrei chiederLe innanzitutto: perché ha scelto di candidarsi per la “Lista Tsipras” e non per altre forze politiche – come il M5S e i Verdi – che pongono anch’esse la tutela dell’ambiente come prioritaria?
Innanzitutto ho accettato la candidatura con L’Altra Europa con Tsipras in quanto credo che, in questo momento particolare, l’Europa abbia bisogno di mettere seriamente in discussione e politiche di austerity e le politiche di tagli ai bilanci degli stati. Dal 2016 saremo costretti a tagliare 50/60 miliardi di euro per poter rientrare nel pareggio di bilancio e nei vincoli che ci siamo autoimposti, mettendoli addirittura in Costituzione. Ovviamente i punti di contatto con il M5S e con i Verdi sono molteplici. Mettendo comunque al centro la conversione ecologica dell’economia, come fa la Lista Tsipras che la pone come secondo pilastro del proprio programma, la questione oggi più importante riguarda l’enorme problema sociale e la tenuta di un continente che ha bisogno di restare unito e di assumere sempre più la forma di una comunità politica, e non di una sommatoria degli interessi dell’economia e della finanza.
Molti osservatori sostengono che queste elezioni europee rappresenteranno lo scontro tra eurofili ed euroscettici. La Lista Tsipras ha scelto una posizione europeista. Per quale motivo la soluzione alla crisi europea è “Più Europa”?
L’Europa ha una grandissima responsabilità. Noi siamo ovviamente euro-critici: l’Europa così com’è non va bene, va cambiata mettendo al centro i diritti delle persone, i diritti dell’ambiente, il rispetto di quegli equilibri sociali che sono venuti meno a causa del prevalere degli interessi di pochi. Oggi in Italia 50 persone detengono la ricchezza di 500.000 operai; è un rapporto pari a quello che c’era Egitto dei faraoni, faceva notare un altro candidato della lista L’Altra Europa con Tsipras, l’economista Mauro Gallegati. Siamo ormai in una situazione in cui questa Europa non funziona e va ridiscussa, ma non va sciolta. Va curata, in maniera molto paziente, mettendo in campo scelte nettamente alternative e mettendo in discussione tutto, però mi domando: noi senza l’Europa cosa faremo in Italia? Con la nostra Padania andremo a contrattare e a confrontarci con la Cina e con gli Stati Uniti? Abbiamo invece una grande opportunità, quella di costruire una grande comunità politica di 500 milioni di abitanti che si può porre l’obiettivo – e deve porsi l’obiettivo – di modificare anche gli equilibri internazionali, mettendo al centro la pace e le questioni fondamentali che sono state abbandonate perché ha prevalso l’avidità nell’economia e nella società.
Alcuni, anche tra i sostenitori della Lista Tsipras, affermano che sia necessario proseguire sulla strada dell’integrazione europea perché “non si può tornare indietro, ormai siamo tutti globalizzati”. Ma la Storia ha davvero una direzione che procede da un “indietro nazionale” e “locale” verso un “avanti globalizzato”?
La Storia ovviamente ha percorsi strani e credo che la Globalizzazione possa essere vista anche come un aspetto per certi versi positivi. Non abbiamo avuto delle buonissime performance della Globalizzazione, questo lo si denunciava già a Genova ai tempi della contestazione al G8. La direzione è quella dell’unione, però c’è la necessità anche di tornare al locale per ripristinare alcuni equilibri e l’Europa può aiutare ad esempio le comunità dei territori. In questo momento sto facendo una passeggiata attraverso i campi rimasti della Brianza, dove le comunità cercano di difendere con le unghie e con i denti i beni comuni che hanno a disposizione. L’Europa può fare molto sia per integrarsi e diventare una comunità molto forte dal punto di vista culturale, sia per aiutare le comunità locali a ripristinare gli equilibri perduti. Il movimento dal globale al locale va sicuramente portato avanti per non diventare degli anonimi componenti di una comunità indistinta, omologata, in cui tutti sono uguali – su questo la cementificazione ha aiutato molto a rendere i territori l’uno uguale all’altro – e occorre riuscire a valorizzare la terra, comprese le comunità di tutta Europa. Dalla valorizzazione delle identità può nascere davvero una nuova unità culturale e politica.
