Don Andrea Gallo, il prete del marciapiede, non è più tra noi
Don Andrea Gallo, noto per le sue posizioni scomode, spesso in aperto contrasto con quelle delle gerarchie vaticane, precisava sempre che la Chiesa viva era un’altra, non quella dei cardinali, ma quella degli emarginati. In ogni occasione, per scongiurare ogni sospetto di eresia, ribadiva che il primato della coscienza personale è dottrina certa, sancita anche dal Concilio Vaticano II, e che nessun cardinale si era mai sognato di rimuoverlo. Per quale motivo avrebbero dovuto farlo? Solo per essere riuscito a vivere il cristianesimo senza ipocrisie di sorta?
“Beati gli ultimi, perché gli ultimi saranno i primi”. Questa frase è stata presa sul serio da don Andrea Gallo, nella sua radicale potenza. Così nel 1975 ha fondato la Comunità di San Benedetto al Porto, a Genova, aperta a tutti, a partire da “puttane, drogati e barboni”. Da allora ha dedicato anima e corpo alla sua Comunità; tutti i numerosi interventi, più o meno provocatori e tutti i proventi dei libri, che conquistavano le classifiche dei più venduti in Italia, andavano ai suoi compagni di strada.
“Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei”. Questa “giaculatoria”, ci disse don Andrea Gallo, gliela affidò don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma. È la bussola per affrontare i temi dell’integrazione e del razzismo, in tutti i sensi, non come questioni di ordine pubblico, ma come sfide di solidarietà.
“Restiamo umani”. È la celebre frase di Vittorio “Vik” Arrigoni, che incarna la lotta del popolo palestinese e dell’umanità tutta per riscoprire la propria umanità, oggi soffocata, ripeteva don Andrea Gallo, da “una divinità idolatrica, una e trina: mercato orientato sempre al guadagno, tecnologia sempre a favore del mercato, deterrenza totale”.
“Osare la speranza” era il motto della brigata partigiana di don Andrea Gallo; di qui l’invito insistente a spalancare le porte del futuro che ci è negato e a costruire un mondo diverso. Se qualcuno pensa che ciò sia un’impresa ardua, concordava con Mario Capanna nell’affermare che “il potere non è forte, è fortissimo! È fortissimo perché noi rimaniamo chini, piegati verso terra. Allora su, su la testa!” Quindi in piazza, contro il G8 di Genova, con i No Tav e con i vari lavoratori in manifestazione per rivendicazioni sindacali. Come fare? Per don Gallo resta valido il monito gramsciano: “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza”.
Molti affibbiavano a don Andrea aggettivi quali “rosso”, “comunista”, “no global”. Anche lui ci prese gusto, definendosi “angelicamente anarchico”. Ma soprattutto di aver ricevuto un biglietto da visita: “Sono venuto per servire e non per essere servito. Gesù”. Questa era la via. Se poi qualcun altro per altre vie fosse giunto alle sue medesime conclusioni ancora meglio, si sarebbero unite le forze. Mai sarebbe riuscito a diventare Papa, come gli profetizzò un vescovo alla termine del noviziato: “Papa Gallo sarebbe disdicevole per la Chiesa”. Tuttavia nell’attuale Papa Francesco ripose le sue ultime speranze, esultando per quello che rappresenta un segno di rinnovamento simile per la sua Chiesa. Un auspicio per tornare ad essere povera, tra i poveri.
Concedetemi qualche appunto personale. Ho avuto modo di incontrare don Andrea Gallo in più occasioni, rimanendo sempre stupito della sua incredibile forza d’animo e voglia di lottare. Ho avuto l’onore di suonare per lui le note di De André, suo grande amico e autore di quello che don Andrea definiva “il mio Quinto Vangelo, quello secondo De André”. La “direzione ostinata e contraria”, sottolineava, “è la sintesi del pensiero di Gesù”. Quando dissi a don Andrea che ero organista, si raccomandò di non trascurare il canto gregoriano, che non disdegnava affatto, anche perché lo aveva appreso n gioventù presso i salesiani di Varazze, e “piaceva anche a Fabrizio”. Per gli increduli, don Andrea Gallo iniziò a intonare in tono VI: “Laudate Dominum omnes gentes”. Subito si fermò. Riprese a cantare: “Laudate Hominem omnes gentes”. De André pose l’accento sull’uomo. L’album “La Buona Novella”, uno dei più profondi del cantautore genovese, si apre proprio così, esaltando Dio all’inizio e l’Uomo alla fine. Questa è la preghiera degli ultimi, i prediletti da don Andrea e soprattutto dalla Chiesa viva.
Alle mie e-mail rispondeva sempre, in ogni occasione, ed ero solito fargli gli auguri almeno a Natale e a Pasqua. Sono andato a spulciare tra i vecchi messaggi per rileggere alcune delle parole che mi scrisse: “non turbiamoci mai, continuiamo sul sentiero della resistenza, in cerca di libertà e giustizia per tutti” e “lasciamoci inondare dalla Speranza Cristiana: cieli nuovi e terra nuova realizzando il Regno già su questa Terra”.
Ora don Andrea Gallo, con tutto il suo “vecchio cuore” che donava agli ultimi, non è più tra noi. Forse l’istituzione ecclesiastica non avrà il coraggio di canonizzarlo, come non ha ancora avuto il coraggio di elevare agli altari Óscar Romero. Però, quando penso ad un santo, mi viene spontaneo immaginarmelo proprio come don Andrea.