ONG: breve esperienza nel fundraising
Quest’estate non avendo soldi per andarmene in vacanza ho pensato di unire l’utile al dilettevole e, rispondendo a un annuncio su Internet, ho dato la mia disponibilità a diventare dialogatore per un’importante ONG: il percorso prevedeva 4 settimane da passare in viaggio per le piazze italiane. Per chi non lo sapesse, il dialogatore è quella figura che vi “placca” nei centri ad altà densità di traffico, come ipermercati e piazze, e vi invita ad avvicinarvi allo stand per sensibilizzarvi sulla causa e diventare sostenitore della ONG per cui lavora. Tanti giovani, accomunati dall’interesse per il terzo settore, in giro per l’Italia per discutere e far conoscere i progetti della ONG in questione. Promette bene. Il dialogatore non offre servizio di volontariato, ma viene regolarmente retribuito, come del resto facciamo presente alle persone che ce lo chiedono.
Fin qui tutto bene; del resto dovrò pur avere bisogno di un vitto per vivere queste quattro settimane.
Primo giorno: formazione, ci spiegano la missione della ONG e il modo in cui approcciare i passanti, ma soprattutto ci mostrano come compilare la scheda per la sottoscrizone della donazione; e su questo non si transige: il mio supervisore vuole esser sicuro che sapremo spiegare come avviene tale donazione e che la sapremo compilare in ogni sua parte; perché sì, si dialoga, ma a fine giornata bisogna pure portare a casa qualche sottoscrizione. Va bene, pensavo, del resto è una raccolta fondi; e pure le provvigioni per ogni donazione sottoscritta; un po’ discutibile, ma forse è solo un modo come un altro per incentivarci a far conoscere l’associazione.
Secondo giorno: esperienza sul campo, in una piazza; fa caldo, ma fortunamente lo stand va messo sempre all’ombra! L’inizio non è facile, fermare le persone al centro di una piazza può sembrare cosa da poco, ma il primo impatto non è sempre dolce; per mia fortuna ci sono i dialogatori anziani che ci mostrano come fare e ci incoraggiano: “Signora dai! Si fermi che le spieghiamo di cosa ci occupiamo!” Bisogna fermare tutti e qualora non ci dessero retta insistere, anche a costo di risultare impertinenti, se neccessario anche inquisitori: “Io già ho un’adozione a distanza e non posso permettermi di sostenere pure voi“; “Signora dai! Si può sempre fare di più, e poi è appena uscita da una boutique, ha una borsa di Gucci e mi vuole dire che non può permetterselo?! Con tutto il rispetto signora ma queste a me sembrano scuse” e probabilmente è così; quindi mi convinco a buttarmi anch’io nel “placcaggio” malgrado manchi, per carattere, di aggressività.
Fermo la prima, il secondo, il terzo, ma niente; allora la team leader mi spiega che devo essere più deciso e trasmettere a chi fermo entusiasmo e allegria: l’apparenza in questi casi è fondamentale! Ora si spiega il perché per strada questi ragazzi sono sempre allegri e divertenti: non perchè, come io pensavo, si divertissero lavorando, ma perché gran parte del lavoro è sembrare divertiti. La giornata passa, e io torno a casa senza sottoscrizioni, ma è il primo giorno e poi il nostro lavoro è soprattutto informare, pensavo.
Man mano che vedevo svolgersi i dialoghi dei miei colleghi capivo, e a smentire la mia teoria ci pensa una mia collega più anziana: il nostro lavoro non è informare ma portare a casa sottoscrizioni, e io devo pure sbrigarmi a farne qualcuna altrimenti mi rimandano a casa.
“Signora quello che vi chiediamo è di diventare nostri sostenitori, non accettiamo contanti qui, ma tutto avverrà attraverso domiciliazione bancaria: la donazione minima è 10 euro al mese! Sono 30 centisimi al giorno signora! Rinunciando a un apertitivo al mese potrà cambiare una vita!”
Ebbene sì, il prezzo da pagare per assolvere i sensi di colpa della nostra società consumista è sempre più alla portata di tutti; basta rinunciare ad un aperitivo al mese per dormire la notte molto più leggeri, convinti davvero che basti questo.
Spesso e volentieri non dovevamo neanche spiegare di cosa si occupava l’associazione e quali problemi si trovava ad affrontare, si passava direttamente alla scheda per la donazione per strappare quei 10 euro al mese: sono davvero pochi quelli che hanno tempo “da perdere” per farsi spiegare dove vanno a finire i loro soldi, e poi se si tratta di soli 10 euro al mese ci si fida, non mi interessa sapere a chi vanno, io la mia parte l’ho fatta. Coscienza lavata, dunque; e con un’altra ONG è anche più economico: bastano 5 euro al mese! Come per le offerte della telefonia mobile, anche per la beneficienza si può risparmiare, e la concorrenza può essere molto agguerrita.
Bisogna dire che con 10 euro noi regaliamo anche un simpatico gadget di benvenuto. E se il passante ti risponde che a lui di bambini africani non gliene frega niente, anzi?! Non c’è problema, la nostra ONG opera anche in Italia, dunque problema risolto, e della sensibilizzazione della causa chi se ne frega, la donazione a casa l’abbiamo portata lo stesso.
Con questo non voglio dire che le ONG che si affidano al fundraising non facciano davvero del bene, ma certo in questo modo la raccolta fondi diventa una ricerca ossessiva alla donazione, a qualunque costo; e i ragazzi che ci si accostano pieni di ideali e che ci credono davvero diventano vittime di tale sistema, spesso disposti a turarsi il naso troppe volte pur di arrivare al bonus ogni tot donazioni, e comunque senza un minimo di donazioni settimanali si va a casa.
La beneficenza che diventa marketing, nella ricerca ossessiva di una donazione; per carità, utilissima nel caso di associazioni indipendenti che si reggono sul contributo dei privati, ma forse a chi decide di sostenere non sarebbe più utile spiegare che 10 euro non sono affatto sufficienti e che il primo passo per cambiare le cose è informarsi; spiegare, ad esempio, di come comprando un telefono cellulare si contribuisce allo sfruttamento del territorio in Congo dove, pur di estrarre il coltan (minerale essenziale per la fabbricazione di un telefono cellulare, il cui unico giacimento conosciuto si trova lì) si è fatto scoppiare un conflitto tra i più sanguinari della storia, ma che rende molto più bassi per le aziende i costi di estrazione. Forse si otterranno meno donazioni ma di sicuro donatori più consapevoli.
E comunque davvero il fine giustifica sempre i mezzi? Non si rischia in questo modo, raccontando che bastano 10 euro per cambiare una vita, di banalizzare vere tragedie nella vita di interi popoli, allontanando l’interesse della massa umana, che vive in condizioni agiate in questa parte del Mondo, dalle vere colpe e cause?