In cosa consiste veramente la “buona scuola” di Renzi? Un insieme di malafede e ignoranza, mentre studenti, famiglie e docenti attendono risposte esaustive
Il pacchetto scuola del governo Renzi è esplicitato nelle 135 pagine di un tomo dal titolo accattivante: La buona scuola, facciamo crescere il paese. Iniziamo a sfogliarlo e inciampiamo nella prima pagina di presentazione dove compaiono numerosi errori di ortografia. Parlare di scuola non è facile e per farlo si deve essere autorevoli. Se al nostro riformatore manca la competenza linguistica, l’autorevolezza rischia di affermarsi a fatica.
Sfogliamo le pagine successive, seguendo uno dopo l’altro i dodici punti della proposta renziana che si delinea come una dichiarazione di intenti piuttosto confusa e demagogica: non vengono indicate le risorse alle quali attingere, per esempio, per assumere i 150.000 precari, i tempi per l’assunzione degli stessi e ci viene un dubbio. Non sarà che 100.000 di queste immissioni in ruolo andranno a coprire i posti resi vacanti dal normale pensionamento dei colleghi? Se il piano si estende su tre anni, i conti tornano. Si tratta allora di normale turn over, 100.000 sarebbero entrati in ruolo anche senza La buona scuola.
Il quadro che si delinea al punto due sembra strutturato per dividere e mettere una contro l’altra le diverse componenti della scuola: docenti di ruolo, che aumentano le ore di lavoro coprendo le supplenze brevi, tolte ai docenti supplenti della terza fascia; i supplenti della seconda fascia assunti a settembre e licenziati a giugno di ogni anno; i docenti della terza fascia che spariscono. Tengo a precisare che in terza fascia ci sono docenti con anni di lavoro alle spalle, che hanno fatto i corsi abilitanti TFA pagandoli salati per poter accedere proprio alla terza fascia. Il governo ora li saluta: “Abbiamo scherzato”.
Al punto quattro troviamo la carriera dei docenti che si apre a nuove prospettive. L’ambiente cooperativo di pari della scuola viene trasformato in uno sgomitare degli uni contro gli altri per accaparrarsi le grazie di chi li dovrà valutare. E a chi spetterà la valutazione? Al dirigente scolastico manager? Al comitato di valutazione, del quale non di dice nulla rispetto alla composizione e alle funzioni? Ci saranno docenti di serie A, B e C?
Proseguendo la lettura inciampiamo nella banca dati delle ore, ore che i docenti dovrebbero regalare alla scuola sperando, trascorsi i successivi nove anni, di rientrare tra il 66% dei fortunati che riceveranno l’aumento di stipendio. E se i meritevoli fossero l’80%? E la contrattazione collettiva?
A pagina 55 ci sono errori determinati dalla malafede e non dall’ignoranza, come nel caso dell’ortografia di cui abbiamo parlato prima. Le tabelle stipendiali pubblicate sono chiaramente ingannevoli in quanto si tratta di importi lordo stato (alzi la mano chi capisce immediatamente di che cosa si tratta), mentre la reale busta paga dei docenti ha importi diversi. Prendiamo il primo scatto stipendiale, per anzianità fino ai primi otto anni di servizio: la tabella renziana recita 34.440 euro, mentre in busta paga il docente si ritrova 22.161 euro lordi: tra i due importi ci sono 12.239 euro di differenza.
In che cosa consiste la furbizia del Governo? Il lordo stato indica il valore dell’imponibile percepito dal dipendente più i contributi a carico del datore di lavoro, che è lo Stato, il netto in busta paga del docente neoassunto è quindi di circa 1.200 euro. Il governo cerca in questo modo di screditare la professionalità del docente, alimentando nei suoi confronti il senso di insofferenza per i presunti privilegi della categoria. È un tranello mediatico, che va denunciato. Sembra che il principio del dividi et impera animi tutta la struttura de La buona scuola: docenti di ruolo contro precari, dirigenti contro docenti, famiglie e opinione pubblica contro la scuola.
