Il caso delle baby prostitute e il potere dei media, tra voyeurismo e mala-informazione
È passato quasi un mese dalla notizia della scoperta delle baby prostitute, due minori, di quattordici e quindici anni, che la mattina andavano a scuola e il pomeriggio si prostituivano in un appartamento ai Parioli, nella Roma bene. Quasi un mese dall’accaduto, ma purtroppo molto meno tempo c’è voluto per far cadere queste due ragazzine nella rete del plotone mediatico. Alla notizia di questo triste fatto di cronaca, è seguita, nel giro di poche ore e nei giorni seguenti, una serie infinita di articoli di giornale e di programmi televisivi dove si argomentava l’accaduto in tutte le salse possibili: dal salotto indiscreto di Barbara D’Urso a quello non meno pettegolo di Paola Perego, procedendo per la vivisezione politicheggiante di Porta a Porta, con i suoi soliti ospiti – mancava solo il plastico – a dare manforte a un un’arena mediatica che ha totalmente massacrato il diritto alla tutela di queste minorenni. Eppure la tutela del minore è alla base della deontologia giornalistica, che ha l’obbligo di difendere la riservatezza e la privacy del piccolo individuo, ritenuto, per l’appunto, “soggetto debole”, cioè privo di difese.
Nel programma televisivo “La vita in diretta”, circa una settimana fa Paola Perego interrogava un esperto chiedendo: «Ma queste ragazzine rischiano per il futuro?» L’esperto, con aria piuttosto solenne, risponde: «Certamente! Fintanto che si continuerà a parlare di loro». Quest’affermazione la dice lunga sulla profonda contraddizione che si insinua tra le parole dell’esperto e il senso della sua presenza in quel luogo. E, ancora di più, tra la corretta informazione e quello che la tv ci offre.
Per capire quale fosse il margine entro cui una notizia così delicata – riguardante delle minori, per di più circoscritte in una situazione a sfondo sessuale – potesse muoversi, era necessario e doveroso chiedersi se quella notizia potesse essere utile o dannggiare le due minori in questione. Ciò, evidentemente, non è stato fatto. Si è scelto, come troppo spesso accade, di privilegiare l’audience a scapito della privacy (regolamentata dalla Carta di Treviso), dell’essenzialità dell’informazione (stabilita nel Codice Privacy e l’art. 7 del Codice Deontologico) e della normale discrezione (auspicabile nel senso comune) nei riguardi dei soggetti. Nel diritto di cronaca bisogna bilanciare informazione e riservatezza, invece l’enfasi mediatica che si è data al caso delle baby prostitute costituisce l’ennesimo episodio di invadenza dei media e di assuefazione e dipendenza dalla cronaca come fosse uno spettacolo, suscitate da una curiosità morbosa.
Giorni fa, Enzo Iacopino, presidente del Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti, ha lanciato un appello contro la violenza su queste minori e il voyeuriesmo mediatico che ne è scaturito: «I presidenti della Rai e di Mediaset e i direttori di tutte le testate dovrebbero porre fine a questa vergogna, diventata oggetto di intrattenimento […] Questo incoraggiare un voyeurismo mediatico non per dare informazioni (che cosa c’è da aggiungere alla notizia del fatto e degli arresti?), ma per garantire audience e ipotetici riscontri in edicola, in una gara squallida a chi fornisce il particolare più disgustoso, non ha nulla a che vedere con il dovere di una informazione corretta. […] Occorre una scelta di responsabilità, se vogliamo davvero provare ad aiutarle e non puntiamo solo, per l’audience o la diffusione di copie, a regalare eccitazione ai tanti malati che trovano normale fare sesso con delle adolescenti». Parole che non lasciano margini di interpretazione e suonano come una condanna verso questo tipo di informazione.
La corsa all’audience è capace di questo e di altri scandali. Già qualche decennio fa, Brzezinski, Consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter negli anni 1977-1981, vedeva nella competizione per l’audience una tendenza intrinsecamente e fatalmente destinata a peggiorare la qualità della televisione e dell’informazione nel tempo: «Il fatto triste è che i produttori televisivi che praticano una vera e propria pornografia culturale hanno in effetti un vantaggio competitivo su quelli che non lo fanno. Il risultato è che la televisione occidentale è progressivamente sempre più incline al sensuale, al sessuale e al sensazionale». É quello che succede tuttora e in maniera peggiornativa in modo uniformemente – e catastroficamente – accelerato.
Il sesso fa audience. Del resto, siamo eredi un po’ illegittimi dell’epopea erotica, una tragedia esilarante culminata con la farsa delle olgettine e del bungabunga, che negli ultimi anni si è insinuata come un virus nel nostro immaginario, nelle nostre coscienze, nella nostra società, nella nostra cultura, provocando, di rimando, una società malata che assiste passivamente allo srotolarsi degli eventi più turpi e guardandoli ne prova piacere. Effetti destabilizzanti, svuotamento morale, minacce alla democrazia: sono le conseguenze che inconsapevolmente scaturiscono quando cadiamo vittime del giogo dei media e della mala-informazione, sia che siamo mittenti o referenti del messaggio. “A noi non basta l’obbedienza negativa, né la più abietta delle sottomissioni. Quando ti arrrenderai a noi sarà di tua spontanea volontà”, così si legge nel romanzo di George Orwell, “1984”. È una delle minacce più pericolose della nostra epoca.