Il Vecchio Continente sta assumendo sempre più il ruolo di zona strategica per le sorti dell’economia mondiale, complice anche (e soprattutto) l’immensa quantità di provvedimenti e decisioni politiche partorite dall’istituzione sovranazionale che ne amministra la circolazione di capitali, merci e persone. Gli effetti e i risvolti di tali attività dovrebbero contribuire, in linea di massima, ad un miglioramento dei sistemi produttivi e professionali dei paesi che aderiscono, in un modo o nell’altro, ai vincoli e agli accordi legislativi dell’unione, favorendo così una ripresa ottimale di quelle economie divenute, ormai, delle vere e proprie zavorre in grado di rallentare la stabilità dell’eurozona.
Più facile a dirsi che a farsi, il raggiungimento di tale scopo costringe alla definizione di tutta una serie di alleanze ex –novo dettate, per sommi capi, dalla concessione di sovvenzionamenti monetari da indirizzare verso il risanamento dei conti pubblici nazionali; tuttavia, queste erogazioni rappresentano, spesso e volentieri, un’arma a doppio taglio, poiché dotate di tassi di interesse a dir poco astronomici. Così facendo, il problema non verrà mai risolto in maniera radicale, ma è pur vero che i cosiddetti stati “creditori” devono autotutelarsi, soprattutto se posti dinanzi a situazioni di insolvenza finanziaria ben lontane da un netto cambio di direzione. Appurate le condizioni attuali del quadro globale europeo, occorre soffermarsi su un caso singolare, ossia quello dell’economia della Svizzera e dei suoi accordi bilaterali.
Svizzera, cronistoria degli accordi bilaterali con l’Unione Europea
Il paese elvetico viene, da sempre, considerato come un’autentica eccellenza continentale, sia dal punto di vista finanziario che da quello prettamente lavorativo. Il merito di tale abbondanza va ricercato soprattutto nella stipulazione degli accordi bilaterali, un negoziato alternativo tra il Consiglio federale e l’Unione Europea a seguito del rifiuto della popolazione svizzera di ratificare per referendum l’accordo sullo Spazio Economico Europeo del 6 dicembre 1992. La prima tranche viene conclusa nel 1998 e sottoscritta nel 1999, e prevede la trattazione condivisa di temi come la libera circolazione delle persone, i trasporti aerei, i trasporti terrestri, l’agricoltura, gli ostacoli tecnici al commercio, le forniture all’amministrazione pubblica e la ricerca scientifica; un insieme di aspetti civili e finanziari di notevole importanza, largamente accettati dalla maggioranza della popolazione elvetica attraverso molteplici referendum elettorali.
Successivamente – e, cioè, nel 2004 – vengono ufficializzati anche gli accordi bilaterali bis, una cospicua integrazione ai negoziati precedenti mediante l’inserimento di ulteriori ambiti che determinano il benessere dello stato svizzero. Fra questi, è possibile annoverare: cooperazione in materia di sicurezza, giustizia, diritto di asilo e di migrazione; trattamento fiscale del risparmio, con una ritenuta di imposta sul profitto degli Stati UE portata fino al 35%; lotta alle frodi fiscali per contrastare il contrabbando e gli altri reati inerenti alla fiscalità indiretta; produzione e trasporto dei prodotti agricoli trasformati; ambiente, statistica e armonizzazione del sistema pensionistico; programmazione iter formativi e professionali per la gioventù e il mercato del lavoro in sé. Le iniziativa sin qui esplicate dimostrano come la Svizzera abbia avuto un’attenzione crescente nei confronti di quelle aree assolutamente determinanti per il suo benessere tenendo conto (e non è una cosa da poco) del parere dei suoi cittadini.
Economia Svizzera 2016, la situazione in tempo di crisi
Sulla scorta delle suddette constatazioni, portatrici, fra le altre cose, di risultati che sono stati presi a modelli da numerose nazioni confinanti, l’economia svizzera ha raggiunto traguardi di rendimento semplicemente straordinari, a completo beneficio di un sistema politico, sociale e culturale che ha, a sua volta, consolidato le ferree basi sulle quali ha erto il proprio successo. Stando a quanto raccolto dall’ultimo studio di Economisuisse, dall’introduzione degli accordi bilaterali con l’UE, il paese elvetico ha conosciuto un periodo di florida espansione statistica in grado di investire svariati settori, fra cui quello della crescita per abitante. Senza questa tipologia di negoziati speciali, la Svizzera non avrebbe mai potuto acquisire quel ruolo di potenza finanziaria strategica estremamente fondamentale per il flusso e la circolazione di determinati capitali economici; inoltre, il prodotto interno lordo sarebbe inferiore del 5,7%, con un guadagno medio per abitante che si aggirerebbe su una cifra con 4.400 franchi annui in meno.
Un dato alquanto significativo, in netto contrasto con quelli che sono gli standard qualitativamente alti della nazione rossocrociata, un contesto urbano e professionale a misura d’uomo che non ammette ingerenze o criticità esterne dagli effetti altamente nocivi. Ad ogni modo, per quanto benevolo e portatore di risultati egregi, il dato complessivo è stato offuscato dalla crisi finanziaria (argomento trattato nella sezione banche svizzere di SocietàOffshore che approfondisce riguardo le conseguenze) e dal rafforzamento del franco, due problematiche piuttosto gravi capaci di intaccare, nonostante le innumerevoli cautele del caso, anche il solido comparto economico della Svizzera. L’adagio secondo cui “tutto il mondo è paese” è stato rispettato anche stavolta, ma ciò non pregiudica quanto di buono ottenuto sino ad ora dall’economia elvetica, un punto di riferimento per qualunque nazione desiderosa di dare una sfaccettatura maggiormente performante al proprio raggio d’azione, ed autentico faro per un’eurozona alle prese con divergenze e situazioni di insolvenza economica sempre più accentuate.