Voi chiedete una riforma radicale dei trattati europei e un maggiore coordinamento delle politiche europee. Lei è convinto che l’Unione Europea sia riformabile? Se sì, in che modo? Meglio sbattere i “pugni sul tavolo” per far cambiare idea alla Germania, come propone il Movimento 5 Stelle, oppure diventare, come vorrebbe Renzi, il “servo diligente” in attesa di qualche ricompensa?
Noi abbiamo avuto sin da subito un’idea molto precisa: nel nostro programma abbiamo messo in discussione sin da febbraio i limiti, i vincoli e i parametri delle politiche di austerity. Tutto questo oggi viene declinato anche dalle altre forze politiche come qualcosa da cambiare: sia dal PD, sia dal Movimento 5 Stelle, che è passato da una posizione di fuoriuscita dall’Euro a quella che invece propone un referendum sull’Euro. Noi abbiamo sottoscritto un programma che dice cose molto chiare: siamo per la solidarizzazione del debito pubblico eccedente il 60%. Chiediamo alla Germania ciò che le è stato fatto nel 1953 quando le venne condonato una parte del debito, tra l’altro da parte degli stessi stati che oggi si trovano in difficoltà, come la Grecia. Non siamo per politiche di sola riduzione del danno come propone il Partito Democratico, che vuole lavorare di lima senza mettere in discussione il tutto. Crediamo che l’Europa debba rifondarsi con una Costituzione Europea, stabilendo un legame basato non soltanto sulla elezione del Parlamento Europeo, ma arrivando anche alla fiducia da parte del Parlamento Europeo alla Commissione Europea. Il Trattato di Lisbona comincia ad andare in quella direzione, con la necessità di indicare un candidato alla presidenza della Commissione. Mettiamo seriamente in discussione, con delle proposte concrete, tutto quello che è stato considerato come inattaccabile e immutabile: la BCE deve diventare prestatore di ultima istanza, occorre mettere in moto attraverso investimenti l’occupazione, cioè serve una politica keynesiana. Dal 2009 al 2011 sono stati dati 4.000 miliardi alle banche per salvarle e per garantirle, noi chiediamo che in dieci anni vengano messi a disposizione 100 miliardi di euro l’anno, quindi 1.000 miliardi, per un grande piano per l’occupazione che faccia della conversione ecologica uno dei suoi asset fondamentali. Significa curare i territori, avviare progetti virtuosi per il rilancio dell’economia, ad esempio lanciare in Italia una seria politica per il turismo al fine di recuperare posti di lavoro; l’Italia ha la metà degli addetti nel settore turistico della Gran Bretagna. Un diktat che l’Europa potrebbe dare all’Italia potrebbe essere quello di curare il proprio territorio, la propria bellezza e il proprio paesaggio per creare nuove opportunità di occupazione. Noi proponiamo questo; altri invece o si limitano a pretendere una piccola riduzione del danno senza mettere in discussione l’intera architettura oppure si appellano a un sentimento di rabbia – che c’è nei cittadini, e che comprendo benissimo – e di paura nei confronti dell’euro e di odio nei confronti della moneta unica per ottenere un po’ di consenso. Credo lo sforzo di responsabilità che dovremmo fare tutti una volta arrivati in Parlamento Europeo sarà enorme.
Sì, ma in che modo concretamente pensate di riuscire a convincere altri paesi e altre forze politiche ad accettare le vostre proposte?
Parleremo chiaro e chiederemo a tutti di assumersi questa grande responsabilità: o l’Europa la cambiamo oppure prevarranno sentimenti di ritorno al nazionalismo. Tutte le forze politiche democratiche che credono veramente nell’Europa devono convincersi che o si cambia o si muore. Non abbiamo strumenti particolari, non abbiamo bacchette magiche per convincere il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle – che già comunque sul Fiscal Compact e sul pareggio di bilancio è d’accordo con noi – non abbiamo strumenti molto potenti dal punto di vista della comunicazione. Però abbiamo l’opportunità di poter guardare negli occhi le persone che magari si definiscono “democratiche” e che non possono fare spallucce quando il 20% dei bambini che nascono in Grecia è sottopeso, quando chiudono le università in Grecia, quando non c’è più riscaldamento nelle scuole elementari e materne, quando aumentano del 500% le infezioni di HIV; non si può accettare che l’incremento della mortalità infantile sia considerato una questione di mera finanza. Questi saranno gli strumenti per convincere tutti. Non è possibile parlare di comunità europea se si abbandonano i popoli europei al loro destino per questioni di bilancio e di finanza. Ovviamente poi ciascuno dovrà assumersi la propria responsabilità. Torniamo al Manifesto di Ventotene: vogliamo riformare l’Europa per evitare che si ripeta quanto accaduto nel passato, che non è stato molto bello.
