Manlio Sgalambro: un sublime misantropo
«Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo.» (E. M. Cioran, Squartamento)
Sono certo che Manlio Sgalambro quando faceva filosofia avesse bene a mente questo invito di Cioran, un’anima a lui profondamente affine. Ogni suo pensiero è una ferita (o come ha detto lui «un colpo di pistola») che infligge con una estrema lucidità agli uomini, a quegli uomini che «si agitano perché non pensano. “Fare” li mangia vivi. Ma in realtà si muovono, non fanno altro. Cambiano posto, semplicemente».
Di ferite ne ha inflitte a ogni realtà che si presenta come evidenza all’uomo, opponendo le sue evidenze, come nell’opera (im)politica: «dell’indifferenza in materia di società» in cui esordisce demolendo alle fondamenta l’oggetto del saggio: «Che “io” debba essere governato: ecco da dove inizia lo scandalo della politica». Salvo poi correggere il tiro in un passo successivo, con un gesto non degno di lui, cioè precisando il titolo del saggio per i lettori disattenti: «Mi voto all’indifferenza, sì, proprio quella in cui “alle Kühe schwarz sind”. Alla banalissima unità».
Ho incontrato Manlio Sgalambro quasi un anno fa, nella sua casa di Catania, un appartamento buio e pieno di libri, un riparo dal sole siciliano. Per quel poco che ho potuto conoscere di lui era il contrario delle sue opere, un ospite cordiale che, con l’ipocrisia che aveva sempre smascherato, ci chiedeva informazioni sul nostro viaggio, si interessava a noi per cortesia, fingendo di essere veramente interessato. Come avrebbe detto Nietzsche («poteva andare dietro alle frottole di Nietzsche?»), anche Manlio in fin dei conti era “Umano, troppo umano”, condivideva con gli uomini tanto le debolezze, quanto certe formalità, certe accortezze che la sua filosofia aveva implacabilmente distrutto.
Oggi Manlio Sgalambro è morto, a questo punto potrei dire che spero sia morto felice, con serenità.
Ma perché diffamarlo così?
«Ci sarà un giorno un filosofo felice?»
«Se fossi felice per che cosa esisterei.»
(Manlio Sgalambro, Variazioni e capricci morali)