Proseguiamo ancora nella lettura e troviamo la formazione continua degli insegnanti. Ben venga, finalmente una buona notizia, perché ad oggi, se il docente desiderava seguire dei corsi di aggiornamento, se li doveva pagare di tasca propria, chiedendo eventualmente qualche giorno di ferie. Ci rallegriamo sulla fiducia, in quanto anche in questo caso non si specificano le modalità e le risorse. Sfogliamo ancora qualche pagina e troviamo la scuola digitale, da realizzare tramite co-finanziamenti con i privati. La domanda che sorge spontanea è: quale vantaggio avrà il privato ad investire sulla tecnologia della scuola, se non quella di indirizzare la formazione e la didattica?
Non dimentichiamo che l’articolo 33 della Costituzione italiana sancisce la libertà dell’insegnamento, i padri costituenti del secondo dopoguerra hanno ritenuto opportuno rafforzare questa tutela perché avevano conosciuto il fascismo. Oggi questo principio viene messo in discussione, minando uno dei cardini della democrazia. C’è anche un altro articolo della Costituzione che viene preso d’assedio, il numero 34, che recita: “La scuola è aperta a tutti e libero è l’accesso all’istruzione scolastica senza oneri per lo Stato”. Gli oneri invece ci saranno, a seguire la filosofia di La buona scuola: “Il Sistema Nazionale di Valutazione sarà esteso anche alle scuole paritarie. Servirà per dare alle scuole paritarie (valutate positivamente) maggiore certezza sulle risorse loro destinate, nonché garanzia di procedure semplificate per la loro assegnazione”. Sottolineiamo la contraddizione implicita: non ci sono soldi per la scuola pubblica, per cui dobbiamo ricorrere ai finanziamenti privati, e al contempo lo Stato finanzia la scuola privata? Il riformatore dovrebbe fornire spiegazioni coerenti.
Quali, invece, le ricadute de La buona scuola sulla formazione degli studenti? Le negatività sono diverse. Se la turnazione dei supplenti non è funzionale alla didattica, la soluzione proposta crea nuove criticità. L’aumento dell’orario di cattedra dei docenti di ruolo va a discapito della qualità dell’insegnamento. Pensiamo ad una classe di 28-30 alunni, con un alunno portatore di handicap, due con disturbi specifici di apprendimento (DSA), dieci con bisogni educativi speciali (BES). Il docente deve essere in grado di modulare la lezione su tutte queste specificità, la freschezza mentale per affrontare tale compito è fondamentale, dopo quattro/cinque ore l’efficacia si affievolisce. Il tre per due funziona al supermercato, non nella scuola.
Altro nodo al pettine è l’ “allargamento” delle classi di concorso, per cui docenti abilitati in lettere, per esempio, potranno coprire delle ore di altra materia “affine”. Quale? Non è chiaro. Inglese, arte, educazione fisica? Una a caso, a seconda delle circostanze? Ne consegue che sarà difficile, a queste condizioni, pretendere di misurare le competenze disciplinare degli studenti e confrontarle poi in contesti internazionali. Gli studenti hanno invece diritto ad una formazione efficace che li prepari al mondo del lavoro in un mercato globale, dove possano competere ad armi pari con gli altri lavoratori.
Il piano del governo Renzi non sembra adeguato all’alta aspettativa che hanno i portatori di interessi della scuola. Per compensare le falle della proposta non basta annunciare l’incremento delle ore di storia dell’arte, di economia, di musica, perché alle dichiarazioni di intenti deve seguire un piano di fattibilità. Per fare spazio alla nuova offerta formativa si aumenterà il monte ore complessivo, oppure si ridurranno le ore di altre materie, per esempio di Italiano, visto che la grammatica è stata rottamata?
La scuola è una cosa seria, studenti, famiglie e docenti attendono risposte esaustive.