Perché secondo la Lista Tsipras tutti i trattati si devono riformare, ma l’Euro – che è forse il principale responsabile della crisi economica – non può essere messo in discussione? La sovranità monetaria non è forse il presupposto di quella politica?
L’Euro è una moneta che non è sotto il controllo della politica. La mancanza di sovranità monetaria si può manifestare sia con l’Euro, sia con la Lira. Se dovessimo tornare alla Lira non avremmo sovranità nei suoi confronti. Il problema è controllare l’Euro, ossia controllare l’economia: la politica deve riprendersi il controllo dell’economia. Il ritorno ai piccoli orticelli non porterà da nessuna parte.
Quindi Lei vorrebbe dire che se l’Italia tornasse ad avere la propria moneta, non avrebbe controllo politico su di essa? Di sicuro l’Italia, essendo di dimensioni più piccole, avrebbe meno difficoltà nel controllare una moneta nazionale, per l’Eurozona invece occorre uno sforzo ben maggiore, non crede?
Gli sforzi maggiori sono quelli che servono per fare le cose grandi. Tornare alla nostra Lira non comporterebbe grandi benefici per la ripresa della nostra economia. In un mondo globalizzato l’Italia può avere molti più benefici da un’Europa radicalmente riformata, in cui vengano messi in discussione gli elementi che hanno costretto in una gabbia gli Stati più in difficoltà. Certo, ci possono essere delle soluzioni intermedie che qualcuno potrà anche proporre, ma siamo convinti che oggi o tutti gli Stati europei si assumono la responsabilità di rifondare l’Europa oppure c’è il rischio di un’enorme disgregazione. Penso che per l’Italia sarebbe meglio recuperare il proprio valore e la propria missione storico-culturale in sede europea.
La richiesta di un’attenuazione delle misure di austerità forse potrà essere accettata, ma sarà molto difficile che i paesi cosiddetti “virtuosi” vogliano istituire un unico debito pubblico europeo oppure coprire con i loro surplus le regioni strutturalmente in disavanzo. In una simile situazione di stallo, che fare? Sino a che punto dobbiamo giungere per prendere atto della non riformabilità sia dell’Euro, sia dell’Unione Europea?
Ripeto quanto detto prima: chiederemo che la Germania e i paesi più forti si prendano in carico un pezzo di debito degli altri paesi. La Germania potrà poi dopo assumere le proprie decisioni, ma si addosserà una grandissima responsabilità. La politica è anche l’arte della convinzione. Siccome la situazione è esplosiva in tutto il continente europeo, le forze politiche che vogliono dimostrare di essere realmente responsabili e di non alimentare la disgregazione dovranno sedersi attorno a un tavolo e ragionare su una riforma radicale e profonda, mettendo in discussione quelle poche persone che hanno goduto del bene comune, delle privatizzazioni, che si sono arricchite in questi anni in cui la finanza ha prevalso sui diritti delle persone. O faranno questo, oppure ci saranno seri pericoli per la tenuta culturale, democratica e politica del nostro continente europeo, che dovrebbe diventare un baluardo rispetto agli equilibri geopolitici internazionali. Oggi lo scenario in tutto il mondo è di guerra e di tensione, ci sarebbe davvero bisogno di una forza politica europea in grado di introdurre per la prima volta un ruolo di guida.
Qual è la Sua opinione sulla crisi in Ucraina? Come dovrebbe essere risolta? In questo contesto che sta passando dall’unipolarismo nordamericano al multipolarismo, secondo Lei l’Europa dovrebbe guardare maggiormente all’Unione Eurasiatica e ai paesi BRICS oppure continuare con l’alleanza nordatlantica?
