INTERVISTA A MANUEL BADINO, STUDENTE ARGENTINO CHE HA TRASCORSO UN PERIODO DI STUDI IN EUROPA
Manuel Badino è uno studente argentino di psicologia all’Università di Córdoba. Manuel è vincitore di un concorso universitario che gli ha permesso di venire a studiare in Italia, presso l’Università di Bologna, nella sede di Cesena, dove ha frequentato per 6 mesi il corso di psicologia scolastica e di comunità. Attraverso queste domande, egli ci racconta delle differenti realtà socio-politiche vissute in Argentina e incontrate qui in Europa.
Sei in Italia tramite un progetto internazionale e stai studiando psicologia in una delle nostre università più rinomate: cosa ti ha portato a scegliere il nostro paese? Come trovi l’ambiente studentesco? Hai notato delle differenze con quello della tua città, Córdoba?
Ho scelto di venire in Italia per studiare per vari motivi, innanzitutto perché l’Italia è un paese che è parte integrante della mia identità. Io appartengo a una delle numerosissime famiglie italiane che si sono trasferite in Sud America prima della Seconda Guerra Mondiale. Quindi nella mia famiglia sono sempre stati presenti i valori, la storia e alcune abitudini italiane. Durante tutto il mio percorso scolastico ho frequentato una scuola italiana, dove studiavo la lingua e la cultura italiana. Un altro motivo è dovuto all’importanza storica dell’Università di Bologna, che è un’istituzione, conosciuta in tutto il mondo, rilevante per la storia del pensiero scientifico e accademico. Perciò mi interessava – e mi interessa molto tutt’oggi – conoscere da vicino questa università e l’approccio nei confronti della psicologia, anche perché l’Italia è il paese della legge Basaglia che permise la chiusura dei manicomi. Purtroppo in Argentina e, più in generale, in tutta l’America Latina, esistono ancora molti di quei “campi di concentramento” che costituiscono la vergogna delle nostre società, invece fortunatamente in Italia sono stati chiusi. Riguardo le differenze tra l’ambiente studentesco argentino e quello italiano, devo ammettere che sono molte. Prima di tutto, nella mia Università, ma anche in tutta l’Argentina, vi è un maggior coinvolgimento degli studenti nella realtà, nella politica e nello sviluppo dell’università pubblica. Almeno per quello che ho visto, in Italia tale coinvolgimento non è così forte come da noi. Credo che questo risponda a un fatto storico, perché è dovuto ai processi sociali e politici che abbiamo vissuto nel nostro continente, in quanto i grandi gruppi economici vogliono sempre segnare le sorti dell’università e della società intera. Per questo motivo la nostra storia universitaria è una storia non soltanto di studio, ma anche di una grande partecipazione e organizzazione studentesca.
Come vivono attualmente i giovani nel tuo paese?
Attualmente esiste un forte processo di compromesso sociale e politico. Noi giovani stiamo imparando a prenderci cura di quello che capita nel contesto nazionale e latinoamericano. Ci sono numerose possibilità di studiare e anche di lavorare, a differenza di quello che succede in molti paesi europei come la Spagna, la Grecia e l’Italia. Pertanto possiamo pensare ad un orizzonte di possibilità più ampio.
Tu sei un attivista dell’associazione studentesca La Bisagra che ha anche una marcata connotazione politica. Ti andrebbe descriverci quest’organizzazione e il suo ruolo? Cosa ne pensi delle critiche ricevute dal movimento universitario SUR?
La Bisagra è un’organizzazione studentesca dell’Università Nazionale di Córdoba che nasce contro le politiche neoliberali che stavano distruggendo il nostro paese prima e dopo la crisi del 2001. Voi di sicuro avete visto le immagini nei telegiornali, che mostravano un’Argentina socialmente impoverita e ammalata. Anche l’università è stata una delle vittime di questo processo, perché ha subito tagli all’educazione e al finanziamento delle università di tutto il paese. Noi attualmente ci organizziamo per costruire un altro modello di Università, più inclusivo e legato ai problemi e alle necessità del nostro popolo. Non credo siano importanti ai fini questa intervista le critiche che abbiamo ricevuto dal movimento SUR, ma la questione principale che ci divide è l’appoggio all’attuale governo nazionale di Cristina Fernandez de Kirchner. Per noi le politiche della Presidenta riguardo l’educazione, l’inclusione sociale e i diritti civili sono state rivoluzionarie e stanno sanando molti dolori e disagi del nostro paese. Costoro invece ritengono che quello della Kirchner sia un governo di destra, come può essere quello di Berlusconi in Italia o di Rajoy in Spagna.
