Bergoglio: le accuse sulla dittatura, l’ostilità verso i governi, l’opzione per i poveri e il futuro della Chiesa
Vediamo di conoscere le accuse che vengono mosse al nuovo papa Francesco, dai sospetti di collaborazione con la dittatura militare alle sue ostilità nei confronti degli ultimi governi argentini.
Una delle voci critiche che in questi giorni si è fatta sentire con più insistenza è quella di Horacio Verbitsky, giornalista di inchiesta per il giornale filogovernativo Página/12. Anche su queste pagine è stato dato spazio alle sue accuse nei confronti di padre Bergoglio riguardo alcune vicende controverse negli anni della dittatura di Videla. Quella principale riguarda i gesuiti Orlando Yorio e Franz Jalics, quest’ultimo missionario ungherese in Argentina sin dal 1957. I due, spinti dal desiderio di vivere il Vangelo e per far conoscere le condizioni di terribile povertà, nel 1974 ottennero il permesso dell’Arcivescovo Aramburu e dell’allora padre Bergoglio per vivere in una “favela”, continuando ad insegnare nell’Università.
Due anni dopo, a seguito del golpe del 24 marzo 1976, entrambi furono arrestati e torturati con l’accusa di aver fiancheggiato i guerriglieri comunisti. A quel tempo Bergoglio era il giovane padre provinciale dei gesuiti argentini e, secondo le accuse, avrebbe venduto i due confratelli alla polizia militare, o comunque non avrebbe fatto abbastanza per difenderli. Accuse che si basano su alcune testimonianze di padre Jalics (padre Yorio è , nel frattempo, deceduto per cause naturali). Da Jalics abbiamo avuto una nota che cerca di fare chiarezza sull’accaduto. Egli precisa che nella favela non avevano rapporti né con la giunta, né con i guerriglieri, ma che uno dei loro collaboratori laici un giorno si unì alla resistenza armata e nel giro di nove mesi fu arrestato dai militari, ai quali dovette rivelare di aver collaborato con i due gesuiti. A seguito di tutto ciò, nel maggio 1976 avvenne l’arresto di Jalics e di Yorio. I quali furono scagionati cinque giorni dopo da un interrogatorio, però senza alcun evidente motivo dovettero comunque restare in carcere, subendo torture per i cinque mesi successivi. Si apprende che Bergoglio nel 1976, un mese prima del golpe, prima del sequestro dei confratelli, ordinò loro di tornare dalla missione nelle favelas, forse anche perché non vedeva di buon occhio le simpatie dei due nei confronti della Teologia della Liberazione, verso quel “cristianesimo di classe e rivoluzionario”, che in quegli anni stava prendendo campo anche all’interno della Compagnia di Gesù.
Qualche giorno prima del colpo di stato Bergoglio rinnovò nuovamente l’invito a mettersi al sicuro presso la casa dei gesuiti, ma essi rifiutarono. La sua sollecitazione, che è stata erroneamente interpretata come un segnale implicito di assenso per la loro cattura, era precauzionale, volta a tutelare la loro incolumità in un periodo gravemente instabile per l’Argentina. Se fosse stato vero il contrario, ci sarebbero documenti che proverebbero la complicità di Bergoglio con la giunta militare che doveva ancora salire al potere. Tuttavia, il contatto che ebbe personalmente, in un secondo tempo, con Videla era finalizzato alla liberazione dei due religiosi dopo la loro incarcerazione; alle carte risulta la richiesta di un passaporto per loro, che riuscirono finalmente ad emigrare.
Padre Bergoglio assunse con la dittatura un atteggiamento piuttosto diplomatico, come del resto tanti altri hanno dimostrato in situazioni analoghe, ma finalizzato a salvare vite umane aiutandole a scappare dall’Argentina. Se non giunse mai ad una aperta condanna nei confronti di Videla, lo fece per l’incolumità dei suoi fratelli e per la sua. Comprensibile, umano. Padre Jalics, che da quel lontano 1976 vive in un monastero in Austria, afferma di essersi “riconciliato con quegli eventi” e dichiara “per me quella vicenda è conclusa”; anche se non è in grado di “prendere alcuna posizione sul ruolo di padre Bergoglio in quei fatti”, augura al Santo Padre “la ricca benedizione di Dio per il suo ufficio”. Jalics e Bergoglio, quando quest’ultimo è divenuto arcivescovo di Buenos Aires, hanno avuto modo di parlare di quegli eventi, abbracciandosi solennemente in pubblico durante una Messa celebrata assieme.
