Fra avanguardia e movimento: le sfide dell’anticapitalismo
La crisi economica ha dimostrato come non sia più possibile arginare il sistema capitalista con analisi e prassi proprie del marxismo puro, ma che, mantenendo ferma la bussola sulla prospettiva anticapitalista, sia necessario evolvere il proprio pensiero- e conseguentemente la propria azione- verso nuovi orizzonti, nuovi spazi di ricomposizione in un tessuto sociale sempre più apatico.
Tralasciando le utopie, i “soli dell’avvenire” e l’ormai inutile estetica otto/novecentesca c’è la necessità di adottare un approccio sistematico e razionale nei confronti dei nuovi fenomeni, propri della società post-industriale, che hanno modificato (ma non sconvolto!) i rapporti di forza classici vigenti nel modello capitalista. Basti pensare ai leasing, ai tassi agevoli, ma soprattutto all’evoluzione del fattore lavoro, al fenomeno della precarizzazione, per capire che “Il Capitale” e “Per la Critica dell’Economia Politica” marxiane non possono più essere testi di riferimento per comprendere gli attuali rapporti di forza fra individuo e sovrastruttura o, per usare il linguaggio corrente, fra 99% e 1%.
Non voglio, tuttavia, trattare in questa sede dell’evoluzione dei rapporti economici; sarebbe un discorso troppo lungo per essere affrontato in così poche righe, sicuramente non adatto a questo contesto. Cercherei, invece, di muovere verso un’analisi banale dell’evoluzione del tessuto sociale (o di ciò che ne rimane!): assistiamo giornalmente a una continua spersonalizzazione dell’Io, tanto in senso etico quanto, sempre più spesso, attraverso un vero e proprio meccanismo di annichilimento sociale. Non era forse questo l’obiettivo ultimo della società di massa, dell’economia del settore terziario, delle telecomunicazioni? O forse siamo solo a un punto di partenza?
Premettendo che è da folli pensare di abbandonare smartphone e tablet per ritornare a stati pregressi dell’evoluzione umana (il luddismo post-industriale non è davvero concepibile), i movimenti anticapitalisti mondiali si trovano davanti alla sfida di dare risposte concrete alla crisi sistemica coordinando una risposta dal basso non più rinviabile. A tal scopo, ovviamente, non possono bastare articoletti come questo, ma è necessaria una nuova idea di società, una nuova consapevolezza economica di cui da troppo tempo l’anticapitalismo mondiale è clamorosamente orfano.
Punto di partenza, a ogni modo, non può che essere una nuova spinta verso una nuova idea del soggetto responsabile, dell’individuo, dell’Io morale o che dir si voglia. Insomma, ripartire da uno dei cavalli di battaglia del pensiero libertario per dare forza a un nuovo modello politico reale, possibile. Tuttavia, al fine di sbarrare la strada a ogni possibile “ricollocazione” capitalista (come già è accaduto o come sta recentemente accadendo, ad esempio, con il femminismo), c’è bisogno di guardare all’individuo come parte integrante, atomo inscindibile dal livello superiore, ovvero quello comunitario. Non può e non deve esistere separazione tra individuo e comunità: una comunità senza individuo è, per usare una retorica fin troppo banale, come un oceano senza gocce.
In questo senso, grandi passi avanti sono stati fatti nei movimenti, in maniera quasi spontanea, naturale. Basti pensare nel quadro nazionale alle lotte NO TAV, NO MUOS, NO DAL MOLIN, per avere più chiaro ciò che significa lottare per il proprio diritto a esistere, come individui nella comunità. Ecco, forse potrà essere proprio questo il primo passo concreto verso l’abbandono della strategia difensiva e della contrattazione al ribasso, per andare finalmente all’attacco, al sovvertimento di un sistema in agonia.