Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, attacca il sindacato che difende gli assassini di suo figlio
“Non sapevamo minimamente che Patrizia Moretti lavorasse in Comune, e per il sit-in, organizzato da tempo, abbiamo chiesto le dovute autorizzazioni molti giorni fa, senza che nessuno ci suggerisse di svolgere l’iniziativa altrove”.
Così il segretario generale del Coisp, sindacato indipendente di polizia, Franco Maccari, giustifica la manifestazione tenuta dai colleghi dei poliziotti che nel settembre del 2005 hanno ucciso Federico Aldrovandi sotto le finestre dell’ufficio della madre del giovane ferrarese.
La risposta di Patrizia Moretti è stata quella di scendere in strada e mostrare la foto di Federico, morto.
Agli zelanti poliziotti non è sfuggito il fatto che la “manifestazione” di una madre offesa non fosse stata preventivamente autorizzata e che, a loro detta, la foto fosse stata contraffatta. Dopo questa accusa l’avvocato degli Aldrovandi ha presentato una querela alla procura di Ferrara per diffamazione aggravata riservandosi, però, di poterla integrare perché: “Patrizia Moretti è stata oggetto di attacchi ripetuti nel tempo chiaramente lesivi, oltre che della sua immagine e onore, anche della sua vita e del suo diritto di essere lasciata in pace”. Da circa un mese, infatti, pare che un furgone del sindacato giri per Ferrara con manifesti di solidarietà verso le “vittime” condannate per l’omicidio Aldrovandi, disprezzando il dolore di una famiglia e negando il rispetto alla memoria di Federico, rispetto che da loro non ha ricevuto nemmeno da vivo.
Una condanna al comportamento degli agenti è arrivata dal ministro Cancellieri, dal governo e da tutti i senatori che sollecitati da una senatrice del PD si sono alzati in piedi e hanno battuto a lungo le mani per esprimere solidarietà a Patrizia Moretti. Però contro gli agenti non sarà adottato alcun provvedimento disciplinare, Annamaria Cancellieri si è limitata a “un giudizio morale assolutamente negativo”. Ma il Coisp proprio non ci sta e lo stesso segretario dichiara quanto siano “profondamente colpiti dalla superficialità dei tanti che hanno espresso spietati giudizi senza avere la più pallida idea di come fossero andate veramente le cose”, prima fra tutti la Cancellieri che dovrebbe ricordare “che non è lei che può parlare a nome dei poliziotti italiani”.
Sono di certo più legittimati loro a farlo, che i poliziotti li difendono, compresi Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, gli agenti di polizia che il 25 settembre del 2005 uccisero il giovane Federico. Forse bisognerebbe iniziare a pensare a un sindacato che tuteli anche le madri come Patrizia Moretti che dalla mattina in cui la informarono, 5 ore dopo l’accaduto, della morte del figlio non ha mai smesso di lottare perché giustizia fosse fatta. Sono stati necessari 7 anni di battaglie legali per far si che il decesso del ragazzo non venisse archiviato come una disgrazia dovuta all’assunzione di eroina, ketamina e alcool.
Federico Aldovrandi quella notte tornava a casa a piedi dopo aver trascorso la serata in un locale, aveva assunto sostanze stupefacenti, ma non in quantità tale da causare uno stato comatoso. Venne fermato nei pressi di Viale Ippodromo, a Ferrara, dagli agenti Pontani e Pollastri che, poco dopo, chiesero l’aiuto degli altri due colleghi. I poliziotti riuscirono a spezzare due manganelli durante il violento scontro. Il diciottenne morì per “asfissia da posizione”, provocata dalle ginocchia dei poliziotti che gli schiacciano il torace sull’asfalto.
Sette anni di sofferenze ricompensati da una condanna definitiva della Corte di Cassazione a 3 anni e sei mesi per i quattro agenti. Condanna ridotta a soli sei mesi grazie all’indulto che l’unica donna del gruppo sconterà nella sua abitazione, grazie al decreto svuota-carceri.
Ma è pur sempre una condanna che da speranza per i casi ancora aperti come quelli legati alle morti di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva – da oggi la sorella è indagata dalla procura di Varese per diffamazione e istigazione a disobbedire alle leggi, a causa di una sua intervista rilasciata alla trasmissione Le Iene e ad alcuni insulti rivolti alle forze dell’ordine pubblicati sulla sua pagina Facebook – e Michele Ferrulli.
Una sentenza che aveva messo quegli agenti di polizia davanti alle proprie responsabilità dalle quali nessun sindacato dovrebbe permettersi di sottrarli e che poteva causare un cambiamento nell’atteggiamento e nella cultura di una buona fetta delle forze dell’ordine. Perché, parafrasando il titolo del film di Vendemmiati dedicato, proprio, al giovane Aldrovandi: “nessun altro ragazzo venga morto”.
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