Esprime apprezzamento nei confronti dell’operato di Bergoglio Jorge Ithurburu, presidente dell’Associazione 24 marzo, organizzazione di parte civile nei processi contro la giunta militare. “L’episodio può essere letto in due modi: i capi dei due gesuiti sono responsabili di averli lasciati soli, oppure si può pensare che gli stessi capi siano intervenuti per ottenerne la liberazione. Propenderei per la seconda ipotesi: l’Esma non liberava nessuno per caso. Ma nessuno nella Chiesa ammetterà mai che è stata condotta una trattativa segreta. La Chiesa non parla di queste cose. La liberazione dei due sacerdoti resta però un fatto». Come è un fatto anche il rilascio dell’autorizzazione per seppellire nella chiesa di Santa Cruz, dove erano state uccise l’8 dicembre 1977, Esther Ballerino de Careaga e Maria Ponce de Bianco, madri di Plaza de Mayo, con la missionaria Leonie Douquet. Analogamente si esprime il ricercatore dell’Università di Messina Andrea Velardi, secondo cui la liberazione dei due è avvenuta “per l’opera silenziosa di Bergoglio che si mosse segretamente per riportare quei preti a casa, sani e salvi”.
Nonostante ciò Estela de Carlotto, portavoce dell’organizzazione delle vittime “Nonne di Plaza de Mayo”, afferma con un po’ di delusione: “Non lo abbiamo sentito mai parlare dei nostri nipoti, dei desaparecidos. Non è mai venuto a stringerci la mano né a offrire il sostegno necessario della Chiesa, che tutti i cattolici si aspettavano. Ci ha dimenticati un po’”, però sul futuro papa è ottimista, perché si tratta di “un’altra storia; l’importante è sapere che vuole lottare per la pace, la convivenza e l’amore per il prossimo”.
L’autorevole Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel chiarisce categoricamente che, diversamente da altri ecclesiastici, “Bergoglio non fu complice della dittatura”, anche se forse “gli mancò coraggio per associarsi alla nostra lotta”. A proposito del sequestro dei due sacerdoti, Esquivel sa che “molti vescovi hanno chiesto alla giunta militare la liberazione di prigionieri e sacerdoti, e non fu concessa”. Per Alicia Oliveira, ex “difensora” del popolo di Buenos Aires, invece, Bergoglio ha dato prova di grande coraggio, perché “faceva uscire dal paese la gente che era perseguitata, per lui era molto pericoloso”. In tal senso vi è anche un’altra testimonianza, purtroppo anonima, quindi non verificabile. Pare che Bergoglio sapesse di essere finito nella lista nera delle personalità da spiare notte e giorno. Oltre a lui, un ragazzo che gli assomigliava molto. Bergoglio gli fece indossare i vestiti da sacerdote, confondendo così i servizi segreti che non riuscivano a capacitarsi della sua ubiquità. Queste parole sono confermate anche da Bergoglio, che ammise di aver ceduto la propria carta d’identità, dopo averlo vestito da prete, a un giovane che gli somigliava per farlo scappare dall’Argentina, “passando da Foz do Iguaçu”, salvandogli la vita.
Bergoglio, infatti, fu chiamato a testimoniare più volte, non solo sul caso dei due gesuiti, in merito al quale sostenne di “aver chiesto ai vertici del regime il rilascio”, ma anche per Elena de La Cuadra, desaparecida quando era incinta, e per l’omicidio del sacerdote Gabriel Longueville; ogni volta uscendone sempre senza macchia. “Quando dovette testimoniare, usò tutti i privilegi che aveva, fu reticente e capimmo che non voleva collaborare” afferma, invece, l’avvocato e attivista politica di orientamento trotzkista Myriam Bregman, del collettivo “Justicia ya!”. Va più cauto l’avvocato Rodolfo Yanzón: “Bergoglio parlò solo in qualità di testimone. Però, come molti altri, non trovò il coraggio sufficiente per affrontare la dittatura”. A loro risponde Graciela Fernández Meijide, ex membro della CONADEP (Commissione Nazionale sulla Sparizione delle Persone), per la quale “sulla base delle testimonianze ricevute, non è mai emerso un Bergoglio complice della dittatura”, diversi sacerdoti invece sono stati dichiarati colpevoli e condannati. Interviene anche Miguel Bazze, parlamentare del partito di opposizione Unione Civica Radicale, dicendo che “cercare di insinuare che il Sommo Pontefice avesse qualcosa a che fare con la dittatura è di una bassezza inqualificabile”.
