Diritto di anonimato sul web e ipocrisia dilagante contro le contemporanee pasquinate
Detesto la saccenteria, l’arroganza, la supponenza dei numerosi “soloni” della politica, sparsi a livello locale e nazionale, i quali pretendono di impartire lezioni dall’alto, predicando bene e razzolando male, in alcuni casi predicando male e razzolando peggio.
Essi ignorano, tra le altre cose, che il diritto di anonimato è una peculiarità caratteristica della comunicazione tramite il web, una prerogativa lecita ed intrinseca alla natura stessa di Internet, che è una rete virtuale indubbiamente anarcoide, ma è evidente che costoro non amano, né tollerano la libertà quando questa viene esercitata realmente. Anzi la temono e la osteggiano, viste anche le inclinazioni politiche di alcuni di essi, simpatie manifestate apertamente a favore di un partito ipocrita e rinnegato come il Pd, “democratico” solo di nome, ma autoritario ed antidemocratico nei fatti. Un partito che non è più inquadrabile nemmeno nell’area del “centro-sinistra”. Un tempo si sarebbe definito “socialdemocratico” in riferimento al PCI, ma era tutta un’altra storia.
Costoro, i “soloni della democrazia”, esibiscono forse il “coraggio” di mettere nome e cognome per firmare i propri post e commenti, ma poi non hanno il coraggio che conta effettivamente, vale a dire l’onestà intellettuale di raccontare la verità nella sua interezza, mentre ne rappresentano solamente una frazione che, guarda caso, fornisce sempre la versione più comoda e conveniente rispetto al proprio interesse “particulare”.
Personalmente, non ho mai avuto problemi a metterci la faccia, non è mia abitudine ripararmi dietro l’anonimato. Oltretutto c’è chi si dissimula in modo abile anche dietro la propria immagine reale o dietro parole sottoscritte con il proprio nome e il cognome. Inoltre, la vita reale non è certamente meno fittizia o meno ipocrita di quella virtuale.
Invece, a proposito di “verità”, si sa che la verità assoluta non appartiene a questo mondo, ma può esisterne solo un’interpretazione parziale e limitata, che è sempre una versione più o meno soggettiva e relativa. Eppure si preferisce raccontare soltanto la versione che conviene maggiormente ai propri scopi. L’onestà ed il coraggio intellettuale dovrebbero spingere ad aggiornare e completare il più possibile l’analisi, la conoscenza e la rappresentazione della realtà, a prescindere dagli interessi egoistici di una fazione. Sarà probabilmente un mio limite personale, ma francamente non riesco a capire questo bisogno di conoscere l’identità di chi scrive, che a mio avviso esprime un falso problema.
Che l’identità sia reale o virtuale poco importa, visto che in molti casi l’identità di una persona coincide con l’essere ugualmente fittizia e camuffata, anche quando appare autentica. Basti pensare al celebre romanzo di Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”, in cui emerge la consapevolezza che l’identità di un uomo non è una, bensì molteplice, che la realtà non è oggettiva in quanto si perde nel relativismo.
Dunque, il punto cruciale è ciò che uno dice, non chi lo dice. A tale riguardo mi viene in mente Pasquino, la famosa “statua parlante” di Roma, una figura caratteristica della città eterna. Nella Roma papalina, ai piedi della statua dell’imperatore Marco Aurelio, anonimi autori appendevano nottetempo dei foglietti contenenti versi satirici mordaci e dissacranti, rivolti contro i rappresentanti del potere dell’epoca. Questi epigrammi satirici erano le famose “pasquinate”, che interpretavano il malumore e l’avversione popolare contro la corruzione e l’arroganza del potere temporale dei papi. Dopo la caduta dello Stato Pontificio, avvenuta in seguito alla presa di Roma nel 1870, si estinse anche la produzione satirica contro il governo del papa-re. Ovviamente, la citazione della figura letteraria di Pasquino non è casuale, in quanto rappresenta tuttora il simbolo allegorico di un sentimento popolare beffardo e sarcastico che mette alla berlina ogni potere, uno spirito satireggiante ed anarchico che si esprime nei versi pungenti scritti da anonimi autori che incarnano il comune sentire del popolo di Roma.
Sempre a proposito di citazioni letterarie mi viene in mente Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, più esattamente l’anagramma del cognome. Gli esempi da citare in tal senso sarebbero numerosi, dal momento che la storia della letteratura è zeppa di autori che si sono avvalsi intenzionalmente di pseudonimi o nomi d’arte. Eppure, nessuno di questi grandi scrittori è ricordato per la sua vera identità, bensì per le opere.
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