La prima regola per scrivere un buon libro è che non ci sono regole prestabilite. Tuttavia, se siete interessati a sapere come si fa ad iniziare a scrivere un libro, siamo pronti a darvi i consigli migliori e qualche spunto che ci auguriamo possa esservi d’aiuto.
Consigli per iniziare a scrivere un libro
Oggigiorno chi ha il desiderio di cimentarsi nella scrittura si trova davanti mille opportunità. Esistono infatti tantissime scuole di scrittura diverse che spesso si differenziano anche per generi letterari, dirette e guidate a volte da personaggi importanti nel mondo dell’editoria. Ma io mi chiedo, queste scuole di scrittura servono davvero? Credo che per scrivere un libro serva qualcosa di più. Sicuramente le scuole di scrittura possono aiutare a confrontarci con altri, a confrontarci con un modello che ci possa guidare quando siamo in difficoltà nella stesura del nostro elaborato e a metterci alla prova. Ma la chiave, a mio parere, non è lì; anche perché se pesiamo ai grandi della letteratura del passato ci rendiamo conto che quello che ha dato vita ai loro capolavori non era di certo una scuola di scrittura, ma qualcosa di più. Ce lo vedete Dostoevskij a farsi dire come si scrive? Io no. La regola fondamentale per scrivere un libro credo sia inevitabilmente l’avere qualcosa da dire. Ma qualcosa davvero. Qualcosa che trasmetta un’emozione, che esprima un sentimento, un pensiero, che parli dell’essere umano, che sia comunicativa abbastanza da tenere il lettore incollato alla pagina senza voler perdere neanche una parola.
Una delle prime cose che spesso capita a chi si approccia alla scrittura è il fantomatico e temutissimo blocco dello scrittore. Solitamente viene quando si hanno le idee più o meno chiare su quello che si vuole scrivere ma non si sa da che parte cominciare per dirle; oppure quando le idee non si hanno affatto e diventa complesso riuscire a tirare fuori dall’inchiostro di quella penna (o dalla tastiera di quel computer) qualcosa che sia soddisfacente per le nostre aspettative. Un consiglio che mi viene da dare a chi si trova in questa situazione è quello di provare a cambiare aria. Mi spiego meglio: restare a fissare il proprio computer maledicendosi per non avere abbastanza parole da dire, può risultare molto controproducente. Certo, è possibile anche avere un’illuminazione fissando lo schermo bianco, ma secondo me è più probabile che questa ispirazione, o intuizione che sia, ci venga se cambiamo prospettiva. Potremmo spostarci, andare a scrivere in un’altra stanza, o uscire di casa e fare una passeggiata e lasciare che l’immaginazione si faccia guidare da qualcosa che l’occhio coglie, come può essere il volo di un passerotto o lo scodinzolio di un cane al parco o un bambino che mangia un gelato vicino alla mamma. Restare a fissare il computer, o per i più tradizionalisti, il foglio, non sembra essere la soluzione più opportuna, quantomeno secondo me. Lasciarsi ispirare dagli altri, da quello che c’è fuori, ascoltare le storie delle persone, osservarle per strada, secondo me è la chiave per scrivere una storia che sia valida e racconti davvero qualcosa che parla di noi.
Se da una parte il blocco dello scrittore è una cosa che terrorizza tutti gli scrittori, dall’altra esiste un momento (o anche più di uno) della stesura di un libro, che può rappresentare la svolta e l’evoluzione principale per lo sviluppo di quel racconto o di quella storia. Sto parlando di quell’istante in cui tutto appare più chiaro, in cui si riesce a far fare al protagonista proprio quella cosa che magari gli salva la vita, che era l’unica cosa che potesse fare, ma che non ci era mai venuta in mente sino a quel momento. E allora si comincia a scrivere e magari non si smette di farlo per tre giorni interni, perché tanto quanto prima non riuscivamo a sbloccarci adesso non riusciamo a fermarci.