Abbiamo visto che, negli anni in cui la Teologia della Liberazione era particolarmente in voga (oggi un po’ meno), padre Bergoglio restò sempre piuttosto diffidente nei confronti di quella che poteva sembrare una “marxistizzazione della fede cristiana”, preferendo rimanere all’Ordine dei gesuiti. Ma sicuramente è da rilevare la sua costante e premurosa nei confronti dei poveri, dei deboli, degli ultimi. Tale che qualcuno si lamentava che, a causa del suo impegno sociale nelle favelas e negli ospedali, ciò lo rendeva spesso assente in cattedrale. Leonardo Boff, esponente di spicco della Teologia della Liberazione, dice che, a prescindere dalla condivisione o meno del marchio Tdl, Bergoglio ha scelto sempre “l’opzione per i poveri e contro la povertà” anche nel suo stile di vita umile, la quale rappresenta lo spirito di questo movimento ecclesiale di base.
All’inizio del nuovo millennio, le scellerate politiche di Menem e l’accettazione dei diktat del Fondo Monetario Internazionale avevano portato l’Argentina al fallimento. Bergoglio si schierò apertamente contro le imposizioni economiche di privatizzazione, svendita e austerity, invocando una maggiore spesa sociale e la ristrutturazione del debito, come poi effettivamente avvenne con il governo di Néstor Kirchner. “La crisi economico-sociale e il conseguente aumento della povertà ha le sue radici in politiche ispirate da certe forme del neoliber(al)ismo che considerano i guadagni e le leggi del mercato come parametri assoluti, a danno della dignità delle persone e dei popoli”. Sono parole dell’allora Arcivescovo di Buenos Aires, che in svariate occasioni denunciò le “condizioni economiche ingiuste, all’origine delle grandi diseguaglianze, che violano i diritti umani” alla pari del “terrorismo, della repressione e delle uccisioni”.
Nel 2002, con padre Bergoglio in prima fila, la Chiesa volle gridare contro “l’esclusione sociale, la crescita della disuguaglianza tra ricchi e poveri, l’insicurezza, la corruzione, le inefficienze dei sistemi di educazione e tutela della salute, le conseguenze negative della globalizzazione e della tirannia dei mercati”. Ma il cardinale non si mostrò tenero neppure con il nuovo Presidente, che sin dal suo insediamento accusò di “esibizionismo”. Le critiche ai suoi provvedimenti in campo economico furono così pressanti che Kirchner non si presentò al tradizionale Te Deum di fine anno, il che comportò la sospensione della cerimonia e la presa d’atto da parte di Bergoglio che non vi era alcun rapporto di amicizia tra Chiesa e governo. Kirchner era solito riferirsi al cardinale apostrofandolo “vero rappresentante dell’opposizione” e l’altro replicava: “Anziché prevenire le ineguaglianze, hanno scelto di renderle perfino più grandi”. I battibecchi tra i due terminarono per forza di cose nel 2010 con il funerale dell’ex presidente officiato da Bergoglio; in quella occasione ne riconobbe alcuni pregi e disse di rispettare l’investitura popolare.
Le divergenze però continuarono con la moglie Cristina Kirchner, che nel 2007 venne eletta Presidenta dell’Argentina. Ma già al momento della candidatura l’Arcivescovo di Buenos Aires sentenziò “le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici”, invitando ad “avere memoria” perché l’Argentina nella storia ha già “avuto una donna come presidente della nazione e tutti sappiamo cosa è successo”. In questo caso alludeva a Isabel Martínez de Perón, “Isabelita”, la quale, trovandosi fortemente impreparata a gestire la situazione dopo la morte del marito, troppe volte lasciò prendere le decisioni al potente ministro José López Rega, considerato “presidente ombra”, che adottò provvedimenti repressivi, inaugurando la lunga stagione dei desaparecidos e aprì, di fatto, la strada al golpe militare di Videla. Tornando a Cristina, in questi anni di mandato anche lei ricevette numerose osservazioni da parte del cardinale che parlò di “ambizioni eccessive”, di “manie di grandezza”, di “rischio di omologazione del pensiero”, e continuò ad appellarsi ad una “concordia sociale” per porre fine allo “scandalo della povertà”. Egli rimarcò che, nonostante la “retorica dei poveri”, “l’ingiusta distribuzione dei beni persiste, creando una situazione di peccato sociale che urla al Cielo e limita la possibilità di una vita più piena per tanti dei nostri fratelli”.
Nel 2008 si schierò con gli agricoltori in protesta contro il raddoppio delle tasse sulle vendite delle esportazioni di quattro prodotti e i suoi derivati (soia, girasole, mais e grano) sancito dal governo; il provvedimento era finalizzato ad aumentare i prezzi sul mercato estero, ipotizzando una riduzione dei prezzi su quello interno: voleva colpire principalmente i grandi proprietari terrieri, ma il peso si faceva sentire anche e soprattutto sui piccoli produttori. Dopo 129 giorni di sciopero e di blocchi stradali, il nuovo sistema di tassazione fu definitivamente rigettato dal Senato. Padre Bergoglio, nel 2009, giunse ad affermare che “da anni il governo” non si interessava del “carico della gente” e l’anno successivo guidò la crociata contro la legge sui matrimoni omosessuali voluta dalla Kirchner, che gli rispose accusandolo di voler “portare la società ai tempi medievali e dell’Inquisizione”. Lui, a sua volta, in una lettera invitò a pregare per i senatori, puntando il dito contro l’“invidia del demonio” che vuole distruggere l’unione tra uomo e donna, che corrisponde alla “legge naturale e legge di Dio”. Inoltre, invitò esplicitamente a non votare i candidati favorevoli all’aborto.
Quindi non sarà un papa liberale (del resto la dottrina della chiesa è sempre stata diffidente nei confronti del liberalismo) ma, secondo Monsignor Cesare Zaffanella, senza dubbio è “un uomo profondamente libero”, “prestato” dalla Diocesi di Cremona alla grandissima Arcidiocesi di Buenos Aires dal 1984 al 2004. Ne emerge il ritratto di un uomo che, nella sua discrezione, “non si tira indietro al momento di prendere decisioni forti”, come “ha fatto spesso”, parlando in modo chiaro, “ma mai in modo violento o polemico”. Zaffanella assicura che le divergenze con la Kirchner “sono dovute proprio al fatto che Bergoglio aveva parlato in modo molto chiaro. Lei ha un atteggiamento spesso populista e autoritario, e quando l’arcivescovo di Buenos Aires ha sottolineato alcune criticità, si è offesa”.
Aldo Cazzullo nel 2005 scrisse sul Corriere che furono “pessimi i rapporti con Menem e Duhalde, gelidi con de la Rua e freddi con Kirchner”, dando quindi l’impressione di una distensione progressiva, nonostante le aspre vene polemiche. Dobbiamo osservare, oltre a ciò, che lo schieramento dei kirchneristi è composito e sono in molti ad apprezzare la figura di papa Francesco. A partire dal Presidente della Camera dei Deputati argentina Julián Domínguez, “cristinista [dalla presidenta Cristina Kirchner NdR.] cattolico”, che non nasconde la “straordinaria allegria” nei confronti di un uomo che ha fatto un eccellente “lavoro sociale”. E se in Argentina sono in molti a definirsi “peronisti”, dagli ultraliberisti alla Menem ai peronisti di sinistra come i coniugi Kirchner che dal 2003 governano la nazione, tale appellativo non sfugge neppure a Bergoglio. Il giorno dopo l’elezione, Buenos Aires si è svegliata tappezzata di manifesti che inneggiano a “Papa Francisco I, argentino y peronista” e così è stato salutato da Emilio Pérsico, sottosegretario all’Agricoltura familiare e Segretario Generale del movimento Evita (forse più vicino allo spirito del peronismo autentico e che sostiene l’attuale Presidenta), come “un peronista, un compagno, impegnato tra i più umili, con cui abbiamo lavorato assieme nei villaggi, con i cartoneros, combattendo la droga”. Un altro esponente del movimento Evita è Fernando “Chino” Navarro, che auspica tra la Kirchner e papa Francesco “un buon rapporto” perché entrambi sono accomunati dall’“opzione per i poveri”, differentemente dall’opposizione “che ora si aggrappa a Bergoglio e lo prende come a un talismano” la quale, salvo “eccezioni onorabili” è stretta dall’“abbraccio con gruppi economici” ed è “subordinata ai potenti”.
Ma papa Francesco, che non parteggia “né per i gruppi economici, né per i potenti”, è “senza dubbio” in maggiore sintonia “con le azioni del governo nazionale” piuttosto che con quelle dell’opposizione della destra liberista che oggi lo acclama. Un’altra voce è quella di Gabriel Mariotto, vicegovernatore “justicialista” (quindi peronista e kirchnerista) della Provincia di Buenos Aires, che in un programma televisivo ha difeso a spada tratta il nuovo pontefice, definendolo “Papa peronista” con “gran militanza e cosmovisione terzomondista”, sostenitore del “progetto (geo)politico “di questa America Latina” che tenta di affrancarsi dalla secolare influenza Nordamericana. Di tutt’altro avviso il sindacalista Luis D’Elía, fondatore del movimento dei “piqueteros” verso cui, secondo Aldo Cazzullo, padre Bergoglio nutriva simpatie. D’Elia azzarda un paragone con Giovanni Paolo II che contribuì a distruggere l’Unione Sovietica e così potrebbe fare papa Francesco con l’Unione Sudamericana. Lo smentirebbe però Emilio Pérsico, che rivela l’autorizzazione di padre Bergoglio per celebrare una messa speciale, lo scorso anno, per le condizioni di salute del presidente venezuelano Hugo Chávez, morto meno di un mese fa. Per tirare le fila, il nuovo pontefice romano è “un conservatore molto attento alle dinamiche sociali, intransigente dal punto di vista dottrinale, ma strenuo difensore di una società più sobria ed equa, anche se fondamentalmente capitalistica” come nota Michele Pierri.
Pertanto, se si utilizza la contrapposizione destra/sinistra, o quella di conservazione/progresso, può risultare difficile inquadrare le posizioni di Bergoglio perché si potrebbe pensare a prese di posizione “di sinistra” quando interviene sulle tematiche della povertà e “di destra” su questioni quali eutanasia, aborto, matrimoni gay. In quanto concetti privi di riferimenti assoluti e stabili, relativi nello spazio e nel tempo, si può giungere alla conclusione apparentemente contraddittoria che abbiamo di fronte un “un conservatore radicale, ma con una forte sensibilità sociale”, “popolare”, che “in privato si definisce peronista”, ma sempre coerente con l’insegnamento del Magistero della Chiesa Cattolica, la quale, dall’enciclica Rerum Novarum alla Caritas in veritate, si è sempre schierata – perlomeno a parole – con i più deboli, rifuggendo al contempo dagli odi di classe. Apparentemente, sotto questo profilo, nulla di rivoluzionario.
Tuttavia il vero cambiamento, quello che è stato avvertito da molti che hanno scambiato padre Bergoglio con il teologo della liberazione Leonardo Boff, che pure esulta di gioia, sottolineando che “pochi mesi fa ha permesso a una coppia omosessuale di adottare un bambino” (e questo smentirebbe la famigerata inflessibilità del pontefice) – il vero cambiamento non dovrebbe essere tanto nel contenuto, pressoché identico da duemila anni, quanto nella forma e nell’atteggiamento di apertura, come fa intendere il cardinale Dolan, sostenitore della sua candidatura in conclave: “Mi aspetto che Bergoglio riesca a dare alla Chiesa un aspetto più attraente e accogliente. Però Papa Francesco non può cambiare la sostanza, le certezze della Chiesa, ma può sempre cambiare il modo in cui vengono presentate. Penso che sia una persona abbastanza avveduta da dire: «Va bene gli insegnamenti tradizionali della Chiesa, ma bisogna anche riconoscere che molti di questi non riescono più a passare. E siccome non posso e non voglio cambiarli perché vengono dal Signore, posso però lavorare per renderli più allettanti, convincenti». Penso che Papa Francesco farà proprio questo”.
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Articolo interessante, grazie Piotr!