In Argentina, e in tutta l’America Latina, è presente una lunga tradizione di movimenti, anche politici, di promozione psicologica, in particolare della salute mentale in ambito sociale e di comunità. Qual è dal tuo punto di vista la loro importanza all’interno della società?
Indubbiamente lo sviluppo di quelle discipline che vogliono produrre un cambiamento sociale ha un ruolo molto importante. Infatti, non a caso, la Psicologia Sociale della Liberazione, l’Educazione Popolare e tanti altri insegnamenti di questo tipo sono nati in contesti pieni di disuguaglianze e di sfruttamento del popolo latinoamericano. Quindi, almeno nel nostro continente, assumono un’importanza grandissima perché ci permettono di pensare e di lavorare con approcci teorici, metodologici e politici al fine di raggiungere emancipazione e libertà che, al momento, non sono ancora reali, perché, pur vivendo in nazioni formalmente indipendenti, ci sono dei poteri esterni che impediscono il nostro sviluppo e benessere.
Qualche settimana fa nella tua città c’è stato un ripresentarsi del cosiddetto “Effetto Córdoba”, scatenato da uno sciopero delle forze dell’ordine con lo scopo di rivendicare un aumento salariale. A questo si è aggiunta tutta una serie di scioperi di altre figure pubbliche, in particolare nel settore scolastico. I sindacati si sono fatti promotori di questa lotta per un aumento salariale. Dal tuo punto di vista c’è un giusto interesse per migliorare la condizione di vita dei lavoratori salariati? Jorge Kreyness, segretario del Partito Comunista argentino, afferma che nel governo Kirchner ci sono delle buone intenzioni progressiste, anche se tuttavia si è ancora lontani dal raggiungere un modello alternativo al capitalismo. Cosa pensi al riguardo?
Il cosiddetto “Effetto Córdoba” è stato un fatto che non si aspettava nessuno. Ma bisogna conoscere lo sviluppo storico del ruolo della polizia in tutta l’America latina, perché le radici di questo problema sono lì. I governi di destra hanno creato una demagogia punitiva con la quale facevano credere che l’insicurezza e la delinquenza si sarebbero risolte solo attraverso un sistema di ripressione e controllo da parte della Polizia; questo ci ha fatto vivere situazioni di violenza mai viste nella nostra società: ragazzi spariti in democrazia per non aver obbedito ai poliziotti, collaborazioni tra mafiosi e narcotrafficanti, e tanti altri crimini causati dalla stessa polizia. Riguardo invece l’intenzione progressista del governo Kirchner, basterebbe confrontare le statistiche e vedere quante persone giovani, bambini, donne e disoccupati siano stati inclusi grazie alle politiche di questo governo dal 2003 ad oggi. Come ci diceva il Generale Juan Domingo Perón: «L’unica verità è la realtà». Perciò possiamo dire che manca molto da fare e molto da migliorare, ma il percorso è corretto: più inclusione sociale, più controllo statale sull’economia e distribuzione più equa delle risorse.
L’Argentina: un paese da molti europei ritenuto lontano, terra in principio coloniale, di migrazioni, di rivolte e forti ideali. Tuttavia oggi può essere veramente ritenuta una nazione indipendente e democratica? Credi che il modello sociale e di sviluppo da raggiungere sia quello delle cosiddette democrazie occidentali?