Come scrivere un libro: idee, regole e spunti
Le idee che possono venire in mente ad uno scrittore sono infinite tanto quanto lo sono tutte le storie che possono essere raccontate. Spesso si ha l’immagine dello scrittore chino su se stesso seduto alla scrivania fra milioni di scartoffie e appunti, che getta fogli a destra e sinistra riempiendo la stanza di fogli accartocciati o strappati. Le ispirazioni che può avere uno scrittore sono chiaramente molto personali ed ognuno avrà una determinata e propria inclinazione verso un preciso genere ed è interessante notare poi l’eventuale cambiamento di un autore. La scrittura è una questione personale e non credo che si possa sindacare su questo. Non credo che possano essere dettate delle regole standard e uguali per tutti. Se come dice lo scrittore francese Daniel Pennac, il lettore ha tanti diritti, come quello di lasciare un libro incompiuto, di saltare le pagine, di tornare indietro, di rileggere, lo stesso dovrebbe valere per gli scrittori, che hanno il diritto di smontare e rimontare la loro storia come un puzzle fino a quando non si sentiranno davvero pronti, sino a quando non comprenderanno di aver davvero detto tutto quello che avevano da dire in merito a quella storia, a quegli uomini, a quei sentimenti, di cui hanno parlato. Quel momento è quello in cui viene scritta la parola fine.
Ci possono essere delle storie che sono dentro di noi da anni, che pensiamo e ripensiamo, immaginiamo, delle quali cambiamo il finale, aggiungiamo personaggi e mille altre cose, ma poi non le raccontiamo mai nero su bianco perché forse non riusciamo a trovare il collegamento fra gli eventi, non riusciamo a capire se ci piacciano fino infondo, se abbiamo scelto bene, se è una storia che valga la pena di essere raccontata. Poi, magari, un giorno ci alziamo e ci appare tutto improvvisamente più chiaro, e quel libro che è stato dentro di noi per tutto questo tempo, che forse è cresciuto con noi, che forse siamo stati noi stessi, del quale abbiamo sfogliato le pagine nella nostra testa quando ancora non erano esistenti, viene fuori in pochissimo tempo.
Ci sono poi vari tipo di autori. C’è chi dopo aver terminato il proprio manoscritto lo vuole far leggere a parenti ed amici, sia per conoscere le opinioni dei propri cari sia probabilmente per senso di condivisione. Altri invece sono più restii a far leggere quello che hanno scritto in anteprima, e preferiscono lasciare questa pratica solamente al loro editor. Non abbiamo infatti ancora parlato di questa figura importantissima durante la stesura di un romanzo o di un libro in generale. L’editor è un consigliere, un controllore. Ti sta accanto durante tutta la stesura del manoscritto. Conosce il mercato editoriale e di solito conosce bene anche lo scrittore. Il rapporto che si crea fra scrittore ed editor infatti dovrebbe essere di completa fiducia. L’editor vuole il bene dello scrittore e tenta di tirarglielo fuori anche quando lui non è in grado di farlo da solo. Se lo scrittore è il padre di un libro, l’editor ne è il migliore amico, quello che vede ciò che un genitore in genere non può vedere, perché troppo di parte.
Non stupisce il fatto che uno scrittore possa andare sempre in giro con in tasca un taccuino, un diario o anche solo un foglio ed una penna, perché sono quelli i suoi strumenti di lavoro. Ed è ovvio che nel momento in cui uno scrittore si trova nella fase di illuminazione, che lui sia in tram o al parco, a passeggio o in macchina, probabilmente lo vedrete tirare fuori questi suoi arnesi e cominciare a scrivere scrivere e ancora scrivere. A volte l’ispirazione può nascere anche da una semplice parola ascoltata da uno sconosciuto di passaggio mentre era al telefono.