L’Europa deve costruire una forte unità politica. La situazione in Ucraina e le altre crisi che attraversano il pianeta patiscono anche l’assenza di una guida culturale, oltre che politica, europea. Ovviamente sono crisi che riguardano anche altri elementi che si chiamano energie o terra: l’Ucraina è il più grande granaio del continente eurasiatico, ci sono interessi che prevalgono sul bene comune. L’Europa dovrebbe costruire una fortissima comunità che non sia la ruota di scorta degli USA, ma che abbia una propria forza militare unica e che riesca ad evitare le derive pericolosissime che stiamo vedendo in questi giorni, anche perché l’Ucraina confina con la Romania. Quindi è un obbligo morale affrontare questo tema senza il cappello in mano nei confronti degli Stati Uniti d’America, che tra l’altro in queste settimane sono intenti con l’Europa in una trattativa per il TTIP – il Trattato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti – che noi contrasteremo e faremo di tutto perché venga ritirato. C’è bisogno, in questo momento, di un continente politico in grado di dare nuova speranza a tutte quelle parole che nascevano a Ventotene.
L’Ucraina dovrebbe entrare nell’Unione Europea? E il nuovo gasdotto Southstream va realizzato oppure no?
Questo lo valuteremo. Gli sforzi d’integrazione dell’Unione Europea vanno compiuti sempre nel rispetto delle autonomie dei popoli e quindi gli equilibri che ci vedono in relazione con l’Est Europa e con la Russia devono essere coltivati in maniera molto più responsabile, senza alimentare – anche con i silenzi – possibili derive che creano situazioni di conflitto.
Qualora venisse eletto, su quale tematica vorrebbe lavorare principalmente?
La conversone ecologica sicuramente sarà il mio punto principale. Da anni mi occupo di consumo del territorio, abbiamo lanciato una campagna per fermare il consumo di suolo in Italia. L’Unione Europea ha stabilito che bisognerà arrivare a consumo di suolo zero entro il 2050. Mi permetto di evidenziare che l’Italia è il paese più arretrato nel settore della gestione del territorio, perché non abbiamo alcuna normativa che definisca la terra come bene comune. Il mio impegno sarà nella riduzione di questo termine temporale: sarebbe meglio fermarsi nel 2015 con il consumo di suolo: noi consumiamo 8 mq di terra al secondo, 252 kmq all’anno e continuando così al 2050 ci arriveremo davvero pieni di cemento. Poi, come dicevo, mi concentrerò sulla conversione ecologica per creare nuovi posti di lavoro attraverso un piano di investimenti: cura del territorio, dissesto idrogeologico, rilancio del turismo, una politica diversa della gestione dei rifiuti. Ovviamente oltre a tutto ciò che riguarda la fine delle politiche di austerity e di macelleria sociale.
Lei da sempre è stato contrario all’EXPO 2015 di Milano. Vuole commentare brevemente le ultime vicende?
Il mio commento è molto laconico: Tangentopoli non è mai finita. Avevo previsto che ci sarebbe stato il massacro del territorio e la cementificazione di quello che è rimasto alle porte di Milano, migliaia di ettari di suolo agricolo sacrificato sull’altare di questo grande evento che non ha alcuna funzione per lo slogan che si propone. Non ho altro da aggiungere, perché ho già detto tutto in questi ultimi anni. Quello che sta accadendo è la rappresentazione di quello che è il nostro paese, un paese in cui va ricostruito il senso civico, abbandonando alcuni comportamenti che lo hanno ridotto allo stato di maceria in cui si trova.
Anche alla luce delle dichiarazioni di Van Rompuy, il quale ha ammesso che il Parlamento Europeo conta ben poco – in quanto le vere decisioni vengono prese da altre istituzioni come il Consiglio Europeo da lui presieduto e dai mercati finanziari – perché recarsi alle urne alle elezioni europee del 25 maggio e votare L’Altra Europa con Tsipras?
Per mettere in minoranza il pensiero di Van Rompuy. Dobbiamo costruire un continente politico, dobbiamo dare rappresentanza a 500 milioni di elettori, dobbiamo segnare un diverso modo di interpretare la politica, anche in Europa. L’Altra Europa è l’alternativa che c’è e che si è formata dal basso, partendo dai territori. Ora sono in Brianza con i comitati che lottano contro le speculazioni, contro la cementificazione: l’Altra Europa è questa. Partire dal basso per arrivare in Europa, perché dal basso si concretizzano le contraddizioni che vengono decise in Europa: patto di stabilità, tagli ai trasferimenti … L’obiettivo sarà quello di far sì che il Parlamento Europeo divenga una sede che nomina un Governo Europeo. O si farà, oppure l’Europa morirà.