Credo che la realtà che vivono le democrazie europee sono l’esempio perfetto per capire che questo non è il modo per migliorare le nostre condizioni sociali. Per parlare di democrazia oggi in Europa, bisognerebbe ripensare questo concetto, perché io vedo qui una dittatura del mercato e delle lobby economiche che controllano il mercato e fanno quello che vogliono con lo Stato e con una classe politica che soltanto obbedisce quello che dicono questi grandi gruppi che portano soltanto sfortuna e disagio al popolo italiano. Quindi parlare di raggiungere questo modello di democrazia sarebbe sbagliato perché significherebbe tornare a un passato scuro. Per questo i modelli devono essere altri, dove lo Stato si prenda cura delle fascie più povere della società, dove esista un empowerment dei cittadini, dei gruppi dei movimenti organizzati per raggiungere democrazie veramente democratiche, questo è il paradosso più grande.
Sappiamo che in Argentina nel 2000 c’è stato un crollo economico. Tuttavia oggi, sotto la guida di Cristina Kirchner, l’Argentina appare come una nazione sulla via di una ripresa ottimale. Come ben saprai anche l’Europa, e in particolare i paesi del Sud, si trovano in una situazione di crisi. Noti delle analogie con la situazione che attraversò il tuo paese? Qual è la condizione attuale dell’Argentina?
Guarda, devo ammettere che quando guardo i telegiornali italiani mi sembra di vedere la realtà dell’Argentina. Certo, con le differenze di sviluppo economico tra un paese del sud america e un paese europeo, ma le ricette e i consigli che guidano i governi europei sono gli stessi che hanno fatto crollare questi tutti i paesi latinoamericani. Il sistema neoliberale e la dittatura del mercato, di cui parlavamo prima, stanno conducendo i paesi più deboli dell’Europa a una situazione di emergenza veramente grave. Il processo è lo stesso: tagli all’educazione, alla sanità e spostamento di tutte le risorse a favore dei grandi poteri. Noi in Sudamerica abbiamo già visto questo film che ci ha portato ad avere 60 bambini morti di fame al giorno, in un paese che, considerate le sue risorse, potrebbe dare da mangiare a quasi tutto il mondo. Aspetto il risveglio dei paesi europei per costruire un altro sistema culturale, sociale ed economico. Non è soltanto un problema di soldi, è un problema di dignità, di mancanza di felicità e di distruzione dei valori umanistici che sono nati proprio in questo continente.
A mio avviso, in modo strumentale ed ideologico, i nostri governi neoliberali europei e statunitensi, giudicano le politiche latinoamericane come populiste, demagogiche e in alcuni casi dittatoriali. Da appassionato di politica come vedi questa presa di posizione da parte dell’establishment politico occidentale?
Osservare le realtà latinoamericane attraverso categorie di analisi europee è un grandissimo errore. Sono realtà diverse, quindi occorrono modelli di analisi e prospettive differenti. Se “populismo” significa alfabetizzare la popolazione, garantire alimentazione ai bambini, lavoro agli adulti, diritti alle donne, libertà per gli omosessuali di sposarsi e di avere gli stessi diritti, io mi dichiaro populista al cento per cento. Definire “dittature” governi che hanno vinto le elezioni con più del 50 per cento dei consensi è un grandissimo errore. Il problema è che i grandi mass media rispondono a quei grandi gruppi di potere che hanno fatto del nostro continente latinoamericano un giardino dove buttare tutta la spazzatura che non volevano, dove rubare tutto e acquisire ricchezze violando i diritti umani universali. Noi abbiamo imparato molto dalla storia e adesso siamo determinati ad essere liberi e sovrani per poter decidere autonomamente il nostro destino. Come si dice da noi, “adesso è l’ora dei popoli”.
Cosa ne pensi di Papa Francesco? Da suo connazionale sai dirci qualcosa a riguardo del suo passato di fede e politico? Sappiamo per esempio che si distanziò nettamente dalla teologia della liberazione e che alcuni gli muovono accuse di collusione con il regime di Videla…
È ancora troppo presto per poter affermare qualcosa su questo Papa. Ma posso dire che adesso esistono forti perplessità riguardo una sua presunta collusione con il regime militare che uccise trentamila argentini dal 1976 al 1983. Quindi bisognerebbe chiedergli un chiarimento in proposito. Alcuni considerano l’elezione di Papa Francesco come una strategia per fermare i processi di liberazione ed emancipazione dei nostri paesi. Sarebbe meglio aspettare, così evitiamo di dare giudizi affrettati.