Un consiglio però è che ci vuole molta dedizione. E pazienza. Ed impegno. Le parole a volte possono uscire dalle nostre dita come un fiume in piena, altre volte però possono non farsi vive per mesi. E diventa frustrante per chi ama comunicare e raccontare storie non riuscire a trovare il modo per farlo. È quella la parte difficile, la parte dell’insistenza, della continuità. La parola, la frase, il protagonista giusto arrivano quando meno ce lo aspettiamo e li riconosciamo che sono loro. A volte possiamo riconoscerli subito, come in un colpo di fulmine, a volte ci vuole più tempo, come chi ha l’amore davanti e non lo vede. Ma è quella la parola giusta. È quella la frase, il protagonista. È quello il suo nome, la sua storia.
Ci sono delle storie che lasciamo interrotte per anni, delle storie che forse non concluderemo mai, dei libri che lasceremo incompiuti. Saranno importanti anche quelli. Saranno lì a ricordarci che da qualche parte si deve cominciare, e ci si può e ci si deve concedere il diritto di non finire se non ne si sente il bisogno. Ci si deve concedere il diritto di andare avanti. E si deve dare importanza a quelle storie, a quelle che sono rimaste metà su un foglio e metà nella nostra mente e che forse chissà quando un giorno termineremo. Credo che uno scrittore sia la somma di tutte le parole che scrive, ma anche e soprattutto di quelle che non scrive.
Al giorno d’oggi bisogna però anche scontrarsi con una dura realtà, quella del mercato dell’editoria, che non è sempre facile. Non tutte le case editrici hanno il coraggio di puntare su giovani scrittori emergenti, spesso si preferisce restare in acque calme continuando a pubblicare autori che si è già pubblicati, puntando più sul loro nome che sulla storia che propongono. Ci sono però anche degli editori che si assumono il rischio di perdere, di puntare su un cavallo nuovo, che non ha mai corso ma che si è allenato tutta la vita. Le dinamiche del mercato editoriale sono molto varie e non staremo qui ad elencare tutte le varie possibilità che possono portare al successo di un libro mediocre o all’insuccesso di un potenziale capolavoro, credo che però chi si vede rifiutare le proprie opere non debba disperare, ma anzi continuare a scrivere. Ci sono celeberrimi scrittori, italiani e non, che prima di essere pubblicati hanno dovuto affrontare una serie di rifiuti. Possiamo ricordare Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Lolita di Vladimir Nabokov. Entrambi furono rifiutati per poi essere pubblicati qualche tempo più avanti. Spesso i rifiuti editoriali, oltre ad essere frutto di movimenti di mercato che devono essere indirizzati in un determinato verso, sono stati anche frutto di scelte di singoli editori fatte in base al proprio gusto personale. Questa è una linea che lo scorso secolo era molto in voga, quando c’era un concetto di casa editrice che avesse un ideale, un progetto, una linea editoriale ben definita che volesse andare a pubblicare determinate cose e non altre. Oggi questa visione per alcune case editrici sembra che sia un po’ andata perduta per lasciare spazio a logiche prettamente di mercato, per altre invece, solitamente quelle piccole e indipendenti, si cerca di far valere ancora queste regole.
Mi sembra opportuno ricordare, prima di concludere questa piccola e modestissima guida per un aspirante scrittore, J. K. Rowling, la mamma di Harry Potter. A prescindere dal fatto che per alcuni sia solamente una saga per bambini – anche se secondo me i libri non sono mai solo per bambini – è stata rifiutata da circa 13 case editrici differenti. Nessuno voleva pubblicare la sua storia. Lei non si è data per vinta mai, ha continuato a cercare, a chiedere e a credere in quello che aveva scritto, in quella storia, nel valore delle sue parole, e finalmente ha trovato qualcuno che le ha dato fiducia. La ha accolta. Le ha detto che c’era la possibilità di realizzare il suo sogno. Il resto è storia ormai, lo sappiamo bene, ma credo sia importante per uno scrittore o per chi si approccia ad esserlo, prendere questa donna come esempio, o quanto meno non scordare mai di quante volte si fallisce, perché, come lei stessa sostiene, anche e soprattutto il fallimento aiuta a crescere. Chi ha la caparbietà di aspettare, di ascoltare, la voglia ed il desiderio di capire, credo che possa dirsi scrittore. E credo oltremodo che non si diventi scrittori, lo si è.