Arriva nelle sale l’attesissimo sequel di Blade Runner, diretto da Denis Villeneuve con Ryan Gosling e Harrison Ford.
L’Agente K è un membro dei Blade Runner, corpo speciale della polizia che si occupa di cacciare i replicanti fuggiti sulla terra. È proprio durante una spedizione da uno di loro chiamato Sapper Morton, che scoprirà un segreto sconvolgente: cambierà gli equilibri sulla terra?
Recensione di Blade Runner 2049
Il 14 Ottobre 1982, era un giovedì come tanti. Un giorno lavorativo, le persone tornavano a casa dai propri cari, i bimbi tornavano da scuola e la sera al cinema uscivano i film. Quel giorno di 35 anni fa, usciva nelle sale un film diretto da un giovane regista chiamato Ridley Scott e Harrison Ford era il protagonista. Con gli anni quel film ha acquisito l’appellativo di “pietra miliare della storia del cinema”, perché?
Blade Runner 2049 è un film ispirato a romanzo “Il cacciatore di androidi” (conosciuto anche come “Ma gli androidi sognano pecore ellettriche?”), si è rivelato rivoluzionario per la tematica affrontata, ammettendo una possibile futuristica convivenza con dei replicanti quindi con un diverso (ricordiamo che negli anni 80’ si incominciava ad accettare una forma di diverso, per colore di pelle o identità sessuale o religione) e ponendo allo spettatore il dubbio su quanto le macchine possano un giorno influenzare le nostre vite.
In questo seguito ritorna a fare da padrone il dualismo uomo – macchina. Siamo in un mondo dove c’è stato un blackout totale e per un periodo si è dovuti ritornare all’analogico, quindi ricominciare da zero. Gli androidi non mancano e c’è una netta separazione tra umani e androidi. Nel primo si parlava di “più umani degli umani”, riguardo a questa frase ora verranno chiariti molti dubbi. Nietzsche torna a bussare alle porte, soprattutto con lo scritto “Umano, troppo umano” che è stata una delle fonti d’ispirazione del film:la macchina metafora del superuomo e noi in tutto questo che fine faremo?
Un altro dei temi forti del film è la solitudine. L’avevamo già vista con Deckard, ora con l’agente K diventa melanconia, resa abilmente sullo schermo da Ryan Gosling. 30 anni dopo, questo film è stato citato in mille maniere e si attendeva un continuo, soprattutto dopo il finale aperto lasciato da Scott.
Denis Villeneuve, candidato all’Oscar come miglior regista per “Arrival” nel 2017, nel mettersi alla guida di questo film ha intrapreso la sfida più importante della sua carriera. Nell’accettare non ha mai sottovalutato la materia che stava per trattare , anche grazie ad un lauto budget messo a disposizione dalla produzione, ha potuto lavorare minuziosamente sul film. Durante la presentazione romana ha rivelato: “Ho accettato sapendo di poter controllare tutto.”. Infatti partendo dalla scelta del set e la collaborazione con il reparto scenografia capitanato da Dennis Grassner, per Denis è stata fondamentale la ricostruzione dei set “Per un lavoro futurista è importante, poter costruire tutti i set. Questo lavoro rassicura gli attori, permettendogli di sentirsi a pieno nelle ambientazioni dove interpreteranno i personaggi. Sono molto contento di questo anche perché siamo tornati alle origini del cinema”. Andando ad analizzare reparto per reparto, tra le musiche spicca la presenza di Hans Zimmer, arrivato dopo una lunga trafila con i vecchi musicisti designati. Assieme al suo staff ha lavorato con gli stessi strumenti del primo film, creando un filo unico anche per le musiche. Per Hans è l’ennesima conferma di un artista che sta scrivendo la storia del cinema, proprio come il nostro Ennio Morricone. Agli Oscar si sa ci vanno i migliori, se Denis si aggiudicherà l’ambita statuetta non lo sappiamo ancora, ma possiamo sbilanciarci nell’affermare che Roger Deakins, dopo ben 12 candidature, riceverà nel prossimo 2018 l’oscar per la miglior fotografia. Riguardo questo reparto e il lavoro realizzato, soprattutto nelle differenze col precedente capitolo è stato chiesto al regista di chiarire qualsiasi dubbio: “La luce e le sue atmosfere, sono un analogia col primo capitolo. Questo film è ambientato a Los Angeles, nello stesso quartiere del primo film, peggiorato. Se dovessi soffermarmi sulla più grande differenza direi la neve. Ci sono dei momenti più bianchi e argentei. Nonostante ciò assieme a Robert ci siamo diverititi nel giocare con i colori, per l’infanzia abbiamo usato un Giallo. Posso dire di aver lavorato col miglior direttore della fotografia”.
Una preparazione così precisa, non si nota solo nel lavoro tecnico, ma anche artistico. Nel 1982 tutto era sulle spalle di Harrison Ford, uno tra i protagonisti dei più importanti film degli anni 70-80, oggi a chi sarebbe mai toccato questo arduo compito? Interpretare il nuovo protagonista di BladeRunner è un arma a doppio taglio, o ti logora la carriera o ti porta nell’olimpo della recitazione. Per questo motivo Denis ha scelto Ryan Gosling, dichiarando: “Lui ha subito accettato il ruolo anche perché non ha mai realizzato un film così rischioso. Amo gli attori che davanti a una cinepresa sono il personaggio, attori che portano il carisma per realizzare l’obiettivo, sviluppando sfumature emotive uniche”. Cercando di evitare spoiler, la sua interpretazione dal trailer potrà sembrare quasi amorfa, ma nasconde una tristezza spiegata poi nell’arco della narrazione. Rispetto al suo ultimo film “La Laland”, Ryan ci mette del suo e cambia completamente ruolo e metodo di recitazione. L’elemento che li accumuna è la malinconia che aleggia in entrambi i ruoli.
Andare a vedere BladeRunner 2049, è un appuntamento con la storia, poco altro